Sito Ufficiale del Gruppo Consiliare "Vivere Calvene" (Giugno 2019 - Maggio 2024)

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Polga

Quando Calvene era un bel paese fondato sui sassi rossi, c’era un ragazzo che amava l’arte, la cultura e la montagna.  Nato a Calvene nel 1939 negli anni 50/60 frequenta la scuola d’arte di Nove Bassano.

Era uno spirito libero, interessato ad ogni cosa nuova che in quegli anni nasceva. Socialista libertario, antifascista, anticonformista e contro tutti i totalitarismi.  Era contrario ad ogni forma di violenza, e si è sempre battuto per una società più giusta, libera e democratica.

Fu tra i primi a capire che la società dei consumi, allora da noi solo appena iniziata, avrebbe portato il nostro pianeta alla catastrofe ambientale attuale.  In alcuni quadri da lui dipinti era già chiaro cosa ci avrebbe portato il nascente consumismo sfrenato senza regole.  Difatti dipingeva cose morte da inquinamento e siccità.

Per tutta la vita ha fatto l’insegnante di artistica alle scuole medie riscuotendo sempre l’ammirazione da parte dei genitori e degli alunni per la sua preparazione e semplicità.

Mirco non era certo una persona triste, anzi, sempre allegro, disponibile a fare festa combinandone di tutti i colori. Chi ha avuto la fortuna di frequentarlo sa di cosa parlo.

Fin da ragazzo è sempre stato impegnato nelle attività culturali del paese dipingendo gli scenari per le rassegne teatrali che allora venivano fatte nel teatro del paese dalla Scuola materna e i “caroselli” proposti dalla Schola cantorum Santa Cecilia di Calvene diretta dal Maestro Brazzale Olinto. Questi “caroselli” giravano i teatri della provincia e se non ricordo male hanno vinto anche qualche premio.

Ma oltre a dipingere gli scenari era anche un ottimo cantore contribuendo a rendere il paese famoso per le sue Messe cantate, in primis la Messa di mezzanotte Natalizia.

Grande festaiolo e grande ballerino del nascente Rock And Roll era corteggiato da molte ragazze, ma lui in quegli anni faceva coppia fissa con la ragazza più bella di tutte. Erano la coppia più ammirata ed invidiata del paese. Ma come tutte le belle cose, anche il loro amore finì e ognuno scelse strade diverse…..

Si immerse allora nella pittura dei famosi quadri che arredano molte case di Calvene e d’intorni e anche la sala della Giunta comunale.

Sarebbe bello che, con uno sforzo comune, si riuscisse a catalogare e fotografare tutte le sue opere.

Proseguiva intanto la sua attività sociale e politica. Per molti anni è stato Consigliere comunale di minoranza del PSI, aperto comunque a quanto succedeva allora in paese.

Nel 1973, collaborò attivamente con il Circolo Culturale Democratico per allestire una mostra fatta in occasione del colpo di stato fascista in Cile.

In quella occasione vennero esposti quadri, diventati famosi, che ricordavano anche i Baschi uccisi con la garrota in Spagna dal morente regime Franchista.

Partecipò attivamente alla fondazione della Lista Civica per Calvene e sempre contrario alla violenza, anche lui rispose subito all’invito dell’allora Sindaco Pellegrini a scrivere, in un’aula delle scuole elementari, un manifesto di condanna per il sequestro dell’Onorevole Aldo Moro.

Allora non si facevano tante foto, ma sarebbe interessante vederne una con Mirco e il Maestro Pellegrini, inginocchiati per terra, mentre insieme scrivevano il testo del manifesto.

Proseguiva sempre la sua attività di pittura partecipando a mostre e facendo l’insegnante nella scuola di pittura di Zugliano.

Sempre presente ai Consigli comunali e per molti anni membro attivo della Protezione civile.

Una semplice targa posta a Cima del Porco ricorda Mirco ed il Maestro Olinto.

Loris Manzardo

Natale 1966 – San Giorgio di Perlena
a Cima del Porco

Chi fa Politica ha il dovere di andare oltre.

di Antonio Dalla Stella

Questo di oggi doveva essere un articolo dedicato al Documento Unico di programmazione 2023 – 2024 – 2025 discusso nel Consiglio comunale del 20 luglio scorso, ma la lettera dell’Assessore Brazzale, avente per oggetto “agibilità e relativa apertura ex Malga Cima Fonte”, pubblicata nel sito istituzionale del Comune di Calvene  e inviata ai cittadini tramite Telegram, non può essere ignorata; pertanto, una prima parte dell’articolo si soffermerà su questo argomento, mentre nella seconda parte illustreremo le nostre osservazioni e proposte sul Documento di programmazione.

Prima parte: la lettera dell’Assessore traeva spunto dall’articolo pubblicato Il Suono della Natura, i Ricordi, l’Avventura che “raccontava la storia dell’ex Malga Cima Fonte, dalla ristrutturazione a cura della Pro Loco, alla sua funzione, per tanti anni, di luogo di formazione di tanti giovani, alla considerazione che un patrimonio così importante merita la sua piena valorizzazione”; bastava una semplice informativa che spiegava i motivi per cui, anche quest’anno, la Malga non poteva essere a disposizione dei cittadini e invece, purtroppo, ancora una volta, dobbiamo registrare la reazione, alquanto scomposta dell’Assessore Brazzale che non perde occasione per scaricare le responsabilità sulle precedenti Amministrazioni.

Quando si parla delle Amministrazioni precedenti è bene ricordare che l’Assessore Brazzale è in Amministrazione dal 1990 con una sola pausa di cinque anni, quindi da ben 27 anni, molti dei quali nel ruolo di Vicesindaco e Assessore con delega ai lavori pubblici e l’attuale Sindaco Pasin ha ricoperto l’incarico di Assessore con delega alla montagna, inoltre, nella precedente Amministrazione Sindaco e Vicesindaco erano gli stessi di oggi: Pasin e Brazzale.

Sono passati sette anni da quando, nel Consiglio comunale del 27 luglio 2015, l’attuale Sindaco affermava “Ci siamo riappropriati della Malga” (delibera n. 42/2015). A quel punto, sette anni fa, dopo la gestione della Pro Loco e prima di riassegnarla ad altri Enti/Associazioni sarebbe stato il momento giusto per effettuare le necessarie verifiche, se c’era qualcosa che non andava bene, perché non si è intervenuti?

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Seconda parte: osservazioni e proposte formulate in riferimento al Documento Unico di Programmazione (DUP) 2023 – 2024 – 2025, discusso nel Consiglio comunale del 20 luglio 2022.

Intervento del Consigliere Dino Polga

Il DUP è lo strumento che permette l’attività di guida strategica ed operativa dell’Ente.

L’arco temporale del DUP in approvazione stasera comprende il periodo 2023 – 2024 – 2025, una visione quindi proiettata anche oltre l’attuale mandato amministrativo.

Questo dovrebbe significare guardare oltre, oltre le opere pubbliche già programmate per quest’anno e il prossimo anno e interrogarci sulle criticità che dovrà affrontare Calvene nei prossimi anni.

Sfogliando il documento DUP sotto la voce Strumenti urbanistici vigenti troviamo:

  • Piano regolatore – P.I. – adottato  NO
  • Piano regolatore – P.I. – approvato  NO

Ne parliamo da tre anni, ma lo strumento urbanistico manca da ben otto anni. Siamo a conoscenza delle problematiche relative alla lottizzazione Giola, ma a prescindere da queste è importante sbloccare la situazione.

Alcune osservazioni sulle principali opere pubbliche in cantiere

  • Incrocio via Roma con strada provinciale: ribadiamo la necessità di mettere in atto, in fase di esecuzione lavori, tutti gli accorgimenti possibili per ridurre la velocità dei veicoli in transito.
  • Riqualificazione e messa in sicurezza di via Roma, Piazza e laterali: opera fondamentale e urgente soprattutto per i pedoni. Potrebbe essere già conclusa, bastava ascoltare le nostre indicazioni di dicembre 2020, in occasione del bilancio di previsione 2021, quando il tasso di interesse per accedere al mutuo era dell’1,13%; ora il tasso di interesse è più che raddoppiato. Agli eventuali fondi del PNRR per la “rigenerazione urbana” si poteva accedere per una vera e propria riqualificazione della Piazza e un piano di decoro urbano e ambientale.
  • Impianti sportivi: stanziare i 50.000 euro destinati all’efficientamento energetico per costruire un tratto di marciapiede illuminato, nel primo tratto della strada di accesso agli impianti sportivi, non sembra una priorità. Eppure non mancherebbero i possibili interventi di efficientamento all’interno dei beni comunali, con chiari benefici tanto per l’ambiente quanto per le casse dell’amministrazione.

Ci sono altri interventi che sarebbe opportuno fossero presenti.

Dei fondi, per esempio, dovrebbero essere destinati per rialzare i tombini in via dell’Emigrante: i residenti sono ormai abituati a fare gincane per evitare gli avvallamenti, alcuni molto profondi, che rappresentano una vera e propria situazione di pericolo anche per le persone che si recano in Farmacia.

Rimane poi sempre più impellente da risolvere il problema, evidenziato da anni, quello di eliminare gli scarichi dei reflui della Contrada Mortisa nel torrente Chiavona. Chiediamo di informare il Consiglio comunale sullo stato attuale dell’opera, se è stata intrapresa un’azione congiunta tra i Comuni di Lugo, Calvene e Viacqua per accedere ai fondi PNRR o altro al fine di risolvere definitivamente la situazione che diventa sempre più critica soprattutto in questo periodo causa siccità.

Sempre in riferimento al torrente Chiavona, vista la maggiore frequenza di periodi di siccità seguiti da eventi atmosferici estremi a causa del cambiamento climatico, ribadiamo ancora una volta la necessità di intervenire nell’alveo del torrente stesso rimuovendo gli alberi, ormai numerosi, a monte e a valle del campo sportivo fino alla confluenza con l’Astico.

Intervento del Consigliere Antonio Dalla Stella

Alcune criticità su cui vale la pena riflettere.

  • Criticità ambientali – necessita un Piano di adattamento ai cambiamenti climatici.
  • Criticità risorse umane – i piccoli Comuni risentono senza dubbio delle carenze di personale, ne abbiamo già parlato nei nostri interventi precedenti, diventa pertanto fondamentale, a pari dignità, attivare collaborazioni con altri Comuni. Attivare Convenzioni per professionalità specialistiche che possano supportare l’azione del personale del Comune.
  • Criticità di risorse a supporto dei giovani – il Comune si deve aprire al territorio, ai Comuni vicini e partecipare a progetti che coinvolgono ragazzi/e, giovani, in azioni di cittadinanza attiva, due esempi di progetti in atto quest’anno nei Comuni vicini:
    • “Esperienze Forti” – attività estive di volontariato per i giovani dai 15 ai 23 anni
    • “Ci sto ? Affare Fatica !” – attività che si prendono cura del territorio dai 14 ai 19 anni

Criticità Scuola Materna ed Elementare: occorre attivarsi, da subito, per affrontare la criticità del basso numero di alunni che da quest’anno andranno alla scuola materna, solo 3 bambini, che poi nel 2025 entreranno alle Elementari.

In sintesi, riteniamo che il Documento Unico di Programmazione 2023 – 2024 – 2025 presentato sia carente nell’individuare prospettive future per la comunità.

Ambiente, scuola, giovani, oltre a urbanistica e sociale sono temi che meritano un franco, approfondito e costruttivo dibattito nell’organo di massima rappresentanza dei cittadini: il Consiglio comunale.

Purtroppo, ancora una volta, alle nostre osservazioni e proposte non è seguito alcun intervento, alcun dibattito, né da parte del Sindaco, né da parte degli Assessori, né da parte dei Consiglieri di Maggioranza.

Chi fa Politica ha il dovere di andare oltre.

Il suono della Natura, i Ricordi, l’Avventura

Di Gianni Balzan

In quest’ultimo periodo, complice il bel tempo e l’acquisto di una bicicletta elettrica, ho avuto modo di frequentare spesso la nostra montagna e di assaporarne la bellezza e la pace.

Ci sono andato nei giorni feriali, lontano dai periodi in cui la maggior parte  delle persone sono libere da impegni lavorativi, così da sperimentare lunghi momenti di riflessione in solitudine. La fantastica armonia della natura con il canto a più voci della fauna montana accompagnato dal suono del vento che, incuneandosi tra le fronde degli abeti e dei faggi, alimentava l’organo del bosco, è stata un sottofondo musicale che ha fatto riaffiorare in me ricordi di qualche decennio fa quando una meravigliosa avventura, alla quale ho avuto l’onore di partecipare, ha avuto il suo inizio.

Qualche decennio fa. E sì, era il 1985 e  sembra ieri, stiamo invece parlando della preistoria tecnologica e sociale, quando internet era una rete solo militare, l’iphone, antesignano dello smartphone, non era ancora entrato nei sogni di Steve Jobs, in Italia esistevano ancora degli Statisti con la “S” maiuscola e la gente si incontrava e si parlava vis-a-vis.

Ebbene in questo momento storico nacque l’idea di prendere uno stabile in montagna che stava mostrando i segni di degrado e di semi-abbandono, e di trasformarlo in un luogo di incontro, di svago, di crescita e di socialità per la nostra gente: Malga Cima Fonte

C’erano esperienze di successo su analoghe idee sviluppate sempre in quel periodo nei paesi confinanti di Lugo e Caltrano, per cui l’idea non era un vero e proprio salto nel buio, una cosa campata per aria, ma una realtà possibile, chiara, tracciata da un sentiero definito che avrebbe portato alla realizzazione dello scopo finale.

In quegli anni lo stabile non era più una Malga operante da tempo. La parte del suo territorio adibita a pascolo era stata assegnata a Malga Busa Fonte e l’edificio era stato dato in gestione ai frati cappuccini di Thiene che vi organizzavano dei centri estivi per i frati e ragazzi del loro patronato. L’intorno era tutto un groviglio di pericoli dovuti alle vecchie cave di marmo dismesse e mai bonificate.

Effettivamente il panorama che si presentava all’ignaro viandante non era certo dei migliori. Molti avrebbero desistito. Eppure una mente aperta e proiettata al futuro riusciva a scovare e immaginare l’enorme potenziale che si nascondeva sotto quei sassi.

Fortunatamente questa visione era una parte integrale nel DNA degli Amministratori Comunali dell’epoca, Amministratori che decisero, rischiarono e trasformarono l’idea da qualcosa di etereo a qualcosa di reale e tangibile.

Fu così che proprio in quell’anno non venne più rinnovata la convenzione con i frati cappuccini di Thiene e si decise di affrontare la ristrutturazione dello stabile e la sistemazione del territorio intorno, con conseguente messa in sicurezza di tutta l’area.

Una volta assegnato all’ing. Thiella il compito di progettare la ristrutturazione dell’edificio si poneva il problema di realizzare le opere con i pochi soldi disponibili.

In quel periodo in paese si sentiva anche l’esigenza e la volontà da parte di tante persone di partecipare in  maniera attiva alla vita sociale del paese. Le legava un clima, uno spirito di collaborazione, di appartenenza e un entusiasmo che si respirava nell’aria. Bisognava convogliare e raggruppare tutte queste energie positive in un’Associazione che avrebbe potuto dare al paese un prezioso valore aggiunto: la Pro Loco.

Se ne parlava già da tempo. Questa è stata l’occasione, la scintilla che ha dato il via alla nascita di questa Associazione, formalizzata solamente l’anno successivo, il 1986.

Ecco allora che si intravide una strada, una via d’uscita per mettere a terra il sogno: Ristrutturare la malga con personale volontario mettendo a frutto le abilità dei tanti professionisti presenti in paese che avevano dato la loro disponibilità sotto la guida e l’organizzazione della neonata Pro Loco.

Si ottenevano così due risultati positivi: il primo era economico perché il comune contribuiva solo con i costi dei materiali (circa 1/3 dell’intero costo di ristrutturazione); il secondo, e a mio avviso molto più importante, era sociale. Ogni volontario si sarebbe sentito una parte importante all’interno del sistema, un protagonista che guardava con passione e soddisfazione al futuro e che un giorno avrebbe potuto dire a figli e nipoti entusiasti al ritorno da un soggiorno in Malga: anch’io ho contribuito.

Certo non erano tutte giuggiole e il clima in paese non era così idilliaco. Storicamente il nostro paese è sempre stato uno “frizzante spaccato in due”. C’è sempre stato il Pro e il Contro, certe volte anche espresso con toni accesi e discussione da bar, altre con volantini  e manifesti più o meno anonimi.  Allo stesso modo  sulla destinazione di Malga Cima Fonte c’erano idee contrastanti in paese. L’Amministrazione Comunale propendeva per una destinazione formativo-ricreativa, altri volevano ripristinarne l’originale funzione di Malga con tanto di stalla e casaro. Visioni diverse, entrambi legittime.

Ho avuto l’Onore di guidare l’Associazione Pro Loco nei primi anni della sua nascita e di vivere in prima persona tutte le vicende legate all’”avventura Malga Cima Fonte”. Come Associazione abbiamo sempre creduto nella bontà della proposta fatta dall’Amministrazione Comunale ed abbiamo sempre cercato di coinvolgere il maggior numero di persone, schierate o meno, senza entrare nell’arena della polemica politica guardando principalmente al bene superiore. Questo ha fatto sì che un gran numero di volontari ci desse fiducia  e partecipasse con entusiasmo ad un’avventura durata la bellezza di 4 anni .

Eh sì, dalla primavera del 1986 all’estate 1990, tutti i fine settimana di primavera, estate  e autunno in Malga Cima Fonte c’era sempre un cantiere aperto con un continuo via vai di gente.

Ormai le nostre automobili conoscevano il percorso a memoria, buche e avvallamenti compresi.

Generalmente si saliva il venerdì o il sabato, si dormiva in Malga e si tornava la domenica sera. D’estate ci si andava anche nei giorni feriali quando avevamo la disponibilità di qualche professionista che aveva la giornata libera.

Il Comune ci aveva messo a disposizione anche un furgone a 9 posti (il mitico volkswagen arancione che beveva più di una spugna alcolizzata) con il quale portavamo sul posto i volontari che non avevano il mezzo proprio.

In più di un’occasione abbiamo portato anche studenti che aspettavamo il sabato pomeriggio al ritorno dalla scuola e portavamo su per fare dei piccoli lavori.

Il ricordo di queste giornate però non è legato solo al lavoro più o meno duro. Quello che più mi è rimasto nella memoria sono i momenti di condivisione. Io ero un giovane Presidente di Pro Loco di 23 anni da poco entrato nel mondo del lavoro, che nulla sapeva di lavori edili. Qui ho avuto modo di conoscere la vera gente di paese, le persone che ne erano la struttura portante e consolidare amicizie che tuttora sono importanti realtà nella mia vita.  Persone eccezionali e generose, sempre positive e pronte a offrire un suggerimento e una soluzione ai problemi, persone gioiose che, alla fine del lavoro,  non si tiravano mai indietro nelle occasioni di convivialità.

In più di un’occasione il lavoro domenicale terminava con il pranzo e poi con una festa di canti e balli. C’era chi tornava alle famiglie un po’ brillo o un po’ troppo abbronzato, tanto che nelle consorti rimaste a casa nasceva il sospetto che non si fosse andati in montagna per lavorare…

Pur elogiando il lavoro, la passione e l’impegno di tutti i volontari, permettetemi qui di rivolgere un pensiero riconoscente al capo indiscusso di questa meravigliosa compagnia, che ci ha lasciato ormai da parecchio tempo, ma la cui generosità, professionalità, passione, forza di volontà e coinvolgimento rimangono indelebili nella mia memoria: Italo.

Italo è stato un grande. Coinvolgeva e trascinava e si consigliava con tutti. Portava le persone avanti e indietro con il suo Pajero e fino a quando non era soddisfatto non mollava mai l’osso. Ricordo solo che ha fatto riposizionare i travi del tetto della cucina per ben 3 volte, solo perché non erano perfetti come lui voleva che fossero. E’ stato un esempio non  solo per me ma anche per i molti che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e lavorarci assieme. E come Italo molti altri protagonisti di quest’avventura, qui non citati per esigenze di spazio, sono stati esempi illuminanti nel mio cammino di vita.

Fatto questo doveroso inciso devo anche dire che quattro anni di ristrutturazione non sono stati una passeggiata. Nei primi anni l’entusiasmo e la volontà erano alle stelle, poi via via il tempo, nel suo incedere, ha eroso una parte sempre maggiore di quest’entusiasmo tanto che alla fine siamo arrivati tutti molto stanchi. Però con tanta forza di volontà e un bel colpo di reni siamo arrivati a Domenica 8 luglio 1990, giorno della festa di inaugurazione.

E’ stata una bellissima giornata, anche dal punto di vista meteorologico, con un sole che splendeva nel cielo e nessuna nuvola a filtrarne la forza, tanto che il giorno successivo c’era la fila nell’ambulatorio del dot. Cavaliere di persone che avevano “ecceduto” all’esposizione solare…

E’ stato il giorno in cui i Pro e i Contro, assieme, hanno dato il via ad una nuova fase di Malga Cima Fonte: la sua gestione. Già dal giorno successivo la parrocchia aveva organizzato la partenza dei  primi campi scuola.  Campi scuola che sarebbero diventati una preziosa realtà per la formazione dei nostri giovani negli anni a venire.

E poi da qui una nuova avventura ha avuto inizio. Ma questa è un’altra storia.

Ora girando nel silenzio delle nostre montagne ho avuto modo di passare più di una volta davanti la Malga. L’ho sempre trovata desolatamente chiusa. Mi si stringe il cuore ogni volta che la vedo così e ripenso alla forza, al coraggio di affrontare il rischio e alla dedizione di tante persone che hanno creduto ad un sogno. Sapevamo per certo che non sarebbe durato in eterno, ma non pensavamo neanche che potesse essere così breve.

1985 Prima della ristrutturazione
1986 inizio lavori di ristrutturazione
8 luglio 1990 Inaugurazione

Escursione a Pasquetta 1988
Malga Cima Fonte per tanti anni luogo di formazione dei nostri giovani

Produzione di energia elettrica e buone pratiche

Dino Polga (parte quarta)

Cos’è e come funziona la rete elettrica

Una rete elettrica è una immensa macchina il cui scopo è portare l’energia dai produttori (centrali elettriche) ai consumatori (abitazioni, edifici, aziende) in un formato concordato e ben definito. Le abitazioni private in Italia, ad esempio, ricevono corrente alternata monofase a 230 V con frequenza 50 Hz; è quello che si aspettano le apparecchiature domestiche e se tensione e frequenza non sono sufficientemente precise possono non funzionare o addirittura rompersi.

La rete nazionale è formata da un sistema a maglie via via più fitte:
ci sono le reti ad alta tensione (AT) che servono per il trasporto di energia sulle lunghe distanze, le reti a media tensione (MT) per i tragitti più brevi e le reti a bassa tensione (BT) per la distribuzione finale alle abitazioni. A collegare le varie sezioni pensano le stazioni di trasformazione:

L’energia elettrica viene consumata immediatamente, istante per istante la quantità di energia che viene immessa nella rete deve essere all’incirca uguale alla quantità consumata, se ciò non è vero tensione e frequenza di rete deviano dai valori nominali. Fondamentale per la rete è quindi bilanciare l’immissione di energia con la domanda, spostando energia da dove ce n’è troppa a dove ce n’è bisogno. Se la domanda è troppo alta e l’energia necessaria a soddisfarla non è disponibile l’unica soluzione è diminuire forzatamente la richiesta scollegando alcuni rami (blackout). È quel che succede in molte città nelle ondate di calore estive: la richiesta di energia per i condizionatori supera la capacità della rete che quindi stacca la corrente ad interi quartieri. Per evitare che questo accada i gestori cercando sempre di tenere una riserva di potenza a disposizione sufficiente a coprire eventuali picchi di consumo.

Non riuscire a bilanciare produzione e fabbisogno può avere conseguenze catastrofiche.
Il giorno 14 febbraio 2021, a causa di una tempesta con temperature particolarmente rigide, la richiesta di energia in Texas ha raggiunto il massimo storico; contemporaneamente molte centrali a gas hanno subito blocchi a causa del freddo mentre solare ed eolico hanno ridotto drasticamente la loro produzione a causa di una tormenta (le pale eoliche vengono bloccate con venti eccessivi per evitare rotture). La rete non è stata in grado di reggere al carico ed ha cominciato a deviare dalla frequenza nominale (nel caso americano, di 60 Hz) … ricordate come gli apparecchi rischiano di rompersi quando non alimentati correttamente? La stessa cosa vale per i generatori, che infatti sono progettati per disconnettersi automaticamente in caso di fluttuazioni eccessive: una dopo l’altra le centrali a gas, a carbone e nucleari si sono disconnesse per “proteggersi”. Oltre 5 milioni di persone hanno sperimentato blackout lunghi giorni, a 12 milioni è mancata l’acqua o non era assicurata la sua potabilità e i danni totali si stimano in 190 miliardi di dollari; tutto questo nonostante la rete non sia collassata completamente ma ci sia solo andata vicina.

Molte fonti di energia non sono in grado di rispondere velocemente ai cambiamenti, ad esempio una centrale a carbone impiega molte ore per essere accesa, se la mia rete ha solo queste sorgenti “lente” sono costretto a tenerne attive abbastanza da coprire il picco massimo previsto, buttando via l’energia prodotta in più.

L’andamento della richiesta di energia ha tipicamente una forma simile, è elevato durante il giorno e cala sensibilmente durante la notte.
Per fortuna negli ultimi decenni sono arrivate sul mercato sorgenti “veloci” in grado di cambiare la loro produzione in risposta alle necessità della rete; si stanno anche affacciando soluzioni per immagazzinare parte dell’energia in surplus per poterla poi reimmettere in rete quando c’è alta richiesta.

Rivediamo lo stesso grafico di prima, ma questa volta diciamo di avere 10 GW di riserve di energia accumulate quando la domanda è bassa e altri 20 GW di potenza da fonti “veloci” in grado di inseguire la domanda (es. turbogas).

Vediamo come adesso non ho più bisogno di produrre costantemente 90, ma posso limitare la mia produzione base a 60: a parità di domanda la quantità di energia prodotta è inferiore.

Il minimo della richiesta durante il giorno viene definito “carico di base”, la media “carico medio” e i massimi di consumo “carico di picco”.
Idealmente la produzione da fonti di energia invariabili, come impianti a carbone, nucleari, a biomassa etc…, non deve superare il carico di base altrimenti produrranno energia che andrà sprecata.

Cosa possiamo fare come cittadini.

Sono molte le cose che noi normali cittadini possiamo fare per diminuire le emissioni dovute alla produzione di energia.
La prima cosa è anche la più ovvia: non sprecare energia; fare attenzione ad evitare di lasciare apparecchi accesi inutilmente (televisori, computer… ) riduce anche se di poco la domanda di energia; altra cosa che si può fare se possibile è spalmare le richieste su tempi più lunghi: ad esempio per riscaldare una stanza con apparecchi elettrici meglio impiegare bassa potenza per più tempo.

Un’altra cosa salta subito all’occhio da quanto detto: consumare quando c’è poca domanda aiuta a ridurre gli sprechi perché fa scendere i picchi massimi (carico di picco); è una cosa che possiamo fare tutti  spostando verso le ore serali o meglio ancora notturne attività energivore come lavastoviglie o lavatrici e, per chi ce l’ha, la ricarica di auto elettriche.
È importante anche utilizzare apparecchi il più possibile efficienti, a livello del cittadino e delle imprese, in quanto contribuiscono a diminuire la domanda, si tratta di investimenti che una volta fatti si ripagano negli anni con minori consumi in bolletta. Il motivo per cui da anni l’UE ha standardizzato le etichette di efficienza energetica è proprio per permettere una scelta consapevole da parte dell’utente.
Gli impianti solari casalinghi costituiscono poi un buon modo per produrre energia soprattutto se viene utilizzata direttamente in autoconsumo o salvata in batterie di accumulo; l’energia autoprodotta diminuisce infatti la domanda durante il giorno ed anche la necessità di trasporto a lunga distanza con le relative dispersioni.

Il problema di integrare le fonti rinnovabili nella griglia elettrica
La struttura della rete che abbiamo visto è molto efficiente quando si tratta di portare l’energia dal grosso produttore al destinatore finale, spostandola dalle “autostrade” ad alta tensione alle reti intermedie fino alla rete locale; tuttavia, attualmente non è in grado di gestire efficacemente l’arrivo di una grande quantità di energia da fonti rinnovabili locali. Secondo Terna, tra il 2008 e il 2019, la capacità italiana di produzione del parco fotovoltaico è passata da 0,5 gigawatt ad oltre 20 gigawatt, mentre quella da fonte eolica è triplicata, partendo da 3,5 gigawatt a 10 gigawatt; ulteriori 5 gigawatt da eolico/fotovoltaico sono previsti entro il 2024. Tuttavia, a differenza di una “normale” centrale elettrica, avere 1 KW di fotovoltaico installato non significa che quell’impianto generi 1 KW di energia, ma solo che quella è la potenza massima che è in grado di generare; quanta energia è effettivamente prodotta dipende dall’orario e dal meteo sopra l’impianto. Fotovoltaico ed eolico sono fonti aleatorie discontinue, non è possibile cioè prevedere a priori quanta energia saranno in grado di erogare. Ad esempio, in nord Italia sono installati 10 GW tra fotovoltaico ed eolico, ma in questo momento (le 15 del 04/02/2022) stanno immettendo in rete solamente 656 MW, il 6,5%. È importante capire che se la rete ha bisogno di 100 GW di potenza, non si può pensare di soddisfarla semplicemente installando 100 GW di pannelli solari o pale eoliche (troppe volte si leggono semplificazioni del genere!).

Per poter gestire la variabilità che queste fonti di energia portano nella rete sono necessari massicci investimenti; infatti, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza oltre quattro miliardi di euro sono stati stanziati per la costruzione di una Smart Grid (una rete intelligente), in grado di reagire rapidamente ai cambiamenti di carico spostando energia da dove se ne produce troppa a dove c’è carenza. Un altro tassello necessario per poter supportare una percentuale significativa di rinnovabili discontinue saranno grandi sistemi di accumulo, che permettano di immagazzinare l’energia prodotta in eccesso e il suo recupero per coprire i buchi di produzione. Per ultimo, nel caso peggiore la rete deve essere in grado di reggere il massimo picco di richiesta con il minimo di produzione da fonti discontinue, serve quindi una riserva di fonti di alimentazione veloci e/o capacità di importare energia in grado di coprire lo scarto tra produzione e domanda.

Piccola guida alle principali fonti di energia elettrica

Non tutte le fonti di energia sono uguali, né sotto il profilo della sicurezza né da quello dell’inquinamento ed emissioni climalteranti. Purtroppo per molte forme di energia si tendono a considerare solo i morti diretti, associati ad incidenti, mentre quelli indiretti passano sotto silenzio. Di seguito una stima della quantità di CO2 equivalente emessa e del numero di morti per unità di energia prodotta; vengono considerati l’intera vita dell’impianto dalla costruzione allo smaltimento e tutta la vita dei materiali, oltre alle morti dovute ad incidenti e all’inquinamento prodotto (fonte ourworldindata).

Carbone  

Le centrali a carbone producono energia sfruttando la combustione del carbon fossile, resti di antiche foreste sepolti nel terreno e compressi che nel corso di milioni di anni si sono trasformati in una roccia di colore nero o marrone scuro, composta principalmente di carbonio.
Al momento rappresenta la principale fonte energetica, producendo quasi il 36% dell’energia elettrica mondiale, in Italia viene usato soprattutto in Sardegna. È di gran lunga la peggiore sia dal punto di vista delle emissioni di CO2 sia per quanto riguarda l’inquinamento ambientale e le morti: per ogni MWh di energia prodotta servono infatti 490 Kg di carbone, vengono liberati circa 670 Kg di CO2 e 2 Kg tra anidride solforosa, ossidi nitrosi e altri composti inquinanti. Restano inoltre circa 80 Kg di ceneri contenenti metalli pesanti e composti tossici che devono essere smaltite, una parte viene riciclata mescolandola al cemento o all’asfalto per la pavimentazione stradale. L’estrazione del carbone è a sua volta inquinante e rilascia in atmosfera grandi quantità di metano: è responsabile da sola del 9% di tutte le emissioni di questo gas, circa 150 Kg equivalenti di CO2 per MWh di energia prodotta.
Le centrali a carbone nel 2014 hanno rilasciato nell’ambiente 22 tonnellate di mercurio nei soli Stati Uniti, la metà di tutto l’inquinamento da mercurio. È difficile pensare di effettuare la cattura del carbonio dai loro fumi a causa della grande quantità di altri composti presenti.

Sono tipicamente centrali “lente” che impiegano ore per rispondere alle variazioni di domanda, per questo motivo capita siano lasciate accese ma scollegate dalla rete come “riserva” in caso di bisogno.  
Gli impianti sono semplici ed economici da costruire, il combustibile è molto economico e non c’è difficolta di approvvigionamento in quanto presente in molteplici paesi; per questo motivo molti stati emergenti stanno ampliando il loro parco di centrali a carbone (Cina e India in primis).

Si stima che al mondo ci siano circa quattro milioni e mezzo di morti all’anno dovuti all’inquinamento emesso dalle centrali a carbone.


Gas naturale

Il gas naturale come abbiamo visto è prodotto dalla decomposizione anaerobica di materiale organico, in natura si trova comunemente allo stato fossile, spesso insieme a petrolio o carbone. Il suo principale componente è il metano, ma contiene anche altri idrocarburi leggeri (cioè con pochi atomi di carbonio).
La generazione di energia da gas naturale rappresenta il 24% della produzione mondiale di energia, e circa la metà del mix italiano. Si tratta di una fonte fossile che emette grandi quantità di CO2 in atmosfera, ma la sua combustione è molto più pulita rispetto al carbone in quanto produce quasi solamente CO2 e acqua; per questo motivo in alcune centrali si stanno sperimentando tecniche di cattura dell’anidride carbonica prodotta, che permetterebbero di limitare di molto la loro impronta climatica.

Ci sono due tecnologie principali utilizzate nelle centrali a gas naturale
– turbogas a ciclo semplice: sono molto economici da costruire e possono essere avviati in pochi minuti ma hanno una bassa efficienza; per questo motivo sono normalmente utilizzati solo per soddisfare la domanda di picco.

– turbogas a ciclo combinato: riescono a raggiungere una elevata efficienza, ma sono più costosi da costruire del ciclo semplice e hanno tempi di avvio nell’ordine di un’ora.

Essendo centrali “veloci” possono essere utilizzate come backup per coprire i buchi di produzione delle rinnovabili. Per questo motivo l’Italia sta pianificando attualmente la costruzione di 50 nuove centrali a gas sul territorio nazionale.

Biomassa

Le biomasse sono definite come “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.
Se avete una stufa a legna o a pellet, quello è un impianto alimentato a biomassa. Si tratta di una fonte di energia rinnovabile perché utilizza materiali che crescono continuamente; la combustione delle biomasse emette nell’atmosfera una quantità di anidride carbonica più o meno corrispondente a quella che era stata assorbita in precedenza dai vegetali durante il processo di crescita.
Tuttavia bisogna considerare anche le emissioni dovute alla raccolta e trasporto dei materiali, e questo aumenta la l’impronta climatica di questa fonte di energia in maniera diversa a seconda del tipo di combustibile utilizzato.

A livello di salute la combustione di biomasse legnose emette grandi quantità di particolato che i filtri riescono ad abbattere solo fino ad un certo punto; inoltre, negli anni scorsi l’elevato livello degli incentivi hanno portato in alcuni stati ad un aumento del disboscamento per avere il materiale necessario ad alimentare le centrali.

Idroelettrico

Le centrali idroelettriche sfruttano il movimento di masse d’acqua per produrre energia; è una forma di energia rinnovabile in quanto alimentata dal naturale ciclo dell’acqua.  
In Italia abbiamo la fortuna di avere a disposizione montagne, vallate e molta acqua, per questo motivo fin dall’inizio l’energia idroelettrica è stata una componente fondamentale del mix nazionale.

In base al funzionamento, le centrali idroelettriche si suddividono in:

  • centrali a deflusso regolato, in cui si sfruttano grandi altezze di caduta disponibili nelle regioni montane tramite la creazione di dighe ed invasi;

centrali ad acqua fluente, in cui si utilizzano grandi masse di acqua fluviale che superano piccoli dislivelli.

Le centrali di Calvene sono centrali ad acqua fluente alimentate dall’acqua della Roda e hanno quindi una produzione costante di energia; viceversa, gli impianti a bacino possono essere sfruttati “aprendo e chiudendo il rubinetto” regolando quindi la produzione a seconda della domanda, con tempi di risposta nell’ordine dei minuti.
Sempre più invasi inoltre stanno venendo modificati per permettere il ripompaggio verso l’alto dell’acqua scaricata (Pumped Hydro), in questo modo si trasformano in vere e proprie batterie in grado di immagazzinare energia e cederla quando c’è bisogno; è di gran lunga la forma di accumulo con più capacità installata in Italia e al mondo.

Le emissioni da idroelettrico sono dovute solamente alla fase di costruzione, l’enorme quantità di cemento necessaria ad erigere gli sbarramenti dei bacini artificiali viene comunque più che ammortizzata nel corso del loro esercizio. Per poter essere costruite le centrali necessitano ovviamente di acqua, in Italia è già stato sfruttato pressoché tutto il potenziale idroelettrico disponibile. Storicamente ci sono stati diversi incidenti legati a questa forma di produzione di energia (Vajont, Gleno … ), è fondamentale il monitoraggio e la corretta gestione di dighe ed invasi per evitare sovraccarichi e rotture. Il più grave incidente legato ad una diga è il cedimento della diga di Banqiao in Cina nel 1975, che ha provocato oltre 170.000 morti.

Nucleare

 Le centrali ad energia nucleare sfruttano la fissione degli atomi di elementi pesanti (tipicamente uranio 235) in elementi più leggeri. Al momento questa forma di energia rappresenta il 10% del mix energetico mondiale, in Italia è utilizzata solo da importazione dopo i referendum del 1987.

Si tratta di una forma di energia con fortune altalenanti, alcuni stati europei vogliono abbandonarla mentre altri (come Francia e Finlandia) stanno puntando molto sulle centrali nucleari per raggiungere gli obiettivi climatici. Una centrale nucleare non emette CO2 né altri gas, le emissioni sono solo quelle relative alla costruzione dell’impianto e all’estrazione e trasporto del materiale fissile. Un problema molto sentito è quello delle “scorie”, ossia del combustibile esausto: questo, essendo ricco di prodotti di fissione è estremamente radioattivo e necessita di essere stoccato in sicurezza per secoli. Va detto però che la quantità prodotta è molto limitata; esistono inoltre nuovi impianti a neutroni veloci, in grado di usare come combustibile le scorie di centrali “tradizionali”.

Il reattore a neutroni veloci della centrale di Beloyarsk, soprannominato “il polipo” e attivo dal 2016, usa come combustibili “scorie” di altre centrali e plutonio da ordigni bellici dismessi.

Il costo di costruzione dell’impianto è molto elevato; una volta in esercizio, però, il costo di esercizio è basso e stabile. L’uranio è presente in vari paesi, i principali produttori sono Kazakistan, Canada e Australia;
c’era una miniera anche in Italia, a Sondrio, chiusa dopo il referendum. Sono centrali che non possono inseguire la domanda, una volta che il reattore è attivo mantengono una potenza costante, sono quindi pensate per soddisfare il carico di base.  
Si stanno affacciando sul mercato nuove tipologie di reattori, molto più piccoli, chiamati Small Modular Reactor (SMR): il loro vantaggio è poter essere costruiti in serie direttamente in fabbrica e solo installati in loco, abbattendo di molto il costo di realizzo e di smantellamento a fine vita.

L’incidente di Černobyl’ del 1986 è il più grave incidente nucleare mai avvenuto ed il peggiore possibile: comportò la fusione del nocciolo del reattore, la sua esplosione (non nucleare) e scoperchiamento. Gli effetti sono stati 65 morti dirette accertate, a cui si devono aggiungere oltre 4000 morti stimati negli 80 anni successivi per tumori e leucemie. Più recentemente c’è stato l’incidente di Fukushima, che ha provocato 1 morto diretto e circa 30 morti per lo stress dovuto all’evacuazione della zona di esclusione.


Eolico

I generatori eolici convertono il movimento di masse d’aria in energia elettrica tramite aerogeneratori un po’ come facevano i mulini a vento di una volta. Si tratta di una forma di energia molto conveniente da sfruttare dove ci siano venti sostenuti e costanti, al momento la produzione da eolico rappresenta il 5% del totale mondiale.

Le centrali eoliche (o parchi eolici) sono formate da vari generatori raggruppati e connessi tra loro; un parco eolico può essere composto da diverse centinaia di singoli generatori distribuiti su una vasta superficie, ma il terreno tra le turbine può essere comunque utilizzato anche per scopi agricoli o altro. Esistono anche parchi eolici costruiti in mare aperto (eolico offshore) per sfruttare venti particolarmente favorevoli.

Quasi tutte le turbine eoliche hanno lo stesso disegno: una turbina ad asse orizzontale con un rotore a tre lame, una navicella rotante contenente il generatore e la componentistica di controllo, il tutto posto in cima ad una torre tubolare. Le pale sono normalmente realizzate in materiali compositi, la parte più costosa è la realizzazione del motore elettrico in quanto necessita di varie tonnellate di rame e diverse centinaia di kg di terre rare (soprattutto neodimio).
Le turbine eoliche migliorano di efficienza all’aumentare della dimensione, motivo per cui hanno raggiunto taglie imponenti con rotori larghi oltre 100 metri, per questo la loro installazione può presentare problemi dal punto di vista paesaggistico.

Dal momento che la velocità del vento non è costante, la produzione di energia di un impianto eolico è variabile su diverse scale temporali: oraria, giornaliera o stagionale; questo comporta i problemi di gestione della rete che abbiamo visto quando questa non è in grado di gestire la volatilità di produzione.
Le emissioni climalteranti legate all’eolico sono solamente quelle dovute alla sua costruzione e messa in opera, più l’estrazione e raffinazione delle materie prime necessarie (soprattutto terre rare e metalli); una volta installato l’impianto non ha emissioni.

Solare

Gli impianti di energia solare trasformano la radiazione in arrivo dalla nostra stella in energia elettrica.
Al momento questa forma di energia rappresenta appena il 2.5% del mix energetico mondiale, ma sta crescendo in modo importante negli ultimi anni.

Esistono 2 tipi radicalmente diversi di impianti solari:

Fotovoltaico: sono i classici pannelli che installiamo sui tetti delle nostre case; sfruttano un effetto quantistico per convertire direttamente la radiazione luminosa in energia elettrica con un’efficienza tra il 17 ed il 25% a seconda della tecnologia. I pannelli più comuni sono formati da silicio cristallino drogato con metalli come cadmio o gallio; la loro efficienza degrada con il tempo, mediamente una cella moderna perde circa l’1% ogni 2 anni.

Solare a concentrazione: utilizza una serie di specchi motorizzati controllati da computer per concentrare la luce in un singolo punto e sfruttarne l’energia termica; necessita di grandi spazi e manutenzione costante, ma se ben gestito l’impianto ha una durata teoricamente indefinita.

Essendo basati sull’illuminazione solare, entrambe le tipologie di impianti sono dipendenti dal meteo al di sopra dell’impianto, dall’orario e dalla stagione, e non sono ovviamente in grado di adeguarsi alla domanda. Il costo dei pannelli fotovoltaici ha subito un calo costante, è al momento la fonte di energia più economica per MW installato; tuttavia, il computo non comprende i sistemi di accumulo e/o backup necessari ad integrarli efficacemente in rete.

La realizzazione delle celle fotovoltaiche richiede molta energia, soprattutto per far crescere i cristalli di silicio. Come materie prime il silicio non ha problemi di reperibilità, ma i materiali necessari al suo drogaggio sono di disponibilità molto più limitata e la loro estrazione difficile ed inquinante, la Cina ne è il maggior produttore e pressoché monopolista. Un pannello restituisce comunque l’energia totale necessaria alla sua costruzione nel giro di 2-3 anni, tutto il resto della sua vita operativa è produzione netta e le emissioni in questa fase sono nulle.

Batterie di accumulo

Una centrale di accumulo a batterie non è una centrale elettrica nel senso classico, in quanto non è in grado di produrre energia ma solo di restituire alla rete energia immagazzinata in precedenza. Si tratta delle sorgenti di potenza più veloci a rispondere alle necessità di rete, con tempi di reazione di millisecondi, per questo motivo vengono sempre più usate per stabilizzare la rete in risposta a variazioni repentine di domanda o di potenza.

Potendo solo restituire la potenza accumulata a differenza delle centrali “classiche” hanno un tempo di intervento limitato, ad esempio la centrale di Hornsdale, nel 2017 la più grande esistente, è in grado di fornire 70 MW per un massimo di 10 minuti più 30 MW per un massimo di 3 ore. Può non sembrare molto, ma si tratta di numeri importanti soprattutto in ottica di stabilizzazione della frequenza di funzionamento della rete. Il suo funzionamento abituale è immagazzinare energia quando la domanda è bassa per poi usare i 30 MW di potenza “lunga” per restituirla quando la richiesta è elevata (ovviamente a prezzo più alto); i 70 MW sono invece utilizzati nelle impennate di richiesta o nei crolli di produzione, dando il tempo agli altri impianti (es. a gas) di arrivare a regime e coprire la domanda; in questo modo ha portato ad un aumento significativo nella percentuale di energia australiana prodotta da eolico riducendo la necessità di mantenere altre fonti attive “in riserva”.

Il costo delle batterie è calato drasticamente negli ultimi anni, attualmente costruire un parco batterie in grado di coprire 2 ore di domanda costa quanto una centrale a gas di pari potenza; inoltre non avendo necessità di ricevere carburante e non avendo emissioni, i parchi possono essere installati in prossimità delle città riducendo la necessità di trasporto a lunga distanza dell’energia.

Il problema principale sono le materie prime, soprattutto il litio: questo metallo è abbondante e presente in diverse nazioni; tuttavia, la sua estrazione con le tecniche attuali è laboriosa ed inquinante. Le batterie richiedono inoltre cobalto, le cui riserve sono concentrate nella Repubblica Democratica del Congo al centro di scandali e tragedie umanitarie; per questo motivo sempre di più ci si sta spostando verso batterie con una chimica meno efficiente ma che permetta un ridotto utilizzo di questo materiale.

pubblicazioni precedenti:

parte prima Cambiamenti climatici, un inverno senza pioggia e senza neve !!!

parte seconda Cambiamenti Climatici e Riscaldamento globale

parte terza Energia: perchè in Italia siamo così dipendenti dal gas ?








Referendum del 12 giugno 2022

Il Referendum è uno strumento con il quale i cittadini possono chiedere l’abrogazione totale o parziale di una legge.

Attraverso il referendum il cittadino partecipa attivamente alla decisione politica, la integra, la modifica, la abroga, o esprime comunque un parere su un determinato tema. Con il referendum il cittadino, oltre ad essere più attivo e partecipe, acquisisce responsabilità e consapevolezza diventando protagonista del processo democratico del proprio Paese. 

Perché il referendum sia valido deve essere raggiunto il quorum di validità e cioè devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto (50 % +1).

Perché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi (50 % + 1).

Domenica 12 giugno dalle 7 alle 23 si vota per i referendum abrogativi sulla giustizia.

Informazioni sui Referendum in votazione (5 schede).

Due quesiti riguardano questioni di diritto penale.

1) Scheda arancione riguarda il quesito che modifica art. 274 del codice di procedura penale, restringendo i casi in cui si possono disporre misure cautelari nei casi di reati non gravi.

  • Secondo i promotori (voto SI), così si riduce il numero di indagati e imputati che finiscono in carcere senza essere stati ancora processati.
  • Secondo i contrari (voto NO), questa modifica rischia di generare l’effetto contrario, riducendo la possibilità di applicare misure cautelari in casi in cui è fondamentale agire con urgenza.

2) Scheda rossa riguarda l’abrogazione della legge Severino in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo per persone condannate in via definitiva (e in alcuni casi non definitiva) per reati di mafia, terrorismo e reati gravi contro la pubblica amministrazione.

  • Secondo i promotori (voto SI), questo automatismo va eliminato e restituita al giudice la valutazione di aggiungere nella sentenza la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
  • Secondo i contrari (voto NO), la legge Severino andrebbe modificata per correggere alcuni elementi (come la sospensione della carica degli amministratori locali anche con sentenza non passata in giudicato), ma non cancellata del tutto.

Tre quesiti riguardano la vita interna dell’ordine giudiziario: come sono eletti i magistrati nel loro organo di rappresentanza, come sono giudicati per gli avanzamenti di carriera, e i ruoli che possono rivestire.

Questi tre quesiti sono attualmente oggetto di dibattito in Parlamento.

È infatti in corso di approvazione la riforma dell’ordinamento giudiziario, già passato alla Camera e ora in discussione al Senato.

3) Scheda verde prevede l’abrogazione dell’obbligo di raccolta delle firme, tra le 25 e le 50, per il magistrato che vuole candidarsi al Consiglio superiore della magistratura (Csm).

  • Secondo i promotori (voto SI), in questo modo si riduce il peso dei gruppi associativi, le correnti, nella scelta dei singoli magistrati che decidono di candidarsi al Csm e che così saranno più liberi di farlo.
  • Secondo i contrari (voto NO), già la riforma dell’ordinamento giudiziario prevede questa modifica, quindi il referendum è una mera ripetizione.

4) Scheda grigia prevede l’abrogazione del divieto di voto degli avvocati nei consigli giudiziari, che si occupano della valutazione della professionalità dei magistrati.

  • Secondo i promotori (voto SI) il diritto di voto di un soggetto terzo rispetto ai magistrati nel collegio renderà più equilibrata la valutazione della loro professionalità.
  • Secondo i contrari (voto NO), i magistrati non possono dipendere professionalmente dal giudizio anche degli avvocati, che potrebbero avere ragioni professionali di contrasto con i magistrati del loro distretto e quindi penalizzarli.

5) Scheda gialla riguarda introduzione della separazione tra la carriera di Giudice e quella di Pubblico ministero.

  • Secondo i promotori (voto SI) questo riequilibra il sistema della giustizia, evitando commistioni tra il magistrato che giudica e che deve essere imparziale e quello che invece rappresenta la pubblica accusa.
  • Secondo i contrari (voto NO), non esiste un problema di commistione tra le due figure professionali. Anzi la separazione delle funzioni isola il pubblico ministero e riduce la possibilità dei magistrati di aumentare la loro esperienza professionale attraverso lo svolgimento di funzioni diverse.

Fonte informazioni da “L’Essenziale”

Energia: perché in Italia siamo così dipendenti dal gas ?

Dino Polga (parte terza)

La richiesta di energia elettrica mondiale è in costante aumento e, come abbiamo visto, per molti settori l’unico modo per abbattere le emissioni climalteranti è sostituire l’elettricità ai combustibili fossili; è quindi pressoché certo che la domanda non farà che aumentare nei prossimi decenni. Le scelte che verranno prese a livello politico su questo settore saranno quindi fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi climatici.

Produzione di energia elettrica nel mondo dal 1985, notare come i cali siano corrispondenti a crisi finanziarie globali

Nel mondo, purtroppo, al 2019, solo il 37% dell’energia proviene da fonti a basso impatto climatico (Idroelettrico, Nucleare, Solare, Eolico, Geotermico); è fondamentale che dal mix vengano abbandonate il prima possibile le fonti fossili: carbone, oli combustibili e gas naturale.  È importante però che le scelte energetiche siano guidate da una solida base scientifica e dalla conoscenza delle necessità di rete, e non diventino teatro di scontro ideologico e politico.
Nel sito electricitymap.org potete vedere in tempo reale la produzione ed il consumo di energia elettrica di ogni nazione partecipante con i propri dati (alcune, come l’Italia, sono divise in più zone), con il dettaglio di quanti GWh vengono prodotti da ogni fonte e l’intensità media di carbonio emessa 

Per ogni area è possibile vedere le diverse fonti energetiche, per ognuna è visibile il totale teorico installato (la barra grigia) e quanto sta effettivamente producendo (la frazione colorata); nella parte bassa ci sono le importazioni / esportazioni da altri stati/aree. In questo momento ad esempio in nord Italia la situazione è questa:

Com’è evidente la parte del leone la fanno le centrali a turbogas, per ogni KWh di energia immessa nella rete del nord Italia vengono rilasciati in atmosfera circa 400 grammi di CO2.
Per fare un confronto, questa è la produzione energetica in questo momento di altre nazioni europee, con la relativa intensità di carbonio:  

come l’Italia è arrivata alla situazione attuale

In Italia purtroppo dagli anni 80 non è mai stato fatto un piano energetico serio e la questione, come tipico del nostro paese, è stata affrontata con barricate ideologiche da ambo le parti senza una reale comprensione delle esigenze di rete. Le scelte energetiche (e non solo) sono sempre state dettate da considerazioni di convenienza politica sul breve periodo anziché dalla necessaria programmazione a lungo termine; questo ha portato a rendere la nostra rete elettrica poco differenziata e dipendente in maniera quasi esclusiva dal gas naturale.

Dall’inizio della sua elettrificazione, l’Italia ha sfruttato sapientemente la presenza di acqua per costruire impianti idroelettrici, come le bellissime centrali di Calvene. Fino agli anni ’50 pressoché l’intera produzione di energia nazionale era affidata alle centrali idroelettriche.

Negli anni 60, tuttavia, la transizione industriale del paese ha portato ad un rapido aumento della domanda energetica (circa 8% annuo per diversi anni); i possibili bacini in cui costruire grandi impianti idroelettrici erano quasi tutti già sfruttati, il disastro del Vajont nel ’63 ha inoltre aumentato la diffidenza della popolazione verso questa forma di energia e irrigidito la regolamentazione. Da allora la produzione di energia idroelettrica è rimasta pressoché costante fino ai giorni nostri.
Essendo gli impianti termoelettrici, come vedremo, i più veloci ed economici da costruire si è scelto di affiancarli alla produzione idroelettrica per colmare la richiesta.

Nel 1975 è stato varato il primo (e unico) vero piano energetico nazionale. Per ridurre la criticità della dipendenza da idrocarburi esteri si è puntato molto sullo sviluppo dell’energia nucleare, nel quale l’Italia stava rapidamente diventando uno dei paesi più avanzati al mondo (il terzo per produzione dopo USA e GB a fine anni ‘60); furono avviati progetto e costruzione di molti nuovi impianti innovativi e fu pesantemente incentivata la ricerca.

A seguito però dell’incidente di Černobyl’ del 1986, vennero tenuti i famosi referendum, vinti dal fronte contrario all’energia nucleare. Anche se i quesiti in realtà non vietavano la costruzione di nuove centrali né imponevano la chiusura delle esistenti, negli anni successivi i governi Goria, De Mita e Andreotti ordinarono la chiusura degli impianti e il fermo delle costruzioni (gettando letteralmente dalla finestra le decine di miliardi spesi negli anni precedenti). Ciò si tradusse, complice il coincidente crollo del costo del petrolio, in una ripresa della crescita dell’apporto termoelettrico fossile.

Negli anni 90, a causa dell’aumento del costo del petrolio e dell’incertezza nell’approvvigionamento, si decise per la sua sostituzione con il gas naturale, considerato un combustibile con maggiore disponibilità e proveniente da aree ritenute politicamente meno instabili; anche per le centrali a carbone, sempre più osteggiate dalla popolazione a causa dei loro fumi, venne decisa la transizione verso il gas.
Venne aumentata l’importazione di energia dall’estero, in particolare dalla Francia e dalla Svizzera che durante la notte hanno forti eccedenze di produzione.
Il Comitato interministeriale dei prezzi stabilì inoltre una maggiorazione del 6% del prezzo finale dell’energia elettrica i cui ricavi dovevano essere utilizzati per promuovere la ricerca e gli investimenti nel campo delle energie rinnovabili e assimilate.

Energia idroelettrica ed energia geotermica erano state già quasi pienamente sfruttate dove ritenuto conveniente; solare, eolico e biomassa hanno cominciato a crescere in maniera consistente negli anni 2000. Permane tuttavia il problema della loro aleatorietà che, vedremo in seguito, continua a limitare la loro penetrazione nella rete e costringe ad avere fonti di backup.

Questo, in sintesi, è ciò che ha portato all’attuale paniere delle fonti italiano, dominato dal gas naturale:

Da dove arriva il gas italiano

Ci sono riserve di gas naturale in Italia, ma al momento le estrazioni nazionali coprono a malapena il 4,4% del consumo interno; inoltre, se dovessimo basarci solo sulla produzione interna, verrebbero esaurite nel giro di pochi anni. Nell’ultimo periodo il loro sfruttamento è in calo costante, la costruzione di nuovi pozzi è pressoché ferma ed anzi si è tentato di bloccare del tutto l’estrazione nazionale (emblematico il referendum del 2016); tutto ciò lascia il nostro paese estremamente dipendente dalle importazioni e quindi dal prezzo del gas sul mercato internazionale.

Per trasportare il gas dai siti di produzione fino ai consumatori ci sono due modalità:

  • Metanodotti, cioè lunghe tubazioni via terra o sottomarine
  • Via nave, il gas viene liquefatto (GNL) e trasportato in navi gasiere dai siti di produzione fino a rigassificatori, che lo riconvertono in gas ed immettono in rete

La rete dei metanodotti che distribuisce il gas in Europa dai siti di estrazione in Nord-Africa, Azerbaijan, Mare del Nord e Russia.

Un rigassificatore e una nave gasiera

In Italia arrivano cinque gasdotti:

  • TAG (Trans Austria Gas) che porta gas russo fino a Tarvisio
  • Transitgas che porta gas dal nord-Europa fino al Piemonte
  • Transmed che porta gas algerino a Mazara del Vallo
  • Greenstream che porta gas dalla Libia a Gela
  • TAP (Trans Adriatic Pipeline) che porta gas dall’Azerbaijan alla Puglia

Ovviamente per costruire un metanodotto serve molto tempo e una volta costruito non permette alcuna scelta sull’origine del gas. Un rigassificatore al contrario permette di ricevere gas naturale liquefatto (GNL) da qualsiasi produttore al mondo; è quindi una fonte molto più flessibile di un gasdotto, anche se mediamente il costo del gas liquefatto è più alto. L’Italia ha tre rigassificatori: a Panigallia, a Rovigo e su una nave offshore ormeggiata tra Pisa e Livorno.

Questa è la provenienza del gas italiano nel 2021, fonte MISE:

il TAP, entrato in funzione da poco e dopo molte proteste, fortunatamente ha permesso di ridurre sensibilmente la dipendenza dalla Russia dopo il picco storico del 45% nel 2015.

Perché gli aumenti

Nel 2021 la ripresa economica post-covid ha portato ad un forte incremento della domanda energetica;  contemporaneamente le riserve europee sono state messe a dura prova da un periodo anomalo con scarsi venti e bassa produzione di energia eolica.

anomalie nei venti aprile – settembre 2021

Ciò ha portato ad un notevole aumento di prezzo del gas a partire dall’estate 2021, dovuto al consumo delle riserve per bilanciare la mancata produzione eolica.
Le tensioni in Ucraina, poi sfociate in guerra aperta, hanno poi portato all’esplosione del costo del gas essendo la Russia uno dei maggiori esportatori verso l’Europa.

Questo aumento di costo della materia prima porta ad un rincaro dell’energia prodotta per famiglie ed imprese. Ovviamente, essendo l’Italia uno dei paesi con un paniere più dipendente dal gas, questi aumenti vanno ad impattare maggiormente sulle nostre bollette, con un aumento del prezzo dell’energia all’ingrosso del 200% da aprile 2021.

Anche se in parte limitato dagli interventi del governo, questo aumento di prezzo inevitabilmente sarà un problema per le famiglie e per le imprese.


nel prossimo articolo parleremo della rete Elettrica e come funziona


pubblicazioni precedenti:











Osservazioni alla Gestione 2021

Che il 2021 fosse un anno difficile lo sapevamo, l’avevamo dichiarato già in fase di approvazione del Bilancio di previsione: eravamo in piena pandemia. E proprio per questo motivo, già ad aprile 2020, avanzammo la nostra disponibilità a collaborare, a unire le forze.

Disponibilità ripetuta più volte come documentato nei nostri interventi in Consiglio comunale nel 2020 e nel 2021. Il buon senso avrebbe suggerito, visto l’emergenza, di unire le forze, di condividere le iniziative, le scelte, le preoccupazioni, ma la nostra disponibilità è stata ignorata.  Così la parola “condividere”, che campeggia nel simbolo della Lista di maggioranza, non è mai stata messa in pratica.

Lo stato di emergenza introdotto dal Governo, valeva per tutti i Comuni; ma le emergenze vanno gestite con accortezza e lungimiranza non chiudendo tutto come fatto da questa Amministrazione.

  • E’ stato votato all’unanimità un ordine del giorno sulla “Gestione dell’emergenza Covid” che prevedeva tra i vari punti l’impegno di “istituire incontri periodici con i capigruppo per aggiornare i consiglieri dell’evoluzione della pandemia e delle iniziative prese o programmate al fine di acquisire eventuali proposte integrative”. In due anni di pandemia, i Capigruppo non sono mai stati convocati.
  • Non è stato risolto, neppure temporaneamente in attesa dei lavori, il grave problema della messa in sicurezza dell’incrocio di via Roma con la Provinciale, dove i mezzi continuano a passare a velocità sostenuta.

Abbiamo sollevato la questione più volte, non è stato introdotto il limite dei 30 Km/h e impostato il semaforo a lampeggiante giallo; un semplice intervento che avrebbe aumentato, in modo significativo, il livello di sicurezza dell’incrocio. Alle criticità già evidenziate aggiungiamo un nuovo episodio che evidenzia la pericolosità della attuale situazione: il Pullman che giornalmente trasporta gli studenti, arrivato all’altezza del Bar, ha messo la freccia a destra per fermarsi all’altezza del Negozio di abbigliamento per far scendere gli studenti. Un bilico, che procedeva a velocità sostenuta dietro al Pullman, non rispettando la distanza di sicurezza e con visuale del semaforo verde davanti, è riuscito solo all’ultimo momento, dopo una brusca frenata, a fermarsi a pochi cm dal pullman.

Ribadiamo per l’ennesima volta la necessità di introdurre i 30 Km/h e il semaforo a lampeggiante giallo, come è stato fatto a Zugliano.

  • Non è stato risolto il problema della sicurezza dei pedoni, ragazzi di scuola e adulti, che ogni giorno nel percorrere via Roma sono costretti a camminare tra le auto in assenza di marciapiede.

La sicurezza è una cosa seria, non va declinata a seconda delle convenienze.

  • nel 2021, 100.000 euro destinati “all’efficientamento energetico, all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, allo sviluppo territoriale sostenibile, a interventi per l’adeguamento e la messa in sicurezza di scuole, edifici pubblici e patrimonio comunale e per l’abbattimento delle barriere architettoniche” sono stati destinati tutti a rifare il manto stradale.

Queste risorse potevano essere destinate, almeno in parte, alla transizione energetica, per esempio per produrre energia in modo autonomo da usare per il consumo del Comune e della Scuola, riducendo così i costi sempre maggiori dell’energia elettrica (proposta fatta più di un anno fa in occasione dell’approvazione del Bilancio di previsione 2021), oppure potevano essere destinate alla messa in sicurezza del Municipio.

  • È passato un altro anno senza l’approvazione del Piano degli interventi, strumento base di pianificazione urbanistica.
  • È passato un altro anno senza la messa a punto di un programma a medio periodo di valorizzazione del territorio.

Infine, in riferimento alla trasparenza amministrativa abbiamo chiesto, ancora una volta, che i documenti che contengono in indirizzo i Consiglieri comunali, siano inviati ai Consiglieri nel rispetto dei tempi previsti.

Per queste ragioni il nostro parere, sull’operato della Giunta nel 2021, è un parere negativo, che determina il voto contrario alla Gestione 2021.

Gruppo consiliare “Vivere Calvene”  

LE CENTRALI IDROELETTRICHE DI CALVENE

INTERVISTA AL SIG. GUELFO BINOTTO, EX CUSTODE DELLA CENTRALE DI CALVENE

di Silvia Binotto

In un pomeriggio autunnale dello scorso anno abbiamo avuto il modo e il piacere di ascoltare le parole del sig. Guelfo Binotto e le sue memorie raccolte in più di 40 anni di lavoro come custode presso la centrale idroelettrica di Calvene in via Astico, monumento di archeologia industriale da conoscere e salvaguardare e un tempo simbolo di modernizzazione economica e tecnologica del nostro paese.

Il sig. Guelfo con passione e dedizione ha raccontato aneddoti sulla costruzione e la messa in funzione della centrale idroelettrica, come un libro di storia aperto e pronto ad essere letto e ascoltato, fornendo anche moltissime immagini d’epoca e foto di momenti storici significativi, come l’alluvione del 4 novembre 1966 che colpì l’Italia, a seguito di un’eccezionale ondata di maltempo, causando non pochi danni anche a Calvene e nei paesi limitrofi.

Foto storica della centrale di Calvene, custodita dal sig. Guelfo e donatagli in segno di riconoscimento per il lavoro svolto come custode presso la stessa, per più di 40 anni.

La centrale idroelettrica di Calvene, in via Astico, fu costruita per volere dell’illustre industriale scledense Alessandro Rossi [1], pochi anni prima della sua morte avvenuta dopo una breve malattia il 28 febbraio 1898 a Santorso. Il progetto fu affidato all’ingegnere di Schio Carlo Letter dallo stesso Rossi: inizialmente Letter fu incaricato di eseguire degli studi e dei sopralluoghi lungo il corso dell’Astico nel tratto tra Calvene e Chiuppano per individuare il luogo più adatto per costruire una centrale idroelettrica che sfruttasse le acque stesse del torrente. Individuato il luogo a Calvene, dove ora sorge la centrale, Alessandro Rossi si rivolse nel 1891 al Ministero dei Lavori Pubblici e al Magistrato delle Acque per avere la concessione di costruzione e di sfruttamento dell’acqua; quest’ultima fu assegnata per 80 anni.

Dal 1891 al 1893 furono progettati i lavori di costruzione, poi affidati alla Ditta Apolloni di Chiuppano. Lo scarico dell’acqua fu costruito dal sig. Binotto Giuseppe Speziale e Soci di Calvene.

L’edificio è di cinque vani dove l’acqua giungeva attraverso un canale industriale lungo quasi 3km (2800m), con otto gallerie scavate a mano in rocce vulcaniche, principalmente basalti di colata, una di queste lunga addirittura 300m, le altre più piccole.

Il canale prevedeva una portata d’acqua di 9m³ al secondo. La centrale era dotata di tre turbine Francis con 32 pale ciascuna di marchio Riva di Milano, le quali sfruttavano un salto di 12 metri e 70 centimetri. Le turbine erano controllate nella sala macchine della centrale e regolate in base alla portata d’acqua dell’Astico stesso, non sempre regolare.

Il senatore Alessandro Rossi acquistò a Norimberga dei trasformatori tedeschi dalla fabbrica di Sigmund Schuckert, che furono poi montati e messi in funzione da tecnici tedeschi che vi lavorarono due anni, dal 1898 al 1900.

Agli inizi del 1900 la centrale idroelettrica di Calvene era attiva.

Il sig. Binotto Guelfo all’interno della sala macchine della centrale Rossi di Calvene.

Uno dei problemi principali dei lavori di costruzione e montaggio fu la logistica, ovvero il trasporto di materiali così pesanti nel luogo dove sorge la centrale tuttora: per raggiungere il luogo individuato era necessario attraversare il ponte sull’Astico, che collegava – e tutt’ora collega – il centro del paese con le contrade meridionali sorte sulla destra idrografica del torrente. Al tempo, infatti, il ponte era ancora in legno e solo qualche anno più tardi, in seguito alla piena del 16 maggio 1905 che lo distrusse, fu costruito in cemento armato (si veda l’articolo dedicato). Inoltre la strada che oggi porta alla centrale (via Astico) non esisteva e fu costruita in un secondo momento. Si decise dunque di portare tutto il materiale nella strada che porta a Caltrano e da lì, mediante impalcatura, calare il tutto nel torrente Astico per poi trasportarlo nel luogo indicato quando non era in piena.

L’energia prodotta a regime dalla centrale, con la centrale di Rozzola di Chiuppano, tramite una linea di distribuzione a 25 mila Volts, lunga più di 30km, riforniva il Cotonificio Rossi di Vicenza: fu questa la prima linea elettrica in Europa di questa elevata potenza. Inizialmente l’azienda Rossi voleva costruire il nuovo stabilimento proprio nei pressi della centrale di Calvene ma “i proprietari di terreno osteggiarono con ogni mezzo la costruzione del Cotonificio Rossi nel tratto pianeggiante in prossimità della centrale sull’Astico, obbligando la ditta a sistemare i suoi impianti a Vicenza [2]”.

Furono quindi costruiti nuovi stabilimenti a Lisiera, Debba e Vicenza.

In un successivo momento la storia della centrale idroelettrica di Calvene si intrecciò con la storia della Cartiera di Bernardino Nodari [3] a Lugo di Vicenza (VI). Dopo la tragica morte di Bernardino avvenuta il 19 gennaio 1894, la guida della cartiera venne assunta da Tito Braida, con direttore tecnico Ruggero Benetti che fu collaboratore strettissimo di Bernardino stesso. Nel 1903 la cartiera acquisì dalle ditte Testolin e Bonaguro gli edifici “da maglio” nell’omonima contrada di Calvene, demoliti per costruire al loro posto una centrale idroelettrica dotata di due turbine Francis della ditta Riva di Milano. La centrale della contrada Maglio insieme a quella in località Serra di Lugo di Vicenza servivano al rifornimento elettrico della Cartiera. Il diritto di derivare acqua dal torrente Astico venne concesso in origine alla Cartiera Bernardino Nodari già nel 1882, con Regio Decreto del 7 Dicembre.

Per la costruzione della nuova centrale in località Maglio si decise di sfruttare al meglio le opere già esistenti, ovvero la centrale Rossi poco più a nord. Dalla destra idrografica del torrente Astico, l’acqua doveva passare alla sinistra idrografica, e per questo motivo all’attuale “passante” fu costruita una galleria che taglia trasversalmente l’Astico, ricavata sotto la briglia in corrispondenza dello scarico della centrale Rossi.

Dopo il sottopasso del torrente, il canale in galleria prosegue per circa 300 metri, e poi a pelo libero per altri 700 metri (la roggia), lungo la sponda sinistra del torrente Astico fino a contrada Maglio e alla nuova centrale idroelettrica.

La Roggia.
Centrale idroelettrica in località Maglio Calvene.

Tra le varie concessioni per la costruzione della centrale e la derivazione delle acque dal torrente Astico si leggono alcune particolari condizioni che la Cartiera Nodari doveva garantire al paese di Calvene:

La Società concessionaria è autorizzata a cedere al Comune di Calvene la potenza di 4 HP effettivi affinché se ne serve per dare moto ad un molino […]. Nell’interesse degli abitanti delle contrade prossime al canale di condotta, la Società concessionaria dovrà conservare e mantenere in efficienza a proprie spese la vasca della capacità di quattro metri cubi ad uso abbeveratoio  seguita da altra vasca ad uso lavatoio capace almeno di otto persone, situata presso la strada Pocosa di accesso al Ponte Magan attraverso il torrente Astico, alimentata in modo continuo con l’acqua del canale di carico mediante tubazione della portata di un litro al secondo.”

Abbeveratoio in Contrada Maglio.
Lavatoio presso il Ponte sull’Astico (bene da recuperare).

La Società concessionaria, ovvero la Cartiera di Lugo di Vicenza, proprio per la garantita concessione di derivazione delle acque doveva mantenere in buono stato tutte le opere necessarie, “sia per attraversamenti di strade, canali, scoli e simili, sia  per la difesa della proprietà e del buon regime del torrente Astico e valli confluenti”, con il dovere anche di costruire nuove opere qualora fosse stato necessario [4].

L’alluvione del 1966 dalle parole e dalle foto del sig. Guelfo Binotto

Il 4 novembre 1966 un’eccezionale ondata di maltempo investì l’Italia e causò non pochi danni anche nel nostro paese, soprattutto nelle aree prossime al torrente Astico.

 “Ero alla finestra quando ho visto un grosso albero trasportato dall’acqua, che passava sopra el ponte che bala,  prendendone i ferri e portandolo via; più sù si vedeva el ponte de Zucchi, sembrava tutto un lago.

Il torrente ingrossatosi fece, fortunatamente, una breccia nel canale di scarico, non creando così grossi danni a tutto il complesso ma i canali si riempirono di fango e ghiaia e fu necessario ripulire tutto a mano.  L’acqua giunse a 1.70 m più alta del livello del pavimento delle macchine.”

E ancora: “ Visto che il livello dell’acqua continuava ad aumentare io (il sig. Guelfo) e due miei colleghi, uno di Zugliano e uno di Caltrano, per precauzione decidemmo di costruire un robusto sbarramento, il quale fortunatamente resistette all’urto dell’acqua e la centrale non si allagò.”

Più che le parole sono le foto a raccontare l’evento.

Fango e detriti portati nei canali durante l’alluvione del 4 novembre 1966 (foto archivio Binotto Guelfo).
Poco sopra il davanzale della finestra si vede il livello che raggiunse l’acqua dell’Astico il giorno dell’alluvione.

Negli ultimi anni i passaggi di proprietà delle centrali sono stati accompagnati da consistenti ristrutturazioni interne, che hanno sostituito le storiche apparecchiature con macchinari in grado di sfruttare al massimo l’importante risorsa “ACQUA” nella produzione di energia pulita e rinnovabile, mentre l’esterno conserva il disegno originale degli edifici quale importante testimonianza di archeologia industriale da conservare con orgoglio.

Centrale Rossi.
Centrale al Maglio.

Foto storiche el “ponte che bala” al Passante.

Da Archivio Francesco Brazzale.
Da Archivio Binotto Guelfo (Mirco Polga a destra).
Foto da Roberto e Massimo Brazzale (al centro in basso il papà Gino)

NOTE AL TESTO

[1] “Ingegno possente, raccolse, perfezionò, ingigantì l’incerta e giovane industria laniera della sua Schio, e per essa tenne alto nei traffici del mondo il nome d’Italia. Chiaroveggente, con ardore sempre giovanile, iniziò grandi cose: fondò la Scuola Industriale a Vicenza, creò a Santorso il Podere modello, Mecenate accrebbe, arricchì, decorò,  la piccola terra che gli aveva dato i natali,  assicurando ad essa nome onorato fra le città sorelle. […] beneficò regolarmente il suo prossimo, provvedendo ai parvoli, educando i fanciulli, dando lavoro all’operaio […]”: una sintesi efficace della figura di Alessandro Rossi (1819-1898) dalle parole di don Sebastiano Rumor (1862-1929).

[2] Lino Pellegrini, Calvene, 1953, p. 8.

[3] Tecnico ed imprenditore di formazione internazionale, contraddistinto da forte intuizione Bernardino Nodari (1836-1894) fondò la Cartiera di Lugo di Vicenza, un’impresa-pilota che trasformò l’antica industria cartaria del Veneto e fece della Cartiera stessa di Lugo uno dei più moderni stabilimenti d’Italia.

[4] Tutta la documentazione riguardante la Cartiera di Lugo di Vicenza e la centrale idroelettrica della contrada Maglio di Calvene ci è stata gentilmente fornita da Roger Testolin.

Cambiamenti Climatici e Riscaldamento globale

Dino Polga (parte seconda)

IL BILANCIO ENERGETICO DI UN PIANETA

per leggere la prima parte clicca qui: Cambiamenti climatici, un inverno senza pioggia e senza neve !!!

Capito che è in atto un aumento delle temperature medie nel pianeta e cosa questo implichi per noi, cerchiamo ora di fare chiarezza sul perché questo aumento sta avvenendo; per fare ciò dobbiamo comprendere il concetto di bilancio energetico.

Tutti noi sappiamo cos’è un bilancio: si fa la differenza tra entrate e uscite, a seconda che il risultato sia positivo o negativo abbiamo speso o guadagnato; la stessa cosa accade per il nostro pianeta.

Energia in ingresso
la fonte di energia è una sola: il nostro sole. Le reazioni termonucleari che avvengono nel cuore della nostra stella liberano un’immensa quantità di energia, energia che raggiunge la terra sotto forma di radiazione luminosa.

Energia prodotta
si tratta di tutto quello che viene prodotto dalla terra, soprattutto nell’interno del pianeta dal decadimento di materiali radioattivi e dall’affondamento degli elementi più pesanti verso il centro. È ciò che mantiene fuso il cuore del nostro pianeta alimentando vulcani e terremoti.

L’energia prodotta internamente è costante su tempi che si misurano in ere geologiche, per cui da qui in avanti la ignoreremo. L’energia prodotta da noi esseri umani può essere rilevante per il clima locale, ad esempio riscaldamenti e condizionatori hanno influenzato pesantemente il clima delle città negli ultimi decenni.

Energia emessa
Un pianeta ha un solo mezzo per emettere energia: la radiazione termica irradiata verso lo spazio esterno. Tutti i corpi caldi emettono radiazione, tanto più intensa quanto più è caldo il corpo. È il calore che percepiamo sulle mani davanti ad una stufa, o quello che fa spiccare un cervo nel bosco in un sensore termico:

quello che vediamo è l’energia che il corpo caldo dei cervi perde sotto forma di radiazione infrarossa.

Gli scambi termici in atmosfera

Questo è uno schema, molto semplificato, di ciò che succede sopra le nostre teste. Il sole, che è un’enorme fonte di energia, scarica sulla terra circa 300 W al metro quadro. Una parte di questa energia è riflessa dall’atmosfera, dalle nubi e dal suolo, il resto verrà assorbito. La misura di quanto una superficie è “brava” a riflettere l’energia incidente è chiamata albedo; l’albedo di una distesa innevata è quasi 1 -> la stragrande parte dell’energia viene riflessa, di contro l’albedo di una strada asfaltata è quasi 0 -> la strada assorbe quasi tutta l’energia scaldandosi.

Suolo, mare ed atmosfera, essendo caldi, a loro volta emettono radiazione termica, sotto forma di radiazione infrarossa. Una parte di questa viene nuovamente catturata dall’atmosfera, con maggiore o minore efficienza a seconda dei gas che questa contiene. L’energia (incidente, riflessa o riemessa) che viene catturata dall’atmosfera è quel che chiamiamo effetto serra.

Se il totale di quanto arriva dal sole è superiore al totale di quanto la terra riemette verso lo spazio (l’insieme delle frecce verso l’alto) il pianeta si scalda. Le principali variabili in questo gioco di equilibri sono quanta energia arriva dal sole, quanta ne viene riflessa ed emessa dal suolo e quanta ne viene intrappolata in atmosfera.

Il riscaldamento globale è colpa del sole?

Visto lo schema precedente, ci si potrebbe chiedere se il problema non stia nella quantità di energia in ingresso anziché in quella in uscita. L’origine solare è da diversi anni un cavallo di battaglia di chi nega l’influenza umana sul riscaldamento globale (nota è la lettera di Zichichi pubblicata da “Il Giornale” poco tempo fa).  Si sostiene che stiamo uscendo da un’era in cui il sole era più freddo e quindi è normale che il progressivo riscaldamento del sole riscaldi a sua volta la terra.
Il sole segue un ciclo di attività che dura circa 11 anni, oltre a questo ciclo “breve” ce ne sono di più lunghi che ancora non comprendiamo appieno; tuttavia, possiamo confrontare le misurazioni dell’energia in arrivo dal sole con la temperatura del pianeta negli ultimi anni:

È vero il contrario! Negli ultimi 30 anni il sole ha calato la sua attività, e nonostante questo la temperatura media mondiale è salita in modo costante.
Se la causa del riscaldamento non è un aumento dell’energia in ingresso, allora significa che il problema sta in quanta energia viene assorbita tra terreno, mare ed atmosfera. Da misurazioni satellitari sappiamo che l’albedo del pianeta è leggermente calata a causa della riduzione della superficie ghiacciata, ma questa variazione è insufficiente a spiegare l’andamento delle temperature e anzi ne è un effetto. Resta quindi la parte di energia catturata dall’atmosfera.

I gas serra

L’effetto serra è fondamentale per mantenere la vita sulla terra, senza l’atmosfera a trattenere calore la temperatura media del pianeta sarebbe attorno ai -18° contro gli attuali 15°. I nostri vicini cosmici sono due esempi contrapposti, un pianeta dove l’effetto serra è eccessivo e uno in cui quasi non c’è. Marte, con un’atmosfera quasi assente, ha una temperatura media superficiale di -62°; di contro Venere, con la sua spessa atmosfera fatta quasi esclusivamente di anidride carbonica, ha una temperatura media oltre i 450°, abbastanza per fondere il piombo. Eppure, ci sono prove che entrambi in passato abbiano sperimentato periodi con condizioni simili a quelle della Terra, la differenza l’hanno fatta le diverse evoluzioni delle rispettive atmosfere.

I gas serra sono quei gas che anche a basse concentrazioni riescono ad intrappolare una frazione significativa di radiazione. Non tutti i gas sono ugualmente efficienti, e la capacità di ogni gas di assorbire la radiazione dipende dalla lunghezza d’onda di quest’ultima (visibile, infrarosso, ultravioletto… ).

Vapore acqueo



Il vapore acqueo è un potente gas serra in grado di intrappolare una grande quantità di energia. Avete mai notato come una notte coperta da nubi sia molto meno fredda rispetto ad una con cielo limpido?  La differenza la dà il vapore contenuto nelle nubi, che “intrappola” parte dell’energia che se ne sarebbe andata sotto forma di radiazione e la riemette verso terra. L’atmosfera auto-regola il vapore tramite il ciclo dell’acqua: se questo diventa troppo condensa e ricade sotto forma di pioggia o neve.

La quantità di vapore che l’atmosfera mantiene in sospensione è dipendente dalla temperatura: più è elevata più vapore rimane in atmosfera. Misurazioni effettuate negli anni hanno mostrato come la quantità di vapore in atmosfera stia aumentando a tutte le altezze.

L’aumento della temperatura provoca un aumento del vapore in atmosfera, che a sua volta innalza la temperatura di equilibrio. Non possiamo intervenire direttamente sulla concentrazione di vapore acqueo, perché la quantità che noi immettiamo è ininfluente e viene compensata da una maggiore o minore evaporazione da mari e fiumi: nonostante il vapore acqueo sia responsabile di circa il 60% dell’effetto serra, esso non controlla la temperatura della terra, al contrario è la temperatura che controlla la quantità di vapore.

Anidride carbonica

Quando si parla di riscaldamento globale è il primo gas che viene citato (quando non l’unico) ed in effetti è quello responsabile della maggior parte dell’aumento di temperatura. È in grado di assorbire grandi quantità di energia, soprattutto radiazione infrarossa. È un gas onnipresente e strettamente collegato con la vita, è infatti uno dei “prodotti finali” dei processi biologici che sviluppano energia. In questo momento il vostro cervello e i vostri muscoli stanno trasformando zucchero + ossigeno in anidride carbonica e acqua dandovi l’energia per pensare e muovervi. La stessa trasformazione avviene in senso opposto nelle piante attraverso la fotosintesi clorofilliana: le piante usano l’energia solare per convertire acqua e CO2 in zucchero, che poi verrà utilizzato nei processi biologici o trasformato in legno. Ci avete mai pensato? In peso le piante sono praticamente fatte solo di aria e acqua.

Anche l’anidride carbonica ha un ciclo di vita in cui viene continuamente scambiata tra terra, mare ed atmosfera. Questo ciclo è più lungo e complesso di quello dell’acqua: la maggior parte della CO2 è contenuta nelle rocce, disciolta nel mare e immagazzinata dagli organismi viventi. Gli esseri umani sbilanciano il ciclo naturale principalmente in 2 modi:
– immettendo in atmosfera CO2 in eccesso bruciando combustibili fossili
– distruggendo le foreste, quindi immettendo in atmosfera il carbonio in esse contenuto e riducendo allo stesso tempo la capacità planetaria di assorbire CO2.

Essendo il gas il cui aumento di concentrazione è la principale causa del riscaldamento dell’atmosfera, viene usato come “riassuntivo”; per questo motivo nei conteggi le emissioni di altri gas vengono di solito riportate con l’equivalente in emissioni di CO2 = la quantità di CO2 necessaria ad ottenere lo stesso effetto.

Metano

Il metano è un potente gas serra, circa 28 volte più potente della CO2 a parità di peso. Una volta emesso ha un tempo di vita in atmosfera di circa 12 anni, è il secondo gas più abbondante tra i gas a effetto serra correlati all’attività umana e rappresenta circa il 16% delle emissioni globali di gas serra; anch’esso è emesso da fonti sia umane sia naturali.  Dopo un periodo di stabilizzazione all’inizio degli anni 2000, le emissioni di metano nell’atmosfera sono aumentate del 9% ogni anno.  
Si tratta anche in questo caso di un gas strettamente legato con la vita, soprattutto ai fenomeni di fermentazione di rifiuti organici; anche le operazioni nel settore del petrolio e del carbone ne rilasciano grandi quantità. Molte delle opportunità disponibili di riduzione delle emissioni di metano implicano il suo recupero ed utilizzo come carburante per riscaldamento o generazione di energia elettrica; per quanto riguarda i rifiuti, ad esempio, la direttiva dell’UE sulle discariche ha contribuito a dimezzare il metano prodotto (per questo motivo è stata introdotta la raccolta della frazione umida).
Queste azioni di recupero rappresentano opportunità chiave per ridurre anche le emissioni provenienti dall’agricoltura, dalle miniere di carbone e dalle fognature. Purtroppo, ovviamente i sistemi di recupero hanno un costo e non tutte le realtà hanno la possibilità di costruirli senza un adeguato aiuto da parte statale.


Emissioni totali di gas serra

In questo grafico a torta, vediamo la percentuale di emissioni di gas serra divise per settore (calcolo del 2016) emissioni totali 49,4 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2

Con Energia in questo caso si intendono tutti gli utilizzi di energia a livello casalingo e delle industrie: energia elettrica, termica, movimento merci …; la produzione di energia è responsabile da sola di quasi ¾ delle emissioni totali. Le emissioni degli altri comparti invece si riferiscono a tutte quelle fonti di gas serra non legate al consumo di energia, ad esempio la produzione del cemento libera CO2 per il processo chimico utilizzato, i rifiuti emettono metano da fermentazione così come il bestiame e il riso, la deforestazione emette CO2 con gli incendi etc…

Mentre per intervenire sulla porzione Energia si possono “semplicemente” (con delle enormi virgolette) sostituire le fonti utilizzate, modificare il restante quarto delle emissioni implica un ripensamento completo dei processi produttivi.
Ogni fetta della torta meriterebbe un articolo a sé, compresi i sottogruppi, e potremmo parlare per giorni su problematiche, costi e soluzioni per ognuno di essi. Mi limiterò ad una veloce carrellata spendendo solo qualche parola per alcune voci, linkando il sito IEA per approfondimenti su ognuna.

Industria metallurgica:
Eliminare l’utilizzo del carbone nelle fonderie passando ad altoforni elettrici. Ottimizzare l’utilizzo dell’acciaio e usare il più possibile acciaio e metalli di riciclo anziché produrne di nuovi. Ove necessario utilizzare il carbone sequestrando la CO2 emessa.

Industria chimica e petrolchimica:
Ridurre il ricorso ai carburanti fossili negli altri settori. Aumentare il più possibile il riciclo delle termoplastiche per ridurre l’impatto della loro produzione. Per la produzione di metanolo, far passare le industrie che si basano sul carbone come fonte primaria al gas naturale. Soprattutto nei paesi emergenti, incentivare l’uso corretto dei fertilizzanti azotati per diminuirne la domanda.

Trasporti:
Aumentare il ricorso ai trasporti su rotaia per la lunga percorrenza, lasciando su gomma i tratti terminali. Per i trasporti su gomma, sia di merci che di persone, bisognerà passare a carburanti senza emissioni (idrogeno, batteria). Il trasporto marittimo è uno dei settori più difficili da decarbonizzare; a parte aumentare l’efficienza delle navi, per il futuro andranno pensate alimentazioni alternative per le grandi portacontainer (es. nucleare, come già accade per centinaia di mezzi militari). Per il trasporto aereo, al momento non ci sono soluzioni percorribili che vadano oltre un modesto aumento di efficienza dei velivoli.

Uso dell’energia negli edifici:
Il modo migliore per ridurre le emissioni è migliorare l’efficienza energetica degli edifici, riducendo quindi la necessità di riscaldamento / raffrescamento. Man mano che gli edifici saranno ben isolati andrà inoltre abbandonato il gas come fonte energetica per il riscaldamento passando alle pompe di calore; ove possibile, si può inoltre sfruttare l’energia “di scarto” di industrie e centrali elettriche con il teleriscaldamento.

Industria del cemento:
Per ridurre l’emissione di CO2 dalla produzione del cemento vanno abbandonati carbone e gas per i forni che cuociono il clinker; per eliminare però anche la CO2 rilasciata dal riscaldamento del carbonato di calcio (circa 600 kg per tonnellata di cemento) le uniche soluzioni sono il sequestro e stoccaggio della CO2 o cambiare totalmente i materiali e le tecniche con cui è prodotto.

Rifiuti:
In primis va ridotta la quantità di rifiuti che ognuno di noi produce, riducendo l’usa e getta e migliorando gli imballaggi. In secondo luogo, va differenziato e riciclato tutto ciò che è conveniente riciclare: riutilizzare plastica, carta, vetro e metalli ha un impatto in emissioni climalteranti molto minore rispetto a doverne produrre di nuovi. Tutto quel che non è possibile riciclare forzatamente finirà bruciato o interrato (quale delle due soluzioni sia migliore a livello climatico è una questione dibattuta).
Le emissioni di metano dalla fermentazione dei rifiuti (solidi e liquidi) rappresentano sia un contributo alle emissioni di gas serra, sia uno spreco di una potenziale risorsa energetica.  Avere la parte umida dei rifiuti separata dalle altre è importante perché permette di estrarre efficacemente il metano dalla frazione che ne produce la maggior parte, la stessa cosa vale per acque nere ed acque bianche.  

Agricoltura e gestione forestale:
L’agricoltura è una fonte di gas serra importante, su cui sarà necessario intervenire per ridurre l’impatto.
In Europa le emissioni da questo comparto sono in costante discesa da 20 anni grazie al miglioramento delle pratiche agricole; tuttavia, purtroppo nel resto del mondo non è così.
La richiesta di nuovi terreni agricoli è il principale motivo della deforestazione che, oltre a produrre in sé enormi emissioni, riduce la capacità del pianeta di assorbire CO2. Per questo motivo è importante alzare la resa dei campi coltivati estensivamente in modo da necessitare di meno spazio a parità di produzione: il corretto uso dei fertilizzanti (naturali e di sintesi) e l’innovazione in campo agronomico con lo sviluppo di varietà ad alto rendimento (anche GM) sono fondamentali in questo senso. Ultimamente c’è un grosso aumento nella produzione di biocarburanti, perché rientrano tra le fonti rinnovabili, tuttavia il loro EROEI (cioè quanta energia ottengo in cambio di ogni unità spesa per produrli) è vicino ad 1 quando non inferiore; significa che consumo la stessa energia per produrli rispetto a quella che forniranno. Compagnie petrolifere hanno cominciato a mescolare biocarburanti alle loro filiere per apparire più “green”, provocando di conseguenza ulteriore richiesta di terreno, vanno evitate queste operazioni di facciata. In generale la cosa più importante a livello climatico legata all’agricoltura è fermare la deforestazione ed anzi aumentare la superficie forestale; come abbiamo detto gli alberi sono fatti (essenzialmente) di acqua e CO2 estratta dall’aria, ogni quintale di carbonio contenuto in un albero è un quintale di carbonio in meno in atmosfera.

Ciò che è stato scritto sono solo dei pallidi accenni a tutto ciò che dovrà essere implementato se vogliamo davvero mantenere le temperature sotto controllo; purtroppo tutto ciò ha un costo, non solo economico ma anche sociale in termini di cambiamenti nel paniere lavorativo e nei prodotti.

Nel prossimo articolo parleremo di Energia e perché in l’Italia siamo così dipendenti dal Gas




Cambiamenti climatici, un inverno senza pioggia e senza neve !!!

Dino Polga (parte prima)

“A un certo punto della loro storia gli esseri umani hanno iniziato a percepire di aver tragicamente incasinato la situazione climatica del proprio pianeta. «Ma come mai nessuno ci ha avvisati prima?» chiesero spaesati in coro, nello stesso momento gli scienziati che da cinquant’anni cercavano di dare l’allarme avrebbero voluto tirare ceffoni a destra e a manca. Poi arrivò una ragazzina svedese di 15 anni, tale Greta Thunberg, che organizzò uno sciopero e divenne icona mondiale della lotta ai cambiamenti climatici. «Ma allora siete stronzi!» urlarono gli scienziati. Qualche scettico tra la popolazione si chiese: «Ma perché fanno parlare lei e non parlano mai gli scienziati? Ci dev’essere qualcosa sotto». «Ma allora siete proprio stronzi!» riurlarono gli scienziati, per poi accasciarsi in posizione fetale e morire annegati nelle proprie lacrime.”
Da “saggio erotico sulla fine del mondo” di Barbascura X

Negli ultimi anni il cambiamento climatico è entrato prepotentemente nella discussione politica e anche tra la gente. Eppure il primo allarme fu lanciato dal rapporto Charney nel lontano 1979; il documento evidenziava come un sistema basato su combustibili fossili e deforestazione fosse insostenibile nel lungo periodo e come i conseguenti aumenti di temperatura sarebbero diventati sempre più ingestibili.
Ma di cosa si parla esattamente? Perché un personaggio come Greta ha catalizzato l’attenzione di così tante persone? In realtà c’è molta confusione sull’argomento e ciò lascia campo libero a distorsioni e vere e proprie falsità. Ho pensato a questa serie di articoli per cercare di portare un po’ di chiarezza.

Cosa intendiamo quando parliamo di clima?

Per prima cosa facciamo chiarezza su cosa sono meteo e clima, definizioni su cui media e politici fanno spesso (volutamente) confusione.

Il meteo è quello che noi chiamiamo “il tempo”: descrive le condizioni in un particolare luogo in uno specifico momento. Ad esempio: se domani piove a Calvene possiamo dire che il meteo è piovoso. Pioggia, neve, vento, temporali, ondate di calore etc… sono tutti fenomeni metereologici.

Il clima, d’altra parte, rappresenta ben più di un paio di giorni di pioggia. Il clima descrive l’andamento delle condizioni metereologiche in un’area, in un particolare periodo dell’anno. Normalmente in questa stagione piove o è secco? È caldo o freddo? Il clima di una regione viene definito osservando il meteo su un periodo lungo decine di anni, si tratta quindi di una media che ignora i fenomeni limitati nel tempo descrivendo invece le condizioni più generali. Parametri climatici sono ad esempio la temperatura media in inverno, il numero medio di giorni all’anno al di sopra dei 20°C etc…
È quindi possibile dividere il mondo in aree con caratteristiche simili, ad esempio Calvene fa parte della regione climatica padano veneta

La differenza è importante per capire le nostre differenti capacità di previsione.

Per conoscere il tempo atmosferico futuro si sfruttano modelli matematici, in cui è fondamentale conoscere lo stato iniziale da cui partire e su cui applicare il modello. Senza l’accurata conoscenza del meteo attuale non è possibile ottenere una previsione affidabile, per questo motivo è fondamentale avere a disposizione una fitta griglia di osservazioni (temperatura, umidità e pressione in migliaia di punti).

Per quanto siano buoni i dati e complessi i modelli, però, l’atmosfera è così caotica da rendere inutili le previsioni su un arco temporale che sia più lungo di pochi giorni.

Di contro, se vogliamo ottenere scenari climatici non ci interessa avere condizioni iniziali dettagliate, poiché comunque il sistema ne perderebbe rapidamente memoria; ciò che conta questa volta è conoscere bene le condizioni al contorno e le dinamiche interne al sistema per poterne calcolare il punto di equilibrio.

Perché sappiamo che il riscaldamento globale è una realtà

Ormai anche le lobby e i centri di potere, che fino a qualche decennio fa negavano la realtà del riscaldamento climatico, hanno dovuto arrendersi all’evidenza dei fatti: le temperature medie globali si stanno alzando.
Lo sappiamo nel modo più banale: per gli ultimi 140 anni abbiamo misure dirette della temperatura a livello globale.

Ma possiamo fare di più, anche in assenza di registrazioni dirette, si possono utilizzare molti metodi diversi per stimare le temperature (carotaggi nel ghiaccio, resoconti storici, anelli di crescita degli alberi … ), in questo modo si sono ottenuti gli andamenti delle temperature su scale temporali di migliaia di anni. Questo è il grafico più famoso, con l’andamento della temperatura media globale dall’anno zero:

Il grafico ha preso il nome di “hockey stick” (stecca da hockey) a causa della sua forma che impenna bruscamente verso l’alto.
Vediamo il periodo 1450 – 1850 evidenziato come “piccola era glaciale”, si tratta di alcuni secoli in cui si registrò un abbassamento della temperatura media terrestre, in contrasto con il precedente “periodo caldo medievale”. Questo per mostrare come è vero che la temperatura media è cambiata più volte a prescindere da noi esseri umani; tuttavia, è evidente come il cambiamento negli ultimi 150 anni sia molto più vasto e repentino delle variazioni precedenti.
L’ambiente in cui viviamo e, di conseguenza, il nostro tenore di vita sono messi a grave rischio da questo veloce aumento delle temperature.  

Che influenza ha localmente l’aumento di temperatura globale

Ma in definitiva, perché dovrebbe interessarci il fatto che le temperature medie globali si stiano alzando? In fin dei conti uno o due gradi sono poca cosa, non potranno avere granché effetto. Purtroppo non è così, almeno non ovunque. È vero che globalmente le temperature saliranno di pochi gradi, ma lo scostamento non è uniforme e localmente può essere molto più marcato. Per restare nei nostri territori, negli ultimi 40 anni le temperature minime invernali hanno subito un aumento drastico. Una volta vedere l’Astico completamente ghiacciato per diverse settimane l’anno era la norma, tanto che da ragazzi passavamo le giornate a pattinare su Boreta, Passante e Senje Nere.

Da oltre dieci anni non è più possibile farlo, anzi ormai è raro vedere accenni di ghiaccio sul torrente.
La media annuale delle temperature registrata dalla stazione meteo di Vicenza è aumentata in 35 anni di quasi 4 gradi (da 12,2 nel 1973 a 16 nel 2007) anche se la temperatura media globale nello stesso periodo si è alzata di appena 0,5 gradi.

Se la diminuzione delle giornate fredde può non sembrare un grosso problema, di contro sono aumentate anche le giornate estive oltre i 30 gradi, con tutti i problemi che questo comporta.

Anche le precipitazioni si sono modificate in modo apprezzabile, ormai è raro veder nevicare a Calvene, così come il manto nevoso nell’altopiano è divenuto molto più scarso e scostante costringendo alla chiusura diversi impianti storici di risalita. In generale, i ghiacciai alpini hanno perso oltre il 40% della superficie da quando le rilevazioni sono fatte in maniera consistente. Questi cambiamenti, oltre ai problemi diretti che danno agli esseri umani, portano ad una modifica profonda per le specie animali e vegetali del territorio. La mancanza di temperature rigide invernali e le aumentate temperature estive possono favorire la crescita parassiti e specie aliene a discapito di quelle autoctone; allo stesso modo estati più calde e secche favoriscono gli incendi: in California dei 10 incendi più grandi degli ultimi 100 anni 9 sono avvenuti negli ultimi anni.
 
Il calore di mare, terra e aria è il “motore” che muove l’atmosfera; più calore significa più “carburante” per venti, tempeste e temporali. Detto in gergo più tecnico, l’atmosfera ha più energia a disposizione e questo provoca un aumento medio di intensità dei fenomeni.
Negli ultimi 10 anni in Italia si sono verificati circa 1000 eventi meteo estremi che hanno colpito oltre 600 comuni. Ad esempio, il numero di trombe d’aria riportate negli ultimi anni è aumentato notevolmente, così come la media delle intensità registrate. Come riporta il col. Giuliacci, siamo passati dai 30-50 casi l’anno nel periodo 1970-2000 a ben 72 casi nel 2020 e addirittura 105 casi nel 2021, il più alto valore di sempre.

Per fortuna la conformazione del nostro territorio non favorisce la creazione di tornado, che prediligono zone pianeggianti, ciononostante in anni recenti ci sono state trombe d’aria a Breganze, Fara Vicentino e Roana.

Solo pochi anni fa le nostre montagne sono state investite dalla tempesta Vaia, in cui un fortissimo vento di scirocco tra i 100 ed i 200 km/h ha provocato lo schianto di milioni di alberi, provocando un vero e proprio disastro naturale da cui i boschi devono ancora risollevarsi.

Diverse grandinate eccezionali per la dimensione dei chicchi sono avvenute nelle nostre zone negli ultimi anni, con danni a raccolti, macchine e edifici.

grandine a Piovene Rocchette, settembre 2020

Quest’anno invece è cominciato con un’estrema siccità dovuta alle scarsissime precipitazioni durante l’autunno/inverno. È dal 2020 che l’Italia è in deficit idrico, ma adesso la situazione è particolarmente grave e il terreno eccezionalmente secco potrebbe impattare in modo pesante sull’agricoltura . “Nelle nostre zone rispetto alla media le precipitazioni dell’ultimo anno sono inferiori di oltre 400 mm e l’umidità al suolo di circa l’80%”.

È un errore indicare questo o quell’evento come direttamente causato dal riscaldamento globale perché si tratta di eventi che sono sempre accaduti; tuttavia, con l’aumento delle temperature dobbiamo fare i conti con l’aumento di frequenza ed intensità dei fenomeni.

Dopo gli articoli sui “Cambiamenti Climatici” pubblicati nel 2020 e 2021 questo, che avete appena letto, è il primo di quattro nuovi approfondimenti sull’argomento che affronteremo in questo 2022.





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