di Gianni Balzan
Bepi
Don Beppe. No, anzi, Bepi!
Ecco, questo è un nome che non ha bisogno di presentazioni tra la nostra gente. Chi, tra noi, non conosce questo mite prete proveniente da un’altra Diocesi che qui ha piantato e coltivato il seme di un grande sogno?
Non sono necessari aggettivi altosonanti per descriverlo e raccontarlo. Basta guardarlo negli occhi per capire subito chi abbiamo davanti: un uomo di Dio determinato a portare avanti la sua missione con le armi della pace, della mitezza e dell’esempio.

Ed è proprio qui, al confine ovest del nostro paese, che quaranta anni fa (era il 1983) Bepi ha dato un senso pratico al comandamento fondamentale della cristianità: il comandamento dell’Amore. E’ qui che “Amatevi come io vi ho Amato” ha preso forma nella sua essenza: l’amore verso gli ultimi, gli indifesi.
Ma procediamo con ordine
La Comunità
Siamo agli inizi degli anni ‘80 e Bepi prestava il servizio come cappellano in una parrocchia di Bassano del Grappa.
Per chi se li ricorda, gli anni ’80 sono stati anni caratterizzati da tante luci e altrettante ombre nella storia e nella vita della nostra società. Momenti di esaltazione si alternavano a momenti di paura e preoccupazione.
In questo clima stava prendendo piede anche una nuova coscienza nei giovani sui temi della pace, della non violenza e dell’impegno verso la società. Parecchi giovani rifiutavano la leva, allora obbligatoria, per dedicarsi ad attività di volontariato e impegno civile prestando la loro opera in associazioni e istituzioni che rivolgevano le loro attenzioni verso le persone più fragili della collettività.
Bepi accolse questi giovani negli ambienti parrocchiali, assieme a loro prese coscienza di un fenomeno in continua espansione a quei tempi, in particolar modo nel bassanese: la criminalità minorile; ovvero quei minori che commettevano un reato, venivano richiusi in riformatori o carceri minorili, e lì restavano dimenticati da tutti. Quando uscivano non erano certo migliori rispetto a quando erano entrati.
Ecco: la prima idea, che scaturì poi nel primo grande sogno, è stata quella di rivolgere le proprie attenzioni a questi minori e dare loro una possibilità di reintegrarsi nella società.
Per far questo bisognava trovare un ambiente idoneo e chiedere al Vescovo di potervisi dedicare.
Fortunatamente il Vescovo era di larghe vedute e approvò la nuova missione di Bepi. Molto più problematica è stata invece la ricerca dell’ambiente idoneo.
Il territorio attorno a Bassano è stato il primo oggetto delle attenzioni di Bepi e di questo sparuto gruppo di giovani obiettori. Attenzioni purtroppo vane: non appena i proprietari venivano a sapere a quale scopo era destinato l’immobile da mettere a disposizione venivano accampate le più svariate scuse pur di non vendere. Nessuno voleva avere minori problematici come vicini di casa.
Fu così che si decise di ampliare l’area di ricerca spargendo la voce ad amici e conoscenti con il passaparola.
Non è stata “una notizia un po’ originale che non ha bisogno di alcun giornale e come una freccia dall’arco scocca vola veloce di bocca in bocca (De André)”, però arrivò alle orecchie di un calvenese DOC: Antonio Testolin (Toni Fornaro) e questo bastò.
Toni si interessò alla cosa e trovò un immobile semi abbandonato, fuori mano, e dalle grandissime potenzialità nella parte ad ovest del nostro paese.
Per Bepi fu amore a prima vista. Alla prima visita trovò una casetta immersa in un campo stracolmo viole fiorite e con un albero altrettanto pieno di fiori. Sembrava proprio che la natura e il cielo assieme dicessero: “questo è il posto per la tua missione!”
Non fu facile convincere i proprietari a vendere. Non è che i calvenesi non avessero le stesse perplessità e paure dei bassanesi, però la mitezza e la caparbietà di Bepi, assieme all’importante mediazione di Toni ebbero la meglio e, nell’estate 1983, Bepi e i primi obiettori conclusero l’acquisto e iniziarono l’opera di sistemazione della prima casetta.
Si partiva al mattino presto da Bassano e si tornava la sera tardi. Lo spirito era quello di chi si stava dedicando anima e corpo al sogno.
In questo periodo era più facile trovare Bepi in calzoncini e maglietta con in mano un badile o la cazzuola a trainare i ragazzi nel lavoro, piuttosto che stare solo a guardare e comandare. Caratteristica, questa, che non l’ha mai abbandonato pure negli anni a seguire.
La notte di Natale del 1983 Bepi passò la sua prima notte nella casetta appena ristrutturata assieme al suo primo ospite.
Il Sogno varcò una tappa fondamentale: il germoglio piantato era appena nato.
Non sono state però tutte rose e viole. L’accettazione da parte di noi calvenesi non è stata immediata. E’ stato un processo lentissimo. L’incerto, la non conoscenza e la paura per i cambiamenti nella società sollecitavano e risvegliavano tra la nostra gente sentimenti di chiusura e di rifiuto.
Tuttavia il tempo, l’esempio di Bepi e le persone che lo hanno appoggiato fin dall’inizio hanno contribuito a creare le prime crepe nel muro che si era eretto e pian piano lo si è visto crollare. Ad oggi ci sono ancora dei residui ai margini, ma la via verso l’ovest è libera, sicura e percorribile.
Con il tempo la comunità si è evoluta sia territorialmente che professionalmente ed ha raggiunto le dimensioni e competenze attuali. Il germoglio nato la notte di Natale del 1983 è diventato un albero rigoglioso pieno di fronde, fiori e frutti. Descriverne la storia, i risultati, le delusioni e i successi ottenuti nel corso di questi 40 anni porterebbe ad un tomo di qualche centinaio di pagine e non è questo il nostro tema.
Noi parliamo di sogni e, nato da un fiore dell’albero così rigogliosamente cresciuto, c’è un altro sogno molto interessante di cui vi vorrei raccontare la storia.
Il Bosco
C’è stato un periodo in cui la Comunità aveva raggiunto dimensioni importanti e ci si poneva il problema di riscaldare gli ambienti nei mesi invernali.
La legna cominciava a scarseggiare e la si doveva cercare laddove era messa a disposizione. Più di qualche volta Bepi con i suoi si erano recati sul Novegno dove i ragazzi di Schio avevano tagliato della legna e messa a disposizione della comunità. Era un lavorio immane.
Come si dice, anche la provvidenza ci mise del suo, tanto che si presentò a Bepi il proprietario del bosco a nord della comunità con la proposta di vendergliene un pezzo. All’inizio Bepi era titubante perché il bosco era praticamente inaccessibile (non c’erano strade di accesso) e in mezzo c’erano altre proprietà da attraversare. Però l’insistenza del proprietario ebbe la meglio e Bepi acquistò un primo pezzo del bosco.
Cominciò così un’importante e faticosa opera di taglio e pulizia del bosco da parte di Bepi e dei volontari. Man mano che si andava avanti si scoprivano aree sempre più invitanti e belle. Si incrociavano manufatti diroccati e pianori erbosi.
Fu proprio lavorando in questo tratto di bosco che a Bepi venne in mente Franco Totaro: un amico conosciuto a Bassano, prematuramente scomparso, che considerava un visionario e una fucina di idee innovative. E mentre pensava a Franco e lo immaginava lì, davanti a lui, che lo aiutava ad estirpare rovi e a far pulizia del bosco, nacque e prese forma l’idea di utilizzare questo pezzo di terra come luogo magico, immerso nella natura, dove si potessero fare delle passeggiate nel verde e ci si potesse rigenerare lo spirito.
Ecco: un nuovo sogno aveva occupato tutti i posti disponibili nella mente di Bepi.
L’innamoramento definitivo però avvenne più avanti, quando la natura mostrò a tutti la più bella della sorprese. Andando verso il confine ad ovest, la vegetazione diventava sempre più fitta e si sentiva in lontananza e molto attutito il gorgoglio dell’acqua che scendeva a valle. Una volta tagliato le piante più grandi e pulito dalle sterpaglie le rocce, si manifestò agli occhi dei presenti una bellissima cascata che alimentava una pozza naturale che lasciò tutti a bocca aperta.
E’ difficile, se non impossibile, descrivere le emozioni che accompagnano la scoperta delle bellezze naturali. Bisogna viverle direttamente per poterle comprendere.
Questo rafforzò in Bepi l’idea nata da poco e arricchì il sogno di altre idee che nella sua mente vulcanica si continuavano ad accavallare.
Tanto che l’anno successivo acquistò anche il rimanente pezzo di bosco e andò alla ricerca di finanziamenti verso privati e istituzioni proponendo un progetto per il “Parco delle cascate Franco Totaro” dove descrisse il sogno.
Arrivarono così i primi finanziamenti che permisero la costruzione della strada di accesso e la pulizia del bosco.
A questo punto l’area divenne accessibile a tutti e venne continuamente arricchita di nuove attrazioni che la valorizzarono sempre più.
Bepi coinvolse degli amici del CAI di Schio per tracciare una piccola via ferrata per scalare le pareti a fianco delle cascate, coinvolse anche un gruppo di artisti che impreziosirono con le loro opere d’arte rigorosamente in equilibrio con la natura, vari angoli del parco, e trasformò, con l’aiuto di tanti, un bosco inaccessibile, in un luogo sempre aperto a tutti, dove si possono fare passeggiate in mezzo al verde, al riparo dal sole e dove la bellezza della natura e l’arte umana si fondono assieme per elevare lo spirito dei visitatori.
Le Associazioni di Calvene hanno capito sin da subito il potenziale di questo posto. La Pro Loco vi ha organizzato per parecchi anni la festa del primo maggio, e da qualche anno un insieme di Associazioni di Calvene l’ha utilizzato come luogo di proposte teatrali e incontri culturali, grazie anche ad uno spazio ricavato risanando una vecchia cava di saldame dandogli la forma di un anfiteatro.
Quest’anno sono previste 2 attività:
- Il 30 Giugno alle ore 20.30 la presentazione del libro “Il cane d’oro” di Sara Segantini
- Il 30 Luglio alle ore 21.00 la proiezione di un cortometraggio realizzato dai giovani talenti della Contrada
Tutto qua?
Non sto certo a fare una guida turistica di questo luogo magico. Bisogna andarci e dedicarci il tempo necessario seguendo la lentezza dei tempi della natura.
Poi, ormai conosciamo Bepi. La sua mente vulcanica è piena di nuove idee. Alcune anche me le ha raccontate, ma non le voglio raccontare in queste righe. Sarebbe come rivelare il finale di un libro a chi ancora deve leggerlo.
Vi invito davvero ad accedere a questa porta dell’ovest e assaporarne l’essenza.








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