Nel 1960 la popolazione mondiale stimata era di 3 miliardi di persone, vent’anni dopo, nel 1980, aveva raggiunto i 4,5 miliardi; nell’anno 2000 le statistiche parlavano di 6 miliardi, all’inizio del 2023 secondo una stima ufficiale delle Nazioni Unite la popolazione mondiale ha raggiunto 8 miliardi di individui (in 60 anni da 3 a 8 miliardi) e il prossimo anno saremo 80 milioni in più.
Oggi, nel mondo, ci sono un miliardo e duecento milioni di veicoli, se questo modello di crescita fosse seguito da tutte le società, la stima è di cinque miliardi di veicoli nel 2050.
Più il mondo si sviluppa, più cresce la sete di energia; prima della fine del secolo lo sfruttamento eccessivo, di minerali e petrolio, avrà esaurito quasi tutte le riserve del pianeta.
Non ci può essere una crescita infinita in un mondo finito.
La Scienza lo ripete da anni, dobbiamo avere il coraggio di affrontare la realtà, prendere atto delle conseguenze dannose di questo modello di sviluppo incontrollato.
Il pianeta si sta surriscaldando troppo, troppo in fretta; la calotta glaciale e i ghiacciai si stanno fondendo ad un ritmo che neanche gli scienziati più pessimisti avevano previsto solo 20 anni fa.
Tutta l’energia che, con le nostre attività, rilasciamo nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica si ritrova nella forza dirompente di tempeste, uragani, cicloni, ondate di calore, inondazioni e incendi sempre più intensi e sempre più frequenti: siamo tutti coinvolti.
È urgente una decisa e globale inversione di tendenza che passi dalla drastica riduzione dell’utilizzo delle energie fossili al massiccio sviluppo delle energie rinnovabili.
Questa volta il dato è certo e definitivo, il 2023 è stato l’anno più caldo da quando si misura la “febbre” del pianeta Terra: 1,46°C superiore alla media pre-industriale del periodo 1850-1900.
Secondo il prestigioso Global Carbon project, gruppo che riunisce oltre 90 università ed istituti di ricerca in tutto il mondo, è “ormai inevitabile” che la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale venga superata «costantemente per diversi anni» e c’è il 50% di possibilità che ciò accada in soli sette anni.
Il carbone rappresenta il 41% delle emissioni globali e il suo utilizzo è aumentato soprattutto in Cina e India, mentre è diminuito drasticamente in Unione europea e negli Usa.In aumento anche le emissioni del petrolio (32% del totale).
Oggi l’80 % delle risorse è consumato dal 20 % della popolazione mondiale e metà della ricchezza è nelle mani del 2 % della popolazione. Un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile sicura e 800 milioni di persone soffrono la fame.
Sempre più persone fuggono dalla povertà, dalle guerre, dalle crisi ambientali.
Nel 2019 erano 20 milioni i rifugiati posti sotto il mandato delle Nazioni Unite, nel 2050 l’ONU prevede 250 milioni di rifugiati climatici.
È triste constatare come il mondo stia andando alla deriva; anziché affrontare, tutti insieme, queste enormi problematiche ambientali e sociali che riguardano il futuro dell’umanità, aumenta la follia distruttiva di sempre nuove guerre.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha lanciato l’allarme sullo stato del pianeta e sulla impossibilità dell’Onu di agire in presenza di un così alto numero di conflitti: “dall’Ucraina a Gaza, dal Sudan alla Repubblica Democratica del Congo, dallo Yemen alla Birmania. Accanto alla proliferazione degli scontri armati, i bisogni umanitari globali sono urgentissimi, ma i finanziamenti non tengono il passo e ovunque c’è la guerra, prevale la fame”. Sembra proprio che il nostro mondo sia entrato in un’era dominata dal caos.
In questo contesto, Guterres ha esortato i governi di tutto il mondo a sfruttare l’occasione del “Vertice del futuro” che si terrà a settembre a New York durante la riunione annuale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per dare vita ad una riforma approfondita del Consiglio di Sicurezza, per renderlo più incisivo, superando anche la logica dei veti.
Un esempio su tutti: son passati sei mesi dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas ad Israele; l’inizio di un conflitto che ha già prodotto 33.000 morti, più della metà minori e ancora il Consiglio di sicurezza dell’ONU non è riuscito ad imporre il cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi. Una risoluzione è stata approvata ma non è stata rispettata, dimostrato in modo evidente l’impotenza del Consiglio.
La stessa logica dei veti che troppo spesso paralizza le decisioni più importanti anche in Europa.
Oggi l’Europa sta perdendo credibilità: non è riuscita ad esprimere la sua forza di mediazione nel conflitto tra Russia-Ucraina, non è in grado di imporre una linea europea sui migranti ed è attore passivo nella competizione tra Usa e Cina.
Non era questa l’Europa sognata da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, nel Manifesto di Ventotene.
Il futuro dell’Europa sono gli Stati Uniti d’Europa, con una difesa comune, una politica estera comune, una politica fiscale comune, una politica energetica comune; il futuro dell’Europa sta nella semplificazione dei bandi comunitari e delle procedure di accesso ai fondi europei per favorire così la reale fruizione da parte dei cittadini europei dei benefici che ne derivano.
Europa come opportunità economica, culturale, sociale.
Europa che investe sempre più nei giovani, nei progetti di formazione dei giovani, nel futuro delle nuove generazioni.
Le prossime elezioni dell’8 e 9 giugno sono l’occasione per esprimere la nostra visione dell’Europa.
Partecipiamo insieme a costruire l’Europa dei padri fondatori.
L’Italia negli ultimi 50 anni ha avuto una relazione complicata con le innovazioni in tutti i campi; dall’energia ai trasporti, dall’informatica all’alimentazione, tutte le novità sono accolte da una parte della popolazione con sospetto quando non netto rifiuto. In questo fanno un pessimo servizio gli organi di informazione, interessati più a solleticare le fantasie e le paure che a far passare concetti corretti (d’altra parte paura e sospetto fanno vendere molto più!). Investiti come siamo tutti da un mare di informazioni contrastanti e contraddittorie provenienti da ogni dove, diventa sempre più difficile distinguere realtà da fantasia soprattutto su temi che non hanno risposte semplici. Ho deciso di scrivere questo articolo dopo aver visto condiviso sui social l’ennesimo post infarcito di stupidaggini. Per chi vuole, c’è una piccola introduzione a come funziona un’auto elettrica
che è molto utile per capire i concetti successivi, e un accenno alla sua storia, che contrariamente a quanto si pensa parte fin dagli albori delle automobili.
Per il resto l’articolo è una serie di risposte a varie affermazioni, diciamo così, quantomeno discutibili che ho trovato più frequentemente in rete.
L’auto elettrica inquina più di un’auto “normale” L’auto elettrica sposta solo l’inquinamento
Questo è il punto più complesso da analizzare, e per farlo decentemente bisognerà scendere sul tecnico.
La risposta breve è: grazie all’efficienza molto superiore del motore elettrico, e poiché i filtri presenti in una centrale termoelettrica sono estremamente più grandi e complessi di una marmitta, viaggiando un’auto elettrica inquina meno di una termica anche se alimentata da energia fossile, e inquina ovviamente molto meno se alimentata con fonti a basse emissioni.
Se invece consideriamo l’intero ciclo di vita, un’auto elettrica inquina meno di un’auto a combustione interna a patto che percorra abbastanza chilometri. Quanti chilometri dipende dalla produzione della sua batteria e da dove viene l’energia usata per ricaricarla. Per un’analisi più dettagliata di questo punto rimando all’approfondimento
Ci costringono a cambiare le auto quando una sola nave inquina più di tutte le auto! A noi fanno cambiare l’auto e loro vanno ai meeting in aereo!
Può sembrare ridicolo che i governi si soffermino sulla mobilità individuale quando ci sono altri mezzi di trasporto che SEMBRANO molto più impattanti, ma come sempre quel che non è subito evidente è come tanti piccoli contributi assieme possono risultare molto grandi. Questa è la quantità di CO2 emessa dal settore trasporti divisa per fonte di emissione: il trasporto individuale su gomma da solo è quasi la metà, se aggiungiamo il trasporto merci su camion si arriva a 3/4 delle emissioni totali.
Chiaramente si sta lavorando per ridurre le emissioni anche di aerei e navi, ma è evidente che servirà a poco se non si interviene sulla mobilità stradale.
Le auto elettriche prendono fuoco!
E’ vero, una batteria carica può potenzialmente prendere fuoco, fuoco che poi è molto più difficile spegnere rispetto ad un fuoco alimentato da benzina o diesel, in quanto non necessita dell’ossigeno… l’unica cosa da fare tendenzialmente è lasciar bruciare finché non si estingue da solo. Però chi pubblica questi post non si prende la briga di capire QUANTO è probabile e confrontarlo con una macchina “normale”. Per avere delle statistiche recenti ci vengono in aiuto le compagnie di assicurazione, che ovviamente registrano questi dati per calcolare i premi da far pagare a seconda del tipo di auto.
Anche i dati del ministero dei trasporti statunitense e britannico sono in linea con questo grafico.
Risposta: si, le auto elettriche possono prendere fuoco, ma è estremamente meno probabile rispetto ad endotermiche ed ibride. Che poi, è davvero così sorprendente che le auto A COMBUSTIONE prendano fuoco più facilmente?
Le auto elettriche ci rendono dipendenti dall’estero!
E’ vero, l’industria italiana si è fatta trovare impreparata al cambio di paradigma sui trasporti (vorrei poter dire che la cosa stupisce) e ora si trova a rincorrere attori vecchi e nuovi che sono molto più avanti di noi. Difettiamo anche di molte delle materie prime necessarie per costruire batterie e motori e siamo costretti ad importarli dall’estero, ma la stessa cosa vale per gli idrocarburi. Anzi, importare una singola volta i materiali necessari è molto meglio che dover continuamente importare carburante durante tutta la vita di un veicolo. Per far muovere l’intero parco veicoli a motore l’Italia consuma giornalmente circa 1.200.000 barili di petrolio, il 90% dei quali importato dall’estero per un totale (ai prezzi attuali) di 30 miliardi di euro l’anno di importazioni.
Davvero sono le auto elettriche a renderci dipendenti dall’estero? ps. L’Europa comunque è ben conscia del problema, e con il “piano per le materie prime critiche” punta ad aumentare il più possibile la produzione interna ed il riciclo, abbiamo infatti depositi non sfruttati per molti dei materiali che al momento compriamo all’estero.
Fate tanto i green ma il cobalto per costruire le vostre macchine lo estraggono degli schiavi in Congo!
E’ verissimo, il cobalto è molto usato per la costruzione di batterie al litio, serve per costruire catodi ad alta efficienza nelle batterie LCO (dove la C sta per cobalto) Questo pone non pochi problemi dal lato umanitario, visto che gran parte del cobalto viene davvero estratto dalle miniere in Congo, con poveri minatori sfruttati da miliziani in condizioni disumane.
Gran parte dell’industria automobilistica sta abbandonando il cobalto, accettando di utilizzare catodi con prestazioni inferiori pur di liberarsi dalla sua ingombrante presenza. Molte auto recenti montano infatti batterie Litio-Ferro-Fosfato (LFP) senza cobalto, certo per evitare i problemi di sfruttamento ma soprattutto perché costano meno e non dipendono da una risorsa con prezzi volatili e approvvigionamento incerto. Qualcosa che invece sicuramente contiene cobalto sono le batterie di telefoni e computer portatili: se infatti su un’auto è accettabile avere 200 kg di batteria in più a fronte di un risparmio di migliaia di euro, su un telefono pochi euro di risparmio non valgono una 50a di grammi in più. L’ironia è quindi che chi muove questa accusa dovrebbe farla per primo al mezzo che usa per lanciarla. La cosa diventa ancora più surreale se si aggiunge che il cobalto è molto utilizzato dall’industria petrolifera: è infatti un catalizzatore fondamentale per eliminare lo zolfo nella raffinazione dei carburanti. Se poi si pensa alle enormi problematiche ambientali e sociali legate all’estrazione di idrocarburi e al fatto che molte delle peggiori dittature presenti e passate fondano le loro radici su petrolio e gas, letteralmente si sta guardando la pagliuzza e ignorando la trave.
Usare l’auto elettrica costa più che andare a benzina!
Girano sui social calcoli che mostrano come viaggiare in elettrico non sia conveniente dal punto di vista economico. Quando non sono totalmente inventati, il trucco che usano è confrontare il peggior caso possibile per l’elettrico con uno buono / ottimo in endotermico. I costi delle colonnine di ricarica veloce variano molto, e soprattutto l’anno scorso durante l’impennata dei prezzi dell’energia (ne avevamo parlato qui: https://www.viverecalvene.it/2022/05/11/energia-perche-in-italia-siamo-cosi-dipendenti-dal-gas/) alcuni hanno raggiunto prezzi ben oltre quelli dei combustibili fossili.
I prezzi attuali della ricarica a consumo su colonnina variano da 0,45 euro / kWh (ricarica lenta, fino a 22 kW), a 0,95 euro / kWh (ricarica veloce a 150 kW DC); prendendo un’autonomia media questo si traduce in un prezzo rispettivamente di circa 6,5 e 15 euro per 100 km. Ricaricando a colonnina “lenta” la spesa è simile a quella di una macchina a metano efficiente, ricaricando “veloce” è addirittura superiore ad una buona auto a benzina! Tutto questo però non considera che la ricarica su colonnina deve essere l’eccezione, non la regola, che invece è la ricarica casalinga. Qui i costi cambiano a seconda del gestore, del mese e della fascia oraria, ma si trovano tranquillamente offerte a 0,2 euro kWh o anche meno e a queste cifre la spesa diventa imbattibile per un’endotermica: 2-3 euro / 100km. Ovviamente il discorso diventa ancora più allettante se all’auto è abbinato un impianto fotovoltaico perché a quel punto il costo di ricarica diventa zero.
La batteria dopo 20 / 50 /100.000 km è da buttare!
Questo è uno dei miti più presenti, basato su poca verità e tanta esagerazione: è vero, le batterie degradano con ogni ciclo di carica/scarica, ma questo è molto meno pronunciato rispetto a quanto racconta chi fa allarmismo. Sono molte le variabili in gioco, ad esempio la velocità di ricarica: più è elevata più avvengono reazioni chimiche indesiderate (perché la batteria si scalda). Il degrado è più accentuato anche quando si lavora attorno agli estremi dei livelli di carica, per questo motivo le batterie spesso vengono limitate per non uscire mai dall’intervallo 10% – 90% e rallentano la velocità di carica / scarica fuori dai range ottimali. Batterie di tipo diverso rispondo poi in maniera diversa. Le batterie LCO se maltrattate possono perdere circa il 10% delle loro capacità di carica dopo circa 300 cicli completi (100.000 km, per un’auto media). Le batterie LFP sono meno sensibili e riescono a gestire dai 3000 ai 5.000 cicli completi di carico/scarico, vuol dire nel caso peggiore durare un milione di km.
Per capire comunque quanto questo sia un problema ampiamente esagerato, una Tesla model S del 2014, con batteria LCO, in 8 anni ha percorso 1.600.000 km con la sua batteria originale (ha però dovuto cambiare il motore più volte, la prima dopo 780.000 km).
A fine vita è impossibile riciclare le batterie e inquinano tantissimo!
Costruire la batteria è un processo dispendioso ed inquinante, e il suo smaltimento? Al momento il riciclo delle batterie delle auto è ancora agli inizi ed il motivo è molto semplice: sono pochissimi i veicoli elettrici con batteria a fine vita. Già nel 2022 la capacità di riciclo superava la domanda e si stima che questa situazione continuerà fino al 2030. Ci sono comunque molti investimenti per essere pronti ed il motivo è semplice: anziché dover lavorare migliaia di tonnellate di roccia gli stessi materiali li abbiamo già concentrati in poche centinaia di kg. Inoltre il regolamento europeo obbligherà a sempre maggiori percentuali di materiali riciclati all’interno delle batterie a partire dal 2030. In tutto questo, una batteria che abbia concluso la sua vita “stradale” non è detto che debba essere subito riciclata. Ad esempio una 50 kWh che abbia perso il 50 % della sua capacità ha ancora 25 kWh disponibili, più che sufficienti per l’accumulo casalingo di un impianto solare o, assieme ad altre “compagne”, per formare un accumulatore di rete. Ad esempio lo stadio dell’Ajax ha un impianto di accumulo da 2,8 MWh composto da 148 batterie usate di Nissan Leaf, che gli permette di ridurre quasi a zero il consumo dalla rete durante i grandi eventi. Si stima una vita utile dell’impianto di 10 anni con milioni di euro risparmiati in bolletta, niente male per delle batterie “finite”.
Un viaggio lungo diventa un’odissea interminabile / E se devi fare un viaggio di centinaia di km che non avevi previsto e hai la macchina scarica?
I Viaggi lunghi sono ancora il tallone d’Achille per le auto elettriche, soprattutto a causa dell’infrastruttura immatura nel nostro paese. Per chi ha bisogno di fare frequentemente viaggi lunghi, soprattutto in autostrada, al momento l’elettrico in Italia non è ancora una soluzione pratica. Tuttavia un viaggio progettato in anticipo entro l’Europa è tranquillamente fattibile, dovendosi fermare ogni 200 – 400 km per fare un rabbocco ad una colonnina di ricarica rapida (a seconda della potenza, ci possono volere dai 15 min ad oltre un’ora) accettando lo scotto di pagare qualche euro in più al kW/h.
Quanto al dover fare improvvisamente e con urgenza viaggi di centinaia di km, siamo seri, quante volte vi è capitato nella vita? A me mai. Se proprio dovesse essere si cerca la colonnina rapida più vicina, come detto precedentemente, e si accetta di partire con un’ora di ritardo.
Ci costringono a prendere l’auto elettrica, ma il futuro è l’idrogeno
Cominciamo con lo sfatare il mito che “ci costringono”, visto che il divieto di vendita è tra oltre dieci anni e comunque i mezzi potranno comunque continuare a circolare. Da parecchi anni esistono auto alimentate ad idrogeno, sia con motori “classici” a scoppio, sia con celle a combustibile, quindi praticamente un’auto elettrica che usa l’idrogeno al posto della batteria. Ogni soluzione che sia priva di emissioni è la benvenuta ma, così come le batterie, l’idrogeno porta con sé nuovi problemi. Per cominciare l’idrogeno bisogna produrlo, non si trova libero in quantità apprezzabili, per cui viene ottenuto dal metano e dal carbone (“idrogeno grigio”) oppure dall’acqua (“idrogeno verde”). L’estrazione dell’idrogeno dal metano / carbone rilascia CO2 come la combustione diretta, quindi siamo punto e a capo, mentre l’idrolisi è un processo che richiede molta energia, ovviamente più di quella contenuta nell’idrogeno prodotto. Se supponiamo di usare solo idrogeno verde e le celle a combustibile (molto più efficienti rispetto alla combustione) abbiamo un’auto elettrica con dei passaggi in più:
Il vantaggio è che “il pieno” si può fare in pochi minuti, così come avviene oggi con le auto a combustione, lo svantaggio è che l’intero processo è più inefficiente, tra elettrolisi e cella a combustibile con le tecnologie attuali si perde più del 60% dell’energia in ingresso. Come per le batterie, inoltre, le celle a combustibile sono costose da produrre e degradano le prestazioni nel tempo. Se invece consideriamo l’idrogeno come combustibile per un motore classico, allora la perdita di energia supera l’80%. L’idrogeno, però, può essere prodotto con energia “di scarto”, ad esempio utilizzando i picchi di produzione degli impianti intermittenti o il calore prodotto dalle centrali termoelettriche e nucleari, e una volta prodotto è possibile accumularlo a basso costo (a differenza dell’energia elettrica).
Quindi, alla fin fine, le auto elettriche sono un inganno?
La risposta è no. Rispetto alla media delle auto oggi in circolazione le auto elettriche emettono significativamente meno, anche se la differenza è non è così pronunciata se il confronto lo si fa con i modelli più efficienti in commercio. Il potenziale però è tutto nelle mani delle auto elettriche. Infatti queste valutazioni sono fatte considerando la produzione energetica attuale, con il progressivo miglioramento nei sistemi di produzione di energia, sia l’impatto derivante dalle batterie sia quello derivante dalla ricarica delle auto è destinato a diminuire. E’ quindi fondamentale studiare un piano energetico che garantisca energia elettrica a basse emissioni in modo affidabile e continuo affinché anche le emissioni marginali siano basse. Se così sarà, le auto elettriche saranno le vincitrici assolute ed indiscusse e contribuiranno in modo significativo a diminuire i livelli allarmanti di inquinamento dell’aria.
Esprimiamo la nostra vicinanza alle Famiglie delle vittime e alle tante Famiglie dell’Emilia Romagna colpite dall’alluvione.
In Emilia-Romagna si è passati dall’emergenza siccità alla tragedia delle alluvioni di questi giorni, cosa stà succedendo? Dicono che dipende dall’aumento della temperatura causato dall’effetto serra, ma come si fa a dimostrare che l’aumento dipende dalla CO2 e non da fluttuazioni climatiche?
Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica, ci aiuta a capire:
“E’ la scienza che ci dà la risposta; la storia della temperatura della Terra è analizzata con notevole precisione. Anno per anno si conosce la temperatura media della Terra. Basta analizzare i cerchi che segnano i tronchi degli alberi e i segmenti dei carotaggi polari. Un aumento così rapido, come negli ultimi 40 anni, non si era mai visto”.
Ma perché l’aumento comporta disastri ambientali? “Nelle regioni polari la temperatura è aumentata di 3, anche di 4 gradi per via dell’aria calda che arriva dall’Equatore. All’Equatore va l’aria fredda che arriva dal nord. Succede quindi che sempre più aria calda va verso il nord e sempre più aria fredda verso il sud. Questa circolazione a cui non siamo abituati aumenta l’energia che si accumula nell’atmosfera e che si sfoga negli eventi estremi”.
Cosa dobbiamo fare per evitare questo? “Realizzare un piano mondiale facendo un accordo climatico soprattutto con l’India e la Cina, che insieme fanno quasi metà dell’umanità”.
E in Italia possiamo fare qualcosa? “Dobbiamo. Non soltanto per i cambiamenti climatici ma anche per noi, per la nostra qualità dell’aria”.
Ma cosa in concreto? «Una transizione energetica reale. Bloccare la nostra dipendenza dal gas, dal petrolio e passare alle energie rinnovabili”.
E nelle nostre case? “Cominciamo da una cosa semplice: mettere i doppi vetri a tutte le finestre d’Italia. E su tutti i tetti impianti a energia solare. Con questa mole di lavori si darebbe anche molta occupazione».
Transizione energetica: a che punto siamo?
Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto Roberto Cingolani, ex Ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica.
“Siamo sulla giusta strada ma la velocità della nostra transizione non ci mette in linea con l’accordo di Parigi.
Gli obiettivi che ci eravamo posti (ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, per mantenere l’aumento delle temperature entro un grado e mezzo), sono lontani. Dobbiamo fare molto di più, in Italia e nel mondo.
Tutti i governi e tutti i soggetti interessati parlano di seguire la scienza; la scienza ci dice chiaramente quale è il percorso da seguire e ci dice che più vengono ritardati questi interventi più lontana sarà la possibilità di stare all’interno di 1,5 gradi di aumento della temperatura”.
È vero che sulle tematiche ambientali l’Europa è capofila, ma è anche vero che non tutti sono convinti.
Lo stesso governo attuale italiano, esprime qualche dubbio, rimane ben deciso che la transizione è un dovere da affrontare ma sul come a volte dice che stiamo correndo il rischio di rimanere isolati.
Dobbiamo crederci e investire nelle energie rinnovabili, dobbiamo ridurre l’utilizzo del carbone e del gas nel nostro mix energetico”.
L’emergenza climatica è sempre più pressante e la natura ci stà inviando segnali sempre più chiari dell’esistenza del problema. Non possiamo più ignorarli. Non c’è più tempo da perdere.
La ricerca ci ha dato la possibilità di catturare l’energia del sole con una tecnologia estremamente semplice; il sole illumina il pannello che trasforma la luce in energia elettrica (corrente continua), la quale viene convertita da uno strumento, l’inverter, in corrente alternata che viene immessa sulla rete delle case, delle aziende o direttamente sulla rete elettrica. Nelle installazioni domestiche o aziendali l’energia prodotta in eccesso (quella non consumata in casa) viene ceduta alla rete elettrica esterna e pagata, all’utente, dal gestore della rete.
Se seguissimo le indicazioni del Nobel per la fisica Giorgio Parisi, ossia quello di mettere “su tutti i tetti impianti ad energia solare”, idealmente sarebbe sufficiente installare pannelli sul 10 % delle superfici dei tetti utilizzabili (capannoni, supermercati, residenziale, edifici pubblici) per ottenere tutta l’energia necessaria a sostituire gas e petrolio per usi industriali residenziali e per i trasporti (pari a 385 TWh/anno).
Il prezzo del fotovoltaico, negli ultimi 10 anni, è calato del 90 % e gli attuali incentivi consentono di recuperare il 50 % del costo dell’impianto. Un sistema di media dimensione si paga nei primi tre, quattro anni di esercizio e poi produce energia gratis per i successivi 25- 30 anni. I costi di manutenzione sono estremamente limitati, è sufficiente una pulizia annuale delle superfici per renderle sempre efficienti.
Il sole è gratis e l’energia del sole trasformata dai pannelli fotovoltaici consente il funzionamento di ogni elettrodomestico presente nell’abitazione.
Se a questa possibilità abbiniamo un uso sobrio dell’energia, possiamo contribuire in modo tangibile ed economico, alla riduzione del fabbisogno energetico e alla riduzione della bolletta energetica.
Se l’impianto è dotato del sistema di accumulo (batterie), si può usare l’energia, prodotta in più durante il giorno, per la notte o per le giornate piovose.
La transizione energetica richiede consapevolezza e ci chiede di cambiare alcune nostre abitudini.
In questa transizione, la Politica deve fare la propria parte creando le condizioni di semplificazione amministrativa e mettendo a disposizione incentivi, soprattutto per le Famiglie a basso reddito, affinchè tutti possano accedere alle energie rinnovabili.
Due parole sulla Mobilità elettrica: stiamo parlando di un percorso di fatto già iniziato che prevede un vincolo che sarà imposto tra tredici annialla produzione di nuove auto, mentre le auto già prodotte con motori a scoppio a quella data potranno continuare a circolare. Non c’è dubbio che se dovessimo decidere da domani di vedere in circolazione il 100 % di auto elettriche non saremo preparati, ma l’evoluzione tecnologica e la decisione dell’Unione Europea ci porterà, nel giro di pochi anni, a gestire anche questa impegnativa transizione.
Una transizione che è nell’interesse di tutti perché, non solo è questione di riscaldamento globale, ma è anche questione di emissione di polveri sottili e le auto sono la principale causa di queste emissioni: Vicenza, Brescia, Padova sono tra le città più inquinate d’Europa e la pianura padana è la zona più inquinata dell’Europa occidentale.
Da segnalare le iniziative a sostegno delle popolazioni alluvionate:
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ASSOCIAZIONE PROTEZIONE CIVILE E AMBIENTALE “LA ROCCA” CALVENE
Propone una raccolta fondi per sostenere il Comune di Bagnara di Romagna (RA) colpito dall’alluvione.
I Volontari della Protezione Civile saranno presenti in Piazza Resistenza nei giorni di sabato 27 maggio e sabato 3 giugno dalle ore 18.00 alle ore 20.00
e Domenica 28 maggio e domenica 4 giugno dalle ore 9.00 alle ore 12.00
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Altri articoli, che abbiamo proposto, dedicati ai Cambiamenti Climatici:
Infine, per approfondire tematiche sull’ambiente, sulle energie rinnovabili e su altri temi molto interessanti, consigliamo la visione di una serie di puntate ideata e scritta da Piero Angela e dedicata alle nuove generazioni, cioè ai giovani che oggi frequentano le scuole italiane e che un giorno saranno i responsabili della società del futuro.
Una rete elettrica è una immensa macchina il cui scopo è portare l’energia dai produttori (centrali elettriche) ai consumatori (abitazioni, edifici, aziende) in un formato concordato e ben definito. Le abitazioni private in Italia, ad esempio, ricevono corrente alternata monofase a 230 V con frequenza 50 Hz; è quello che si aspettano le apparecchiature domestiche e se tensione e frequenza non sono sufficientemente precise possono non funzionare o addirittura rompersi.
La rete nazionale è formata da un sistema a maglie via via più fitte: ci sono le reti ad alta tensione (AT) che servono per il trasporto di energia sulle lunghe distanze, le reti a media tensione (MT) per i tragitti più brevi e le reti a bassa tensione (BT) per la distribuzione finale alle abitazioni. A collegare le varie sezioni pensano le stazioni di trasformazione:
L’energia elettrica viene consumata immediatamente, istante per istante la quantità di energia che viene immessa nella rete deve essere all’incirca uguale alla quantità consumata, se ciò non è vero tensione e frequenza di rete deviano dai valori nominali. Fondamentale per la rete è quindi bilanciare l’immissione di energia con la domanda, spostando energia da dove ce n’è troppa a dove ce n’è bisogno. Se la domanda è troppo alta e l’energia necessaria a soddisfarla non è disponibile l’unica soluzione è diminuire forzatamente la richiesta scollegando alcuni rami (blackout). È quel che succede in molte città nelle ondate di calore estive: la richiesta di energia per i condizionatori supera la capacità della rete che quindi stacca la corrente ad interi quartieri. Per evitare che questo accada i gestori cercando sempre di tenere una riserva di potenza a disposizione sufficiente a coprire eventuali picchi di consumo.
Non riuscire a bilanciare produzione e fabbisogno può avere conseguenze catastrofiche. Il giorno 14 febbraio 2021, a causa di una tempesta con temperature particolarmente rigide, la richiesta di energia in Texas ha raggiunto il massimo storico; contemporaneamente molte centrali a gas hanno subito blocchi a causa del freddo mentre solare ed eolico hanno ridotto drasticamente la loro produzione a causa di una tormenta (le pale eoliche vengono bloccate con venti eccessivi per evitare rotture). La rete non è stata in grado di reggere al carico ed ha cominciato a deviare dalla frequenza nominale (nel caso americano, di 60 Hz) … ricordate come gli apparecchi rischiano di rompersi quando non alimentati correttamente? La stessa cosa vale per i generatori, che infatti sono progettati per disconnettersi automaticamente in caso di fluttuazioni eccessive: una dopo l’altra le centrali a gas, a carbone e nucleari si sono disconnesse per “proteggersi”. Oltre 5 milioni di persone hanno sperimentato blackout lunghi giorni, a 12 milioni è mancata l’acqua o non era assicurata la sua potabilità e i danni totali si stimano in 190 miliardi di dollari; tutto questo nonostante la rete non sia collassata completamente ma ci sia solo andata vicina.
Molte fonti di energia non sono in grado di rispondere velocemente ai cambiamenti, ad esempio una centrale a carbone impiega molte ore per essere accesa, se la mia rete ha solo queste sorgenti “lente” sono costretto a tenerne attive abbastanza da coprire il picco massimo previsto, buttando via l’energia prodotta in più.
L’andamento della richiesta di energia ha tipicamente una forma simile, è elevato durante il giorno e cala sensibilmente durante la notte. Per fortuna negli ultimi decenni sono arrivate sul mercato sorgenti “veloci” in grado di cambiare la loro produzione in risposta alle necessità della rete; si stanno anche affacciando soluzioni per immagazzinare parte dell’energia in surplus per poterla poi reimmettere in rete quando c’è alta richiesta.
Rivediamo lo stesso grafico di prima, ma questa volta diciamo di avere 10 GW di riserve di energia accumulate quando la domanda è bassa e altri 20 GW di potenza da fonti “veloci” in grado di inseguire la domanda (es. turbogas).
Vediamo come adesso non ho più bisogno di produrre costantemente 90, ma posso limitare la mia produzione base a 60: a parità di domanda la quantità di energia prodotta è inferiore.
Il minimo della richiesta durante il giorno viene definito “carico di base”, la media “carico medio” e i massimi di consumo “carico di picco”. Idealmente la produzione da fonti di energia invariabili, come impianti a carbone, nucleari, a biomassa etc…, non deve superare il carico di base altrimenti produrranno energia che andrà sprecata. Cosa possiamo fare come cittadini.
Sono molte le cose che noi normali cittadini possiamo fare per diminuire le emissioni dovute alla produzione di energia. La prima cosa è anche la più ovvia: non sprecare energia; fare attenzione ad evitare di lasciare apparecchi accesi inutilmente (televisori, computer… ) riduce anche se di poco la domanda di energia; altra cosa che si può fare se possibile è spalmare le richieste su tempi più lunghi: ad esempio per riscaldare una stanza con apparecchi elettrici meglio impiegare bassa potenza per più tempo.
Un’altra cosa salta subito all’occhio da quanto detto: consumare quando c’è poca domanda aiuta a ridurre gli sprechi perché fa scendere i picchi massimi (carico di picco); è una cosa che possiamo fare tutti spostando verso le ore serali o meglio ancora notturne attività energivore come lavastoviglie o lavatrici e, per chi ce l’ha, la ricarica di auto elettriche. È importante anche utilizzare apparecchi il più possibile efficienti, a livello del cittadino e delle imprese, in quanto contribuiscono a diminuire la domanda, si tratta di investimenti che una volta fatti si ripagano negli anni con minori consumi in bolletta. Il motivo per cui da anni l’UE ha standardizzato le etichette di efficienza energetica è proprio per permettere una scelta consapevole da parte dell’utente. Gli impianti solari casalinghi costituiscono poi un buon modo per produrre energia soprattutto se viene utilizzata direttamente in autoconsumo o salvata in batterie di accumulo; l’energia autoprodotta diminuisce infatti la domanda durante il giorno ed anche la necessità di trasporto a lunga distanza con le relative dispersioni.
Il problema di integrare le fonti rinnovabili nella griglia elettrica La struttura della rete che abbiamo visto è molto efficiente quando si tratta di portare l’energia dal grosso produttore al destinatore finale, spostandola dalle “autostrade” ad alta tensione alle reti intermedie fino alla rete locale; tuttavia, attualmente non è in grado di gestire efficacemente l’arrivo di una grande quantità di energia da fonti rinnovabili locali. Secondo Terna, tra il 2008 e il 2019, la capacità italiana di produzione del parco fotovoltaico è passata da 0,5 gigawatt ad oltre 20 gigawatt, mentre quella da fonte eolica è triplicata, partendo da 3,5 gigawatt a 10 gigawatt; ulteriori 5 gigawatt da eolico/fotovoltaico sono previsti entro il 2024. Tuttavia, a differenza di una “normale” centrale elettrica, avere 1 KW di fotovoltaico installato non significa che quell’impianto generi 1 KW di energia, ma solo che quella è la potenza massima che è in grado di generare; quanta energia è effettivamente prodotta dipende dall’orario e dal meteo sopra l’impianto. Fotovoltaico ed eolico sono fonti aleatorie discontinue, non è possibile cioè prevedere a priori quanta energia saranno in grado di erogare. Ad esempio, in nord Italia sono installati 10 GW tra fotovoltaico ed eolico, ma in questo momento (le 15 del 04/02/2022) stanno immettendo in rete solamente 656 MW, il 6,5%. È importante capire che se la rete ha bisogno di 100 GW di potenza, non si può pensare di soddisfarla semplicemente installando 100 GW di pannelli solari o pale eoliche (troppe volte si leggono semplificazioni del genere!).
Per poter gestire la variabilità che queste fonti di energia portano nella rete sono necessari massicci investimenti; infatti, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza oltre quattro miliardi di euro sono stati stanziati per la costruzione di una Smart Grid (una rete intelligente), in grado di reagire rapidamente ai cambiamenti di carico spostando energia da dove se ne produce troppa a dove c’è carenza. Un altro tassello necessario per poter supportare una percentuale significativa di rinnovabili discontinue saranno grandi sistemi di accumulo, che permettano di immagazzinare l’energia prodotta in eccesso e il suo recupero per coprire i buchi di produzione. Per ultimo, nel caso peggiore la rete deve essere in grado di reggere il massimo picco di richiesta con il minimo di produzione da fonti discontinue, serve quindi una riserva di fonti di alimentazione veloci e/o capacità di importare energia in grado di coprire lo scarto tra produzione e domanda. Piccola guida alle principali fonti di energia elettrica
Non tutte le fonti di energia sono uguali, né sotto il profilo della sicurezza né da quello dell’inquinamento ed emissioni climalteranti. Purtroppo per molte forme di energia si tendono a considerare solo i morti diretti, associati ad incidenti, mentre quelli indiretti passano sotto silenzio. Di seguito una stima della quantità di CO2 equivalente emessa e del numero di morti per unità di energia prodotta; vengono considerati l’intera vita dell’impianto dalla costruzione allo smaltimento e tutta la vita dei materiali, oltre alle morti dovute ad incidenti e all’inquinamento prodotto (fonte ourworldindata).
Carbone
Le centrali a carbone producono energia sfruttando la combustione del carbon fossile, resti di antiche foreste sepolti nel terreno e compressi che nel corso di milioni di anni si sono trasformati in una roccia di colore nero o marrone scuro, composta principalmente di carbonio. Al momento rappresenta la principale fonte energetica, producendo quasi il 36% dell’energia elettrica mondiale, in Italia viene usato soprattutto in Sardegna. È di gran lunga la peggiore sia dal punto di vista delle emissioni di CO2 sia per quanto riguarda l’inquinamento ambientale e le morti: per ogni MWh di energia prodotta servono infatti 490 Kg di carbone, vengono liberati circa 670 Kg di CO2 e 2 Kg tra anidride solforosa, ossidi nitrosi e altri composti inquinanti. Restano inoltre circa 80 Kg di ceneri contenenti metalli pesanti e composti tossici che devono essere smaltite, una parte viene riciclata mescolandola al cemento o all’asfalto per la pavimentazione stradale. L’estrazione del carbone è a sua volta inquinante e rilascia in atmosfera grandi quantità di metano: è responsabile da sola del 9% di tutte le emissioni di questo gas, circa 150 Kg equivalenti di CO2 per MWh di energia prodotta. Le centrali a carbone nel 2014 hanno rilasciato nell’ambiente 22 tonnellate di mercurio nei soli Stati Uniti, la metà di tutto l’inquinamento da mercurio. È difficile pensare di effettuare la cattura del carbonio dai loro fumi a causa della grande quantità di altri composti presenti.
Sono tipicamente centrali “lente” che impiegano ore per rispondere alle variazioni di domanda, per questo motivo capita siano lasciate accese ma scollegate dalla rete come “riserva” in caso di bisogno. Gli impianti sono semplici ed economici da costruire, il combustibile è molto economico e non c’è difficolta di approvvigionamento in quanto presente in molteplici paesi; per questo motivo molti stati emergenti stanno ampliando il loro parco di centrali a carbone (Cina e India in primis).
Si stima che al mondo ci siano circa quattro milioni e mezzo di morti all’anno dovuti all’inquinamento emesso dalle centrali a carbone.
Gas naturale
Il gas naturale come abbiamo visto è prodotto dalla decomposizione anaerobica di materiale organico, in natura si trova comunemente allo stato fossile, spesso insieme a petrolio o carbone. Il suo principale componente è il metano, ma contiene anche altri idrocarburi leggeri (cioè con pochi atomi di carbonio). La generazione di energia da gas naturale rappresenta il 24% della produzione mondiale di energia, e circa la metà del mix italiano. Si tratta di una fonte fossile che emette grandi quantità di CO2 in atmosfera, ma la sua combustione è molto più pulita rispetto al carbone in quanto produce quasi solamente CO2 e acqua; per questo motivo in alcune centrali si stanno sperimentando tecniche di cattura dell’anidride carbonica prodotta, che permetterebbero di limitare di molto la loro impronta climatica.
Ci sono due tecnologie principali utilizzate nelle centrali a gas naturale – turbogas a ciclo semplice: sono molto economici da costruire e possono essere avviati in pochi minuti ma hanno una bassa efficienza; per questo motivo sono normalmente utilizzati solo per soddisfare la domanda di picco.
– turbogas a ciclo combinato: riescono a raggiungere una elevata efficienza, ma sono più costosi da costruire del ciclo semplice e hanno tempi di avvio nell’ordine di un’ora.
Le biomasse sono definite come “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura, dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”. Se avete una stufa a legna o a pellet, quello è un impianto alimentato a biomassa. Si tratta di una fonte di energia rinnovabile perché utilizza materiali che crescono continuamente; la combustione delle biomasse emette nell’atmosfera una quantità di anidride carbonica più o meno corrispondente a quella che era stata assorbita in precedenza dai vegetali durante il processo di crescita. Tuttavia bisogna considerare anche le emissioni dovute alla raccolta e trasporto dei materiali, e questo aumenta la l’impronta climatica di questa fonte di energia in maniera diversa a seconda del tipo di combustibile utilizzato.
A livello di salute la combustione di biomasse legnose emette grandi quantità di particolato che i filtri riescono ad abbattere solo fino ad un certo punto; inoltre, negli anni scorsi l’elevato livello degli incentivi hanno portato in alcuni stati ad un aumento del disboscamento per avere il materiale necessario ad alimentare le centrali.
Idroelettrico
Le centrali idroelettriche sfruttano il movimento di masse d’acqua per produrre energia; è una forma di energia rinnovabile in quanto alimentata dal naturale ciclo dell’acqua. In Italia abbiamo la fortuna di avere a disposizione montagne, vallate e molta acqua, per questo motivo fin dall’inizio l’energia idroelettrica è stata una componente fondamentale del mix nazionale.
In base al funzionamento, le centrali idroelettriche si suddividono in:
centrali a deflusso regolato, in cui si sfruttano grandi altezze di caduta disponibili nelle regioni montane tramite la creazione di dighe ed invasi;
centrali ad acqua fluente, in cui si utilizzano grandi masse di acqua fluviale che superano piccoli dislivelli.
Le centrali di Calvene sono centrali ad acqua fluente alimentate dall’acqua della Roda e hanno quindi una produzione costante di energia; viceversa, gli impianti a bacino possono essere sfruttati “aprendo e chiudendo il rubinetto” regolando quindi la produzione a seconda della domanda, con tempi di risposta nell’ordine dei minuti. Sempre più invasi inoltre stanno venendo modificati per permettere il ripompaggio verso l’alto dell’acqua scaricata (Pumped Hydro), in questo modo si trasformano in vere e proprie batterie in grado di immagazzinare energia e cederla quando c’è bisogno; è di gran lunga la forma di accumulo con più capacità installata in Italia e al mondo.
Le emissioni da idroelettrico sono dovute solamente alla fase di costruzione, l’enorme quantità di cemento necessaria ad erigere gli sbarramenti dei bacini artificiali viene comunque più che ammortizzata nel corso del loro esercizio. Per poter essere costruite le centrali necessitano ovviamente di acqua, in Italia è già stato sfruttato pressoché tutto il potenziale idroelettrico disponibile. Storicamente ci sono stati diversi incidenti legati a questa forma di produzione di energia (Vajont, Gleno … ), è fondamentale il monitoraggio e la corretta gestione di dighe ed invasi per evitare sovraccarichi e rotture. Il più grave incidente legato ad una diga è il cedimento della diga di Banqiao in Cina nel 1975, che ha provocato oltre 170.000 morti.
Nucleare
Le centrali ad energia nucleare sfruttano la fissione degli atomi di elementi pesanti (tipicamente uranio 235) in elementi più leggeri. Al momento questa forma di energia rappresenta il 10% del mix energetico mondiale, in Italia è utilizzata solo da importazione dopo i referendum del 1987.
Si tratta di una forma di energia con fortune altalenanti, alcuni stati europei vogliono abbandonarla mentre altri (come Francia e Finlandia) stanno puntando molto sulle centrali nucleari per raggiungere gli obiettivi climatici. Una centrale nucleare non emette CO2 né altri gas, le emissioni sono solo quelle relative alla costruzione dell’impianto e all’estrazione e trasporto del materiale fissile. Un problema molto sentito è quello delle “scorie”, ossia del combustibile esausto: questo, essendo ricco di prodotti di fissione è estremamente radioattivo e necessita di essere stoccato in sicurezza per secoli. Va detto però che la quantità prodotta è molto limitata; esistono inoltre nuovi impianti a neutroni veloci,in grado di usare come combustibile le scorie di centrali “tradizionali”.
Il reattore a neutroni veloci della centrale di Beloyarsk, soprannominato “il polipo” e attivo dal 2016, usa come combustibili “scorie” di altre centrali e plutonio da ordigni bellici dismessi.
Il costo di costruzione dell’impianto è molto elevato; una volta in esercizio, però, il costo di esercizio è basso e stabile. L’uranio è presente in vari paesi, i principali produttori sono Kazakistan, Canada e Australia; c’era una miniera anche in Italia, a Sondrio, chiusa dopo il referendum. Sono centrali che non possono inseguire la domanda, una volta che il reattore è attivo mantengono una potenza costante, sono quindi pensate per soddisfare il carico di base. Si stanno affacciando sul mercato nuove tipologie di reattori, molto più piccoli, chiamati Small Modular Reactor (SMR): il loro vantaggio è poter essere costruiti in serie direttamente in fabbrica e solo installati in loco, abbattendo di molto il costo di realizzo e di smantellamento a fine vita.
L’incidente di Černobyl’ del 1986 è il più grave incidente nucleare mai avvenuto ed il peggiore possibile: comportò la fusione del nocciolo del reattore, la sua esplosione (non nucleare) e scoperchiamento. Gli effetti sono stati 65 morti dirette accertate, a cui si devono aggiungere oltre 4000 morti stimati negli 80 anni successivi per tumori e leucemie. Più recentemente c’è stato l’incidente di Fukushima, che ha provocato 1 morto diretto e circa 30 morti per lo stress dovuto all’evacuazione della zona di esclusione.
Eolico
I generatori eolici convertono il movimento di masse d’aria in energia elettrica tramite aerogeneratori un po’ come facevano i mulini a vento di una volta. Si tratta di una forma di energia molto conveniente da sfruttare dove ci siano venti sostenuti e costanti, al momento la produzione da eolico rappresenta il 5% del totale mondiale.
Le centrali eoliche (o parchi eolici) sono formate da vari generatori raggruppati e connessi tra loro; un parco eolico può essere composto da diverse centinaia di singoli generatori distribuiti su una vasta superficie, ma il terreno tra le turbine può essere comunque utilizzato anche per scopi agricoli o altro. Esistono anche parchi eolici costruiti in mare aperto (eolico offshore) per sfruttare venti particolarmente favorevoli.
Quasi tutte le turbine eoliche hanno lo stesso disegno: una turbina ad asse orizzontale con un rotore a tre lame, una navicella rotante contenente il generatore e la componentistica di controllo, il tutto posto in cima ad una torre tubolare. Le pale sono normalmente realizzate in materiali compositi, la parte più costosa è la realizzazione del motore elettrico in quanto necessita di varie tonnellate di rame e diverse centinaia di kg di terre rare (soprattutto neodimio). Le turbine eoliche migliorano di efficienza all’aumentare della dimensione, motivo per cui hanno raggiunto taglie imponenti con rotori larghi oltre 100 metri, per questo la loro installazione può presentare problemi dal punto di vista paesaggistico.
Dal momento che la velocità del vento non è costante, la produzione di energia di un impianto eolico è variabile su diverse scale temporali: oraria, giornaliera o stagionale; questo comporta i problemi di gestione della rete che abbiamo visto quando questa non è in grado di gestire la volatilità di produzione. Le emissioni climalteranti legate all’eolico sono solamente quelle dovute alla sua costruzione e messa in opera, più l’estrazione e raffinazione delle materie prime necessarie (soprattutto terre rare e metalli); una volta installato l’impianto non ha emissioni.
Solare
Gli impianti di energia solare trasformano la radiazione in arrivo dalla nostra stella in energia elettrica. Al momento questa forma di energia rappresenta appena il 2.5% del mix energetico mondiale, ma sta crescendo in modo importante negli ultimi anni.
Esistono 2 tipi radicalmente diversi di impianti solari:
Fotovoltaico: sono i classici pannelli che installiamo sui tetti delle nostre case; sfruttano un effetto quantistico per convertire direttamente la radiazione luminosa in energia elettrica con un’efficienza tra il 17 ed il 25% a seconda della tecnologia. I pannelli più comuni sono formati da silicio cristallino drogato con metalli come cadmio o gallio; la loro efficienza degrada con il tempo, mediamente una cella moderna perde circa l’1% ogni 2 anni.
Solare a concentrazione: utilizza una serie di specchi motorizzati controllati da computer per concentrare la luce in un singolo punto e sfruttarne l’energia termica; necessita di grandi spazi e manutenzione costante, ma se ben gestito l’impianto ha una durata teoricamente indefinita.
Essendo basati sull’illuminazione solare, entrambe le tipologie di impianti sono dipendenti dal meteo al di sopra dell’impianto, dall’orario e dalla stagione, e non sono ovviamente in grado di adeguarsi alla domanda. Il costo dei pannelli fotovoltaici ha subito un calo costante, è al momento la fonte di energia più economica per MW installato; tuttavia, il computo non comprende i sistemi di accumulo e/o backup necessari ad integrarli efficacemente in rete.
La realizzazione delle celle fotovoltaiche richiede molta energia, soprattutto per far crescere i cristalli di silicio. Come materie prime il silicio non ha problemi di reperibilità, ma i materiali necessari al suo drogaggio sono di disponibilità molto più limitata e la loro estrazione difficile ed inquinante, la Cina ne è il maggior produttore e pressoché monopolista. Un pannello restituisce comunque l’energia totale necessaria alla sua costruzione nel giro di 2-3 anni, tutto il resto della sua vita operativa è produzione netta e le emissioni in questa fase sono nulle.
Batterie di accumulo
Una centrale di accumulo a batterie non è una centrale elettrica nel senso classico, in quanto non è in grado di produrre energia ma solo di restituire alla rete energia immagazzinata in precedenza. Si tratta delle sorgenti di potenza più veloci a rispondere alle necessità di rete, con tempi di reazione di millisecondi, per questo motivo vengono sempre più usate per stabilizzare la rete in risposta a variazioni repentine di domanda o di potenza.
Potendo solo restituire la potenza accumulata a differenza delle centrali “classiche” hanno un tempo di intervento limitato, ad esempio la centrale di Hornsdale, nel 2017 la più grande esistente, è in grado di fornire 70 MW per un massimo di 10 minuti più 30 MW per un massimo di 3 ore. Può non sembrare molto, ma si tratta di numeri importanti soprattutto in ottica di stabilizzazione della frequenza di funzionamento della rete. Il suo funzionamento abituale è immagazzinare energia quando la domanda è bassa per poi usare i 30 MW di potenza “lunga” per restituirla quando la richiesta è elevata (ovviamente a prezzo più alto); i 70 MW sono invece utilizzati nelle impennate di richiesta o nei crolli di produzione, dando il tempo agli altri impianti (es. a gas) di arrivare a regime e coprire la domanda; in questo modo ha portato ad un aumento significativo nella percentuale di energia australiana prodotta da eolico riducendo la necessità di mantenere altre fonti attive “in riserva”.
Il costo delle batterie è calato drasticamente negli ultimi anni, attualmente costruire un parco batterie in grado di coprire 2 ore di domanda costa quanto una centrale a gas di pari potenza; inoltre non avendo necessità di ricevere carburante e non avendo emissioni, i parchi possono essere installati in prossimità delle città riducendo la necessità di trasporto a lunga distanza dell’energia.
Il problema principale sono le materie prime, soprattutto il litio: questo metallo è abbondante e presente in diverse nazioni; tuttavia, la sua estrazione con le tecniche attuali è laboriosa ed inquinante. Le batterie richiedono inoltre cobalto, le cui riserve sono concentrate nella Repubblica Democratica del Congo al centro di scandali e tragedie umanitarie; per questo motivo sempre di più ci si sta spostando verso batterie con una chimica meno efficiente ma che permetta un ridotto utilizzo di questo materiale.
La richiesta di energia elettrica mondiale è in costante aumento e, come abbiamo visto, per molti settori l’unico modo per abbattere le emissioni climalteranti è sostituire l’elettricità ai combustibili fossili; è quindi pressoché certo chela domanda non farà che aumentare nei prossimi decenni. Le scelte che verranno prese a livello politico su questo settore saranno quindi fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi climatici.
Produzione di energia elettrica nel mondo dal 1985, notare come i cali siano corrispondenti a crisi finanziarie globali
Nel mondo, purtroppo, al 2019, solo il 37% dell’energia proviene da fonti a basso impatto climatico (Idroelettrico, Nucleare, Solare, Eolico, Geotermico); è fondamentale che dal mix vengano abbandonate il prima possibile le fonti fossili: carbone, oli combustibili e gas naturale. È importante però che le scelte energetiche siano guidate da una solida base scientifica e dalla conoscenza delle necessità di rete, e non diventino teatro di scontro ideologico e politico. Nel sito electricitymap.org potete vedere in tempo reale la produzione ed il consumo di energia elettrica di ogni nazione partecipante con i propri dati (alcune, come l’Italia, sono divise in più zone), con il dettaglio di quanti GWh vengono prodotti da ogni fonte e l’intensità media di carbonio emessa
Per ogni area è possibile vedere le diverse fonti energetiche, per ognuna è visibile il totale teorico installato (la barra grigia) e quanto sta effettivamente producendo (la frazione colorata); nella parte bassa ci sono le importazioni / esportazioni da altri stati/aree. In questo momento ad esempio in nord Italia la situazione è questa:
Com’è evidente la parte del leone la fanno le centrali a turbogas, per ogni KWh di energia immessa nella rete del nord Italia vengono rilasciati in atmosfera circa 400 grammi di CO2. Per fare un confronto, questa è la produzione energetica in questo momento di altre nazioni europee, con la relativa intensità di carbonio:
come l’Italia è arrivata alla situazione attuale
In Italia purtroppo dagli anni 80 non è mai stato fatto un piano energetico serio e la questione, come tipico del nostro paese, è stata affrontata con barricate ideologiche da ambo le parti senza una reale comprensione delle esigenze di rete. Le scelte energetiche (e non solo) sono sempre state dettate da considerazioni di convenienza politica sul breve periodo anziché dalla necessaria programmazione a lungo termine; questo ha portato a rendere la nostra rete elettrica poco differenziata e dipendente in maniera quasi esclusiva dal gas naturale.
Dall’inizio della sua elettrificazione, l’Italia ha sfruttato sapientemente la presenza di acqua per costruire impianti idroelettrici, come le bellissime centrali di Calvene. Fino agli anni ’50 pressoché l’intera produzione di energia nazionale era affidata alle centrali idroelettriche.
Negli anni 60, tuttavia, la transizione industriale del paese ha portato ad un rapido aumento della domanda energetica (circa 8% annuo per diversi anni); i possibili bacini in cui costruire grandi impianti idroelettrici erano quasi tutti già sfruttati, il disastro del Vajont nel ’63 ha inoltre aumentato la diffidenza della popolazione verso questa forma di energia e irrigidito la regolamentazione. Da allora la produzione di energia idroelettrica è rimasta pressoché costante fino ai giorni nostri. Essendo gli impianti termoelettrici, come vedremo, i più veloci ed economici da costruire si è scelto di affiancarli alla produzione idroelettrica per colmare la richiesta.
Nel 1975 è stato varato il primo (e unico) vero piano energetico nazionale. Per ridurre la criticità della dipendenza da idrocarburi esteri si è puntato molto sullo sviluppo dell’energia nucleare, nel quale l’Italia stava rapidamente diventando uno dei paesi più avanzati al mondo (il terzo per produzione dopo USA e GB a fine anni ‘60); furono avviati progetto e costruzione di molti nuovi impiantiinnovativi e fu pesantemente incentivata la ricerca.
A seguito però dell’incidente di Černobyl’ del 1986, vennero tenuti i famosi referendum, vinti dal fronte contrario all’energia nucleare. Anche se i quesiti in realtà non vietavano la costruzione di nuove centrali né imponevano la chiusura delle esistenti, negli anni successivi i governi Goria, De Mita e Andreotti ordinarono la chiusura degli impianti e il fermo delle costruzioni (gettando letteralmente dalla finestra le decine di miliardi spesi negli anni precedenti). Ciò si tradusse, complice il coincidente crollo del costo del petrolio, in una ripresa della crescita dell’apporto termoelettrico fossile.
Negli anni 90, a causa dell’aumento del costo del petrolio e dell’incertezza nell’approvvigionamento, si decise per la sua sostituzione con il gas naturale, considerato un combustibile con maggiore disponibilità e proveniente da aree ritenute politicamente meno instabili; anche per le centrali a carbone, sempre più osteggiate dalla popolazione a causa dei loro fumi, venne decisa la transizione verso il gas. Venne aumentata l’importazione di energia dall’estero, in particolare dalla Francia e dalla Svizzera che durante la notte hanno forti eccedenze di produzione. Il Comitato interministeriale dei prezzi stabilì inoltre una maggiorazione del 6% del prezzo finale dell’energia elettrica i cui ricavi dovevano essere utilizzati per promuovere la ricerca e gli investimenti nel campo delle energie rinnovabili e assimilate.
Energia idroelettrica ed energia geotermica erano state già quasi pienamente sfruttate dove ritenuto conveniente; solare, eolico e biomassa hanno cominciato a crescere in maniera consistente negli anni 2000. Permane tuttavia il problema della loro aleatorietà che, vedremo in seguito, continua a limitare la loro penetrazione nella rete e costringe ad avere fonti di backup.
Questo, in sintesi, è ciò che ha portato all’attuale paniere delle fonti italiano, dominato dal gas naturale:
Da dove arriva il gas italiano
Ci sono riserve di gas naturale in Italia, ma al momento le estrazioni nazionali coprono a malapena il 4,4% del consumo interno; inoltre, se dovessimo basarci solo sulla produzione interna, verrebbero esaurite nel giro di pochi anni. Nell’ultimo periodo il loro sfruttamento è in calo costante, la costruzione di nuovi pozzi è pressoché ferma ed anzi si è tentato di bloccare del tutto l’estrazione nazionale (emblematico il referendum del 2016); tutto ciò lascia il nostro paese estremamente dipendente dalle importazioni e quindi dal prezzo del gas sul mercato internazionale.
Per trasportare il gas dai siti di produzione fino ai consumatori ci sono due modalità:
Metanodotti, cioè lunghe tubazioni via terra o sottomarine
Via nave, il gas viene liquefatto (GNL) e trasportato in navi gasiere dai siti di produzione fino a rigassificatori, che lo riconvertono in gas ed immettono in rete
La rete dei metanodotti che distribuisce il gas in Europa dai siti di estrazione in Nord-Africa, Azerbaijan, Mare del Nord e Russia.
Un rigassificatore e una nave gasiera
In Italia arrivano cinque gasdotti:
TAG (Trans Austria Gas) che porta gas russo fino a Tarvisio
Transitgas che porta gas dal nord-Europa fino al Piemonte
Transmed che porta gas algerino a Mazara del Vallo
Greenstream che porta gas dalla Libia a Gela
TAP (Trans Adriatic Pipeline) che porta gas dall’Azerbaijan alla Puglia
Ovviamente per costruire un metanodotto serve molto tempo e una volta costruito non permette alcuna scelta sull’origine del gas. Un rigassificatore al contrario permette di ricevere gas naturale liquefatto (GNL) da qualsiasi produttore al mondo; è quindi una fonte molto più flessibile di un gasdotto, anche se mediamente il costo del gas liquefatto è più alto. L’Italia ha tre rigassificatori: a Panigallia, a Rovigo e su una nave offshore ormeggiata tra Pisa e Livorno.
Questa è la provenienza del gas italiano nel 2021, fonte MISE:
il TAP, entrato in funzione da poco e dopo molte proteste, fortunatamente ha permesso di ridurre sensibilmente la dipendenza dalla Russia dopo il picco storico del 45% nel 2015.
Ciò ha portato ad un notevole aumento di prezzo del gas a partire dall’estate 2021, dovuto al consumo delle riserve per bilanciare la mancata produzione eolica. Le tensioni in Ucraina, poi sfociate in guerra aperta, hanno poi portato all’esplosione del costo del gas essendo la Russia uno dei maggiori esportatori verso l’Europa.
Questo aumento di costo della materia prima porta ad un rincaro dell’energia prodotta per famiglie ed imprese. Ovviamente, essendo l’Italia uno dei paesi con un paniere più dipendente dal gas, questi aumenti vanno ad impattare maggiormente sulle nostre bollette, con un aumento del prezzo dell’energia all’ingrosso del 200% da aprile 2021.
Anche se in parte limitato dagli interventi del governo, questo aumento di prezzo inevitabilmente sarà un problema per le famiglie e per le imprese.
nel prossimo articolo parleremo della rete Elettrica e come funziona
Capito che è in atto un aumento delle temperature medie nel pianeta e cosa questo implichi per noi, cerchiamo ora di fare chiarezza sul perché questo aumento sta avvenendo; per fare ciò dobbiamo comprendere il concetto di bilancio energetico.
Tutti noi sappiamo cos’è un bilancio: si fa la differenza tra entrate e uscite, a seconda che il risultato sia positivo o negativo abbiamo speso o guadagnato; la stessa cosa accade per il nostro pianeta.
Energia in ingresso la fonte di energia è una sola: il nostro sole. Le reazioni termonucleari che avvengono nel cuore della nostra stella liberano un’immensa quantità di energia, energia che raggiunge la terra sotto forma di radiazione luminosa.
Energia prodotta si tratta di tutto quello che viene prodotto dalla terra, soprattutto nell’interno del pianeta dal decadimento di materiali radioattivi e dall’affondamento degli elementi più pesanti verso il centro. È ciò che mantiene fuso il cuore del nostro pianeta alimentando vulcani e terremoti.
L’energia prodotta internamente è costante su tempi che si misurano in ere geologiche, per cui da qui in avanti la ignoreremo. L’energia prodotta da noi esseri umani può essere rilevante per il clima locale, ad esempio riscaldamenti e condizionatori hanno influenzato pesantemente il clima delle città negli ultimi decenni.
Energia emessa Un pianeta ha un solo mezzo per emettere energia: la radiazione termica irradiata verso lo spazio esterno. Tutti i corpi caldi emettono radiazione, tanto più intensa quanto più è caldo il corpo. È il calore che percepiamo sulle mani davanti ad una stufa, o quello che fa spiccare un cervo nel bosco in un sensore termico:
quello che vediamo è l’energia che il corpo caldo dei cervi perde sotto forma di radiazione infrarossa.
Gli scambi termici in atmosfera
Questo è uno schema, molto semplificato, di ciò che succede sopra le nostre teste. Il sole, che è un’enorme fonte di energia, scarica sulla terra circa 300 W al metro quadro. Una parte di questa energia è riflessa dall’atmosfera, dalle nubi e dal suolo, il resto verrà assorbito. La misura di quanto una superficie è “brava” a riflettere l’energia incidente è chiamata albedo; l’albedo di una distesa innevata è quasi 1 -> la stragrande parte dell’energia viene riflessa, di contro l’albedo di una strada asfaltata è quasi 0 -> la strada assorbe quasi tutta l’energia scaldandosi.
Suolo, mare ed atmosfera, essendo caldi, a loro volta emettono radiazione termica, sotto forma di radiazione infrarossa. Una parte di questa viene nuovamente catturata dall’atmosfera, con maggiore o minore efficienza a seconda dei gas che questa contiene. L’energia (incidente, riflessa o riemessa) che viene catturata dall’atmosfera è quel che chiamiamo effetto serra.
Se il totale di quanto arriva dal sole è superiore al totale di quanto la terra riemette verso lo spazio (l’insieme delle frecce verso l’alto) il pianeta si scalda. Le principali variabili in questo gioco di equilibri sono quanta energia arriva dal sole, quanta ne viene riflessa ed emessa dal suolo e quanta ne viene intrappolata in atmosfera.
Il riscaldamento globale è colpa del sole?
Visto lo schema precedente, ci si potrebbe chiedere se il problema non stia nella quantità di energia in ingresso anziché in quella in uscita. L’origine solare è da diversi anni un cavallo di battaglia di chi nega l’influenza umana sul riscaldamento globale (nota è la lettera di Zichichi pubblicata da “Il Giornale” poco tempo fa). Si sostiene che stiamo uscendo da un’era in cui il sole era più freddo e quindi è normale che il progressivo riscaldamento del sole riscaldi a sua volta la terra. Il sole segue un ciclo di attività che dura circa 11 anni, oltre a questo ciclo “breve” ce ne sono di più lunghi che ancora non comprendiamo appieno; tuttavia, possiamo confrontare le misurazioni dell’energia in arrivo dal sole con la temperatura del pianeta negli ultimi anni:
È vero il contrario! Negli ultimi 30 anni il sole ha calato la sua attività, e nonostante questo la temperatura media mondiale è salita in modo costante. Se la causa del riscaldamento non è un aumento dell’energia in ingresso, allora significa che il problema sta in quanta energia viene assorbita tra terreno, mare ed atmosfera. Da misurazioni satellitari sappiamo che l’albedo del pianeta è leggermente calata a causa della riduzione della superficie ghiacciata, ma questa variazione è insufficiente a spiegare l’andamento delle temperature e anzi ne è un effetto. Resta quindi la parte di energia catturata dall’atmosfera.
I gas serra
L’effetto serra è fondamentale per mantenere la vita sulla terra, senza l’atmosfera a trattenere calore la temperatura media del pianeta sarebbe attorno ai -18° contro gli attuali 15°. I nostri vicini cosmici sono due esempi contrapposti, un pianeta dove l’effetto serra è eccessivo e uno in cui quasi non c’è. Marte, con un’atmosfera quasi assente, ha una temperatura media superficiale di -62°; di contro Venere, con la sua spessa atmosfera fatta quasi esclusivamente di anidride carbonica, ha una temperatura media oltre i 450°, abbastanza per fondere il piombo. Eppure, ci sono prove che entrambi in passato abbiano sperimentato periodi con condizioni simili a quelle della Terra, la differenza l’hanno fatta le diverse evoluzioni delle rispettive atmosfere.
I gas serra sono quei gas che anche a basse concentrazioni riescono ad intrappolare una frazione significativa di radiazione. Non tutti i gas sono ugualmente efficienti, e la capacità di ogni gas di assorbire la radiazione dipende dalla lunghezza d’onda di quest’ultima (visibile, infrarosso, ultravioletto… ).
Vapore acqueo
Il vapore acqueo è un potente gas serra in grado di intrappolare una grande quantità di energia. Avete mai notato come una notte coperta da nubi sia molto meno fredda rispetto ad una con cielo limpido? La differenza la dà il vapore contenuto nelle nubi, che “intrappola” parte dell’energia che se ne sarebbe andata sotto forma di radiazione e la riemette verso terra. L’atmosfera auto-regola il vapore tramite il ciclo dell’acqua: se questo diventa troppo condensa e ricade sotto forma di pioggia o neve.
La quantità di vapore che l’atmosfera mantiene in sospensione è dipendente dalla temperatura: più è elevata più vapore rimane in atmosfera. Misurazioni effettuate negli anni hanno mostrato come la quantità di vapore in atmosfera stia aumentando a tutte le altezze.
L’aumento della temperatura provoca un aumento del vapore in atmosfera, che a sua volta innalza la temperatura di equilibrio. Non possiamo intervenire direttamente sulla concentrazione di vapore acqueo, perché la quantità che noi immettiamo è ininfluente e viene compensata da una maggiore o minore evaporazione da mari e fiumi: nonostante il vapore acqueo sia responsabile di circa il 60% dell’effetto serra, esso non controlla la temperatura della terra, al contrario è la temperatura che controlla la quantità di vapore.
Anidride carbonica
Quando si parla di riscaldamento globale è il primo gas che viene citato (quando non l’unico) ed in effetti è quello responsabile della maggior parte dell’aumento di temperatura. È in grado di assorbire grandi quantità di energia, soprattutto radiazione infrarossa. È un gas onnipresente e strettamente collegato con la vita, è infatti uno dei “prodotti finali” dei processi biologici che sviluppano energia. In questo momento il vostro cervello e i vostri muscoli stanno trasformando zucchero + ossigeno in anidride carbonica e acqua dandovi l’energia per pensare e muovervi. La stessa trasformazione avviene in senso opposto nelle piante attraverso la fotosintesi clorofilliana: le piante usano l’energia solare per convertire acqua e CO2 in zucchero, che poi verrà utilizzato nei processi biologici o trasformato in legno. Ci avete mai pensato? In peso le piante sono praticamente fatte solo di aria e acqua.
Anche l’anidride carbonica ha un ciclo di vita in cui viene continuamente scambiata tra terra, mare ed atmosfera. Questo ciclo è più lungo e complesso di quello dell’acqua: la maggior parte della CO2 è contenuta nelle rocce, disciolta nel mare e immagazzinata dagli organismi viventi. Gli esseri umani sbilanciano il ciclo naturale principalmente in 2 modi: – immettendo in atmosfera CO2 in eccesso bruciando combustibili fossili – distruggendo le foreste, quindi immettendo in atmosfera il carbonio in esse contenuto e riducendo allo stesso tempo la capacità planetaria di assorbire CO2.
Essendo il gas il cui aumento di concentrazione è la principale causa del riscaldamento dell’atmosfera, viene usato come “riassuntivo”; per questo motivo nei conteggi le emissioni di altri gas vengono di solito riportate con l’equivalente in emissioni di CO2 = la quantità di CO2 necessaria ad ottenere lo stesso effetto.
Metano
Il metano è un potente gas serra, circa 28 volte più potente della CO2 a parità di peso. Una volta emesso ha un tempo di vita in atmosfera di circa 12 anni, è il secondo gas più abbondante tra i gas a effetto serra correlati all’attività umana e rappresenta circa il 16% delle emissioni globali di gas serra; anch’esso è emesso da fonti sia umane sia naturali. Dopo un periodo di stabilizzazione all’inizio degli anni 2000, le emissioni di metano nell’atmosfera sono aumentate del 9% ogni anno. Si tratta anche in questo caso di un gas strettamente legato con la vita, soprattutto ai fenomeni di fermentazione di rifiuti organici; anche le operazioni nel settore del petrolio e del carbone ne rilasciano grandi quantità. Molte delle opportunità disponibili di riduzione delle emissioni di metano implicano il suo recupero ed utilizzo come carburante per riscaldamento o generazione di energia elettrica; per quanto riguarda i rifiuti, ad esempio, la direttiva dell’UE sulle discariche ha contribuito a dimezzare il metano prodotto (per questo motivo è stata introdotta la raccolta della frazione umida). Queste azioni di recupero rappresentano opportunità chiave per ridurre anche le emissioni provenienti dall’agricoltura, dalle miniere di carbone e dalle fognature. Purtroppo, ovviamente i sistemi di recupero hanno un costo e non tutte le realtà hanno la possibilità di costruirli senza un adeguato aiuto da parte statale.
Con Energia in questo caso si intendono tutti gli utilizzi di energia a livello casalingo e delle industrie: energia elettrica, termica, movimento merci …; la produzione di energia è responsabile da sola di quasi ¾ delle emissioni totali. Le emissioni degli altri comparti invece si riferiscono a tutte quelle fonti di gas serra non legate al consumo di energia, ad esempio la produzione del cemento libera CO2 per il processo chimico utilizzato, i rifiuti emettono metano da fermentazione così come il bestiame e il riso, la deforestazione emette CO2 con gli incendi etc…
Mentre per intervenire sulla porzione Energia si possono “semplicemente” (con delle enormi virgolette) sostituire le fonti utilizzate, modificare il restante quarto delle emissioni implica un ripensamento completo dei processi produttivi. Ogni fetta della torta meriterebbe un articolo a sé, compresi i sottogruppi, e potremmo parlare per giorni su problematiche, costi e soluzioni per ognuno di essi. Mi limiterò ad una veloce carrellata spendendo solo qualche parola per alcune voci, linkando il sito IEA per approfondimenti su ognuna.
Industria metallurgica: Eliminare l’utilizzo del carbone nelle fonderie passando ad altoforni elettrici. Ottimizzare l’utilizzo dell’acciaio e usare il più possibile acciaio e metalli di riciclo anziché produrne di nuovi. Ove necessario utilizzare il carbone sequestrando la CO2 emessa.
Industria chimica e petrolchimica: Ridurre il ricorso ai carburanti fossili negli altri settori. Aumentare il più possibile il riciclo delle termoplastiche per ridurre l’impatto della loro produzione. Per la produzione di metanolo, far passare le industrie che si basano sul carbone come fonte primaria al gas naturale. Soprattutto nei paesi emergenti, incentivare l’uso corretto dei fertilizzanti azotati per diminuirne la domanda.
Trasporti: Aumentare il ricorso ai trasporti su rotaia per la lunga percorrenza, lasciando su gomma i tratti terminali. Per i trasporti su gomma, sia di merci che di persone, bisognerà passare a carburanti senza emissioni (idrogeno, batteria). Il trasporto marittimo è uno dei settori più difficili da decarbonizzare; a parte aumentare l’efficienza delle navi, per il futuro andranno pensate alimentazioni alternative per le grandi portacontainer (es. nucleare, come già accade per centinaia di mezzi militari). Per il trasporto aereo, al momento non ci sono soluzioni percorribili che vadano oltre un modesto aumento di efficienza dei velivoli.
Uso dell’energia negli edifici: Il modo migliore per ridurre le emissioni è migliorare l’efficienza energetica degli edifici, riducendo quindi la necessità di riscaldamento / raffrescamento. Man mano che gli edifici saranno ben isolati andrà inoltre abbandonato il gas come fonte energetica per il riscaldamento passando alle pompe di calore; ove possibile, si può inoltre sfruttare l’energia “di scarto” di industrie e centrali elettriche con il teleriscaldamento.
Industria del cemento: Per ridurre l’emissione di CO2 dalla produzione del cemento vanno abbandonati carbone e gas per i forni che cuociono il clinker; per eliminare però anche la CO2 rilasciata dal riscaldamento del carbonato di calcio (circa 600 kg per tonnellata di cemento) le uniche soluzioni sono il sequestro e stoccaggio della CO2 o cambiare totalmente i materiali e le tecniche con cui è prodotto.
Rifiuti: In primis va ridotta la quantità di rifiuti che ognuno di noi produce, riducendo l’usa e getta e migliorando gli imballaggi. In secondo luogo, va differenziato e riciclato tutto ciò che è conveniente riciclare: riutilizzare plastica, carta, vetro e metalli ha un impatto in emissioni climalteranti molto minore rispetto a doverne produrre di nuovi. Tutto quel che non è possibile riciclare forzatamente finirà bruciato o interrato (quale delle due soluzioni sia migliore a livello climatico è una questione dibattuta). Le emissioni di metano dalla fermentazione dei rifiuti (solidi e liquidi) rappresentano sia un contributo alle emissioni di gas serra, sia uno spreco di una potenziale risorsa energetica. Avere la parte umida dei rifiuti separata dalle altre è importante perché permette di estrarre efficacemente il metano dalla frazione che ne produce la maggior parte, la stessa cosa vale per acque nere ed acque bianche.
Agricoltura e gestione forestale: L’agricoltura è una fonte di gas serra importante, su cui sarà necessario intervenire per ridurre l’impatto. In Europa le emissioni da questo comparto sono in costante discesa da 20 anni grazie al miglioramento delle pratiche agricole; tuttavia, purtroppo nel resto del mondo non è così. La richiesta di nuovi terreni agricoli è il principale motivo della deforestazione che, oltre a produrre in sé enormi emissioni, riduce la capacità del pianeta di assorbire CO2. Per questo motivo è importante alzare la resa dei campi coltivati estensivamente in modo da necessitare di meno spazio a parità di produzione: il corretto uso dei fertilizzanti (naturali e di sintesi) e l’innovazione in campo agronomico con lo sviluppo di varietà ad alto rendimento (anche GM) sono fondamentali in questo senso. Ultimamente c’è un grosso aumento nella produzione di biocarburanti, perché rientrano tra le fonti rinnovabili, tuttavia il loro EROEI (cioè quanta energia ottengo in cambio di ogni unità spesa per produrli) è vicino ad 1 quando non inferiore; significa che consumo la stessa energia per produrli rispetto a quella che forniranno. Compagnie petrolifere hanno cominciato a mescolare biocarburanti alle loro filiere per apparire più “green”, provocando di conseguenza ulteriore richiesta di terreno, vanno evitate queste operazioni di facciata. In generale la cosa più importante a livello climatico legata all’agricoltura è fermare la deforestazione ed anzi aumentare la superficie forestale; come abbiamo detto gli alberi sono fatti (essenzialmente) di acqua e CO2 estratta dall’aria, ogni quintale di carbonio contenuto in un albero è un quintale di carbonio in meno in atmosfera.
Ciò che è stato scritto sono solo dei pallidi accenni a tutto ciò che dovrà essere implementato se vogliamo davvero mantenere le temperature sotto controllo; purtroppo tutto ciò ha un costo, non solo economico ma anche sociale in termini di cambiamenti nel paniere lavorativo e nei prodotti.
Nel prossimo articolo parleremo di Energia e perché in l’Italia siamo così dipendenti dal Gas
“A un certo punto della loro storia gli esseri umani hanno iniziato a percepire di aver tragicamente incasinato la situazione climatica del proprio pianeta. «Ma come mai nessuno ci ha avvisati prima?» chiesero spaesati in coro, nello stesso momento gli scienziati che da cinquant’anni cercavano di dare l’allarme avrebbero voluto tirare ceffoni a destra e a manca. Poi arrivò una ragazzina svedese di 15 anni, tale Greta Thunberg, che organizzò uno sciopero e divenne icona mondiale della lotta ai cambiamenti climatici. «Ma allora siete stronzi!» urlarono gli scienziati. Qualche scettico tra la popolazione si chiese: «Ma perché fanno parlare lei e non parlano mai gli scienziati? Ci dev’essere qualcosa sotto». «Ma allora siete proprio stronzi!» riurlarono gli scienziati, per poi accasciarsi in posizione fetale e morire annegati nelle proprie lacrime.” Da “saggio erotico sulla fine del mondo” di Barbascura X
Negli ultimi anni il cambiamento climatico è entrato prepotentemente nella discussione politica e anche tra la gente. Eppure il primo allarme fu lanciato dal rapporto Charney nel lontano 1979; il documento evidenziava come un sistema basato su combustibili fossili e deforestazione fosse insostenibile nel lungo periodo e come i conseguenti aumenti di temperatura sarebbero diventati sempre più ingestibili. Ma di cosa si parla esattamente? Perché un personaggio come Greta ha catalizzato l’attenzione di così tante persone? In realtà c’è molta confusione sull’argomento e ciò lascia campo libero a distorsioni e vere e proprie falsità. Ho pensato a questa serie di articoli per cercare di portare un po’ di chiarezza.
Cosa intendiamo quando parliamo di clima?
Per prima cosa facciamo chiarezza su cosa sono meteo e clima, definizioni su cui media e politici fanno spesso (volutamente) confusione.
Il meteo è quello che noi chiamiamo “il tempo”: descrive le condizioni in un particolare luogo in uno specifico momento. Ad esempio: se domani piove a Calvene possiamo dire che il meteo è piovoso. Pioggia, neve, vento, temporali, ondate di calore etc… sono tutti fenomeni metereologici.
Il clima, d’altra parte, rappresenta ben più di un paio di giorni di pioggia. Il clima descrive l’andamento delle condizioni metereologiche in un’area, in un particolare periodo dell’anno. Normalmente in questa stagione piove o è secco? È caldo o freddo? Il clima di una regione viene definito osservando il meteo su un periodo lungo decine di anni, si tratta quindi di una media che ignora i fenomeni limitati nel tempo descrivendo invece le condizioni più generali. Parametri climatici sono ad esempio la temperatura media in inverno, il numero medio di giorni all’anno al di sopra dei 20°C etc… È quindi possibile dividere il mondo in aree con caratteristiche simili, ad esempio Calvene fa parte della regione climatica padano veneta
La differenza è importante per capire le nostre differenti capacità di previsione.
Per conoscere il tempo atmosferico futuro si sfruttano modelli matematici, in cui è fondamentale conoscere lo stato iniziale da cui partire e su cui applicare il modello. Senza l’accurata conoscenza del meteo attuale non è possibile ottenere una previsione affidabile, per questo motivo è fondamentale avere a disposizione una fitta griglia di osservazioni (temperatura, umidità e pressione in migliaia di punti).
Per quanto siano buoni i dati e complessi i modelli, però, l’atmosfera è così caotica da rendere inutili le previsioni su un arco temporale che sia più lungo di pochi giorni.
Di contro, se vogliamo ottenere scenari climatici non ci interessa avere condizioni iniziali dettagliate, poiché comunque il sistema ne perderebbe rapidamente memoria; ciò che conta questa volta è conoscere bene le condizioni al contorno e le dinamiche interne al sistema per poterne calcolare il punto di equilibrio.
Perché sappiamo che il riscaldamento globale è una realtà
Ormai anche le lobby e i centri di potere, che fino a qualche decennio fa negavano la realtà del riscaldamento climatico, hanno dovuto arrendersi all’evidenza dei fatti: le temperature medie globali si stanno alzando. Lo sappiamo nel modo più banale: per gli ultimi 140 anni abbiamo misure dirette della temperatura a livello globale.
Ma possiamo fare di più, anche in assenza di registrazioni dirette, si possono utilizzare molti metodi diversi per stimare le temperature (carotaggi nel ghiaccio, resoconti storici, anelli di crescita degli alberi … ), in questo modo si sono ottenuti gli andamenti delle temperature su scale temporali di migliaia di anni. Questo è il grafico più famoso, con l’andamento della temperatura media globale dall’anno zero:
Il grafico ha preso il nome di “hockey stick” (stecca da hockey) a causa della sua forma che impenna bruscamente verso l’alto. Vediamo il periodo 1450 – 1850 evidenziato come “piccola era glaciale”, si tratta di alcuni secoli in cui si registrò un abbassamento della temperatura media terrestre, in contrasto con il precedente “periodo caldo medievale”. Questo per mostrare come è vero che la temperatura media è cambiata più volte a prescindere da noi esseri umani; tuttavia, è evidente come il cambiamento negli ultimi 150 anni sia molto più vasto e repentino delle variazioni precedenti. L’ambiente in cui viviamo e, di conseguenza, il nostro tenore di vita sono messi a grave rischio da questo veloce aumento delle temperature.
Che influenza ha localmente l’aumento di temperatura globale
Ma in definitiva, perché dovrebbe interessarci il fatto che le temperature medie globali si stiano alzando? In fin dei conti uno o due gradi sono poca cosa, non potranno avere granché effetto. Purtroppo non è così, almeno non ovunque. È vero che globalmente le temperature saliranno di pochi gradi, ma lo scostamento non è uniforme e localmente può essere molto più marcato. Per restare nei nostri territori, negli ultimi 40 anni le temperature minime invernali hanno subito un aumento drastico. Una volta vedere l’Astico completamente ghiacciato per diverse settimane l’anno era la norma, tanto che da ragazzi passavamo le giornate a pattinare su Boreta, Passante e Senje Nere.
Da oltre dieci anni non è più possibile farlo, anzi ormai è raro vedere accenni di ghiaccio sul torrente. La media annuale delle temperature registrata dalla stazione meteo di Vicenza è aumentata in 35 anni di quasi 4 gradi (da 12,2 nel 1973 a 16 nel 2007) anche se la temperatura media globale nello stesso periodo si è alzata di appena 0,5 gradi.
Se la diminuzione delle giornate fredde può non sembrare un grosso problema, di contro sono aumentate anche le giornate estive oltre i 30 gradi, con tutti i problemi che questo comporta.
Anche le precipitazioni si sono modificate in modo apprezzabile, ormai è raro veder nevicare a Calvene, così come il manto nevoso nell’altopiano è divenuto molto più scarso e scostante costringendo alla chiusura diversi impianti storici di risalita. In generale, i ghiacciai alpini hanno perso oltre il 40% della superficie da quando le rilevazioni sono fatte in maniera consistente. Questi cambiamenti, oltre ai problemi diretti che danno agli esseri umani, portano ad una modifica profonda per le specie animali e vegetali del territorio. La mancanza di temperature rigide invernali e le aumentate temperature estive possono favorire la crescita parassiti e specie aliene a discapito di quelle autoctone; allo stesso modo estati più calde e secche favoriscono gli incendi: in California dei 10 incendi più grandi degli ultimi 100 anni 9 sono avvenuti negli ultimi anni.
Il calore di mare, terra e aria è il “motore” che muove l’atmosfera; più calore significa più “carburante” per venti, tempeste e temporali. Detto in gergo più tecnico, l’atmosfera ha più energia a disposizione e questo provoca un aumento medio di intensità dei fenomeni. Negli ultimi 10 anni in Italia si sono verificati circa 1000 eventi meteo estremi che hanno colpito oltre 600 comuni. Ad esempio, il numero di trombe d’aria riportate negli ultimi anni è aumentato notevolmente, così come la media delle intensità registrate. Come riporta il col. Giuliacci, siamo passati dai 30-50 casi l’anno nel periodo 1970-2000 a ben 72 casi nel 2020 e addirittura 105 casi nel 2021, il più alto valore di sempre.
Per fortuna la conformazione del nostro territorio non favorisce la creazione di tornado, che prediligono zone pianeggianti, ciononostante in anni recenti ci sono state trombe d’aria a Breganze, Fara Vicentino e Roana.
Solo pochi anni fa le nostre montagne sono state investite dalla tempesta Vaia, in cui un fortissimo vento di scirocco tra i 100 ed i 200 km/h ha provocato lo schianto di milioni di alberi, provocando un vero e proprio disastro naturale da cui i boschi devono ancora risollevarsi.
Diverse grandinate eccezionali per la dimensione dei chicchi sono avvenute nelle nostre zone negli ultimi anni, con danni a raccolti, macchine e edifici.
grandine a Piovene Rocchette, settembre 2020
Quest’anno invece è cominciato con un’estrema siccità dovuta alle scarsissime precipitazioni durante l’autunno/inverno. È dal 2020 che l’Italia è in deficit idrico, ma adesso la situazione è particolarmente grave e il terreno eccezionalmente secco potrebbe impattare in modo pesante sull’agricoltura . “Nelle nostre zone rispetto alla media le precipitazioni dell’ultimo anno sono inferiori di oltre 400 mm e l’umidità al suolo di circa l’80%”.
È un errore indicare questo o quell’evento come direttamente causato dal riscaldamento globale perché si tratta di eventi che sono sempre accaduti; tuttavia, con l’aumento delle temperature dobbiamo fare i conti con l’aumento di frequenza ed intensità dei fenomeni.
Dopo gli articoli sui “Cambiamenti Climatici” pubblicati nel 2020 e 2021 questo, che avete appena letto, è il primo di quattro nuovi approfondimenti sull’argomento che affronteremo in questo 2022.
Cambiamenti climatici, un argomento che dà sempre accompagna l’azione del nostro Gruppo “Vivere Calvene”; un argomento di vitale importanza per le future generazioni.
L’abbiamo introdotto nell’interessante conferenza del dicembre 2019, l’abbiamo poi approfondito nei due articoli pubblicati, il primo nel febbraio 2020, il secondo nel febbraio 2021 (articoli che si possono consultare nella sezione “Argomenti per Categoria” di questo sito).
Questa terribile pandemia, che stiamo vivendo da ormai due anni, non deve assolutamente mettere in secondo piano il problema dei “Cambiamenti climatici”; anzi è proprio l’esperienza acquisita nell’affrontare la pandemia che ci deve indicare la strada per affrontare questa nuova emergenza. Perché di questo si tratta: di una nuova emergenza.
I segnali non mancano:
la temperatura media è aumentata continuamente, con inverni più miti ed estati più calde;
dal 1901 al 2020 il livello medio del mare è cresciuto di 20 centimetri;
la riduzione dell’estensione dei ghiacciai non ha precedenti;
le ondate di calore sono sempre più frequenti ed intense (questa estate la temperatura ha toccato 49,6 gradi nel Canada occidentale e 48,8 gradi in Sicilia);
piogge e tempeste aumentano di energia dando luogo ad eventi estremi come Vaia, che in poche ore ha raso alsuolo milioni di alberi distruggendo decine di migliaia di ettari di foreste alpine.
Da anni i Giovani di tutto il mondo fanno sentire la loro voce preoccupati per il futuro; chiedono di agire ora e subito, chiedono “il diritto di pretendere un futuro”.
Da anni gli scienziati gridano di agire in fretta, come è possibile che queste voci restino inascoltate?
Il Rapporto sul Clima, del 9 agosto 2021, del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (IPCC), è stato definito da Antonio Guterres, Segretario Generale della Nazioni Unite, un “codice rosso per l’umanità”. Nel rapporto si evidenzia come “il clima stia cambiando in maniera più rapida e intensa del previsto mentre le azioni intraprese a livello globale per tagliare drasticamente le emissioni di gas serra, frenare il riscaldamento globale e contrastare la crisi climatica siano ancora insufficienti”.
Possibili futuri climatici: i messaggi principali del rapporto IPCC
Il Rapporto di Valutazione dell’IPCC valuta “una probabilità superiore al 50% che 1,5°C di riscaldamento, rispetto al periodo pre-industriale, venga superato negli anni immediatamente successivi al 2030, ovvero in anticipo rispetto a quanto valutato nel precedente rapporto pubblicato nel 2018”.
“Le emissioni continuano ad essere più alte di quello che le nazioni avevano promesso, il riscaldamento è più veloce di quello che ci aspettavamo e le ultime statistiche sulle emissioni, ci portano, se tutto andrà bene, ad un incremento della temperatura di 2,1°.
Solo iniziando a diminuire, immediatamente, le emissioni in modo significativo e globale avremo qualche possibilità di mantenere la temperatura a più 1,6 o 1,7 gradi e magari con la tecnologia, nella seconda parte del secolo, arrivare a più 1,5 gradi.”
Pertanto:
è atteso che la temperatura superficiale globale continuerà ad aumentare almeno fino alla metà del secolo;
una temperatura più alta intensificherà gli eventi metereologici e climatici molto umidi e molto secchi, con implicazioni per inondazioni o siccità;
I ghiacciai montani e polari sono destinati a continuare a sciogliersi per decenni, è probabile che l’Artico sarà praticamente privo di ghiaccio marino a settembre almeno una volta prima del 2050;
Il livello medio globale del mare continuerà ad aumentare nel corso del XXI secolo, rispetto al 1995-2014 l’aumento sarà probabilmente di 28 – 55 centimetri entro il 2100 nello scenario di emissioni di gas serra molto basse, e da 63 cm ad 1 metro nello scenario di emissioni molto elevate;
l’innalzamento relativo del livello del mare contribuirà all’aumento della frequenza e della gravità delle inondazioni costiere alle quote più basse e all’erosione costiera lungo la maggior parte delle coste sabbiose;
nelle città costiere, la combinazione di eventi estremi più frequenti a livello del mare e di venti estremi di pioggia/deflusso dei fiumi renderà più probabili le inondazioni.
Come limitare i cambiamenti climatici futuri?
Per limitare il riscaldamento globale è necessario ridurre le emissioni di CO2 ad un valore pari a zero, insieme a forti riduzioni delle emissioni degli altri gas serra.
C’è una relazione quasi lineare tra le emissioni di CO2 e il riscaldamento globale.
Tuttavia a breve termine (2021-2040), anche negli scenari con una forte riduzione dei gas serra, questi miglioramenti non saranno sufficienti a raggiungere le linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La COP26 (Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici) di Glasgow, appena conclusa, rappresentava una grande opportunità per imboccare la giusta direzione ma purtroppo, a parte l’accordo per fermare la deforestazione entro il 2030, tutto il resto è praticamente rimandato;i “grandi” della terra hanno “deciso di non decidere”.
Non si parla più di graduale «eliminazione» dei combustibili fossili, principale fonte di emissioni di gas serra, bensì di «riduzione».
Nessuno se l’è sentita di mettere in discussione apertamente il punto chiave di “non superare 1,5° di riscaldamento globale a fine secolo”, ma sarà dura raggiungere l’obbiettivo con queste premesse.
I Paesi partecipanti hanno preso l’impegno di tornare al tavolo, nel 2022, con “Piani più ambiziosi di tagli alle emissioni a medio termine” e l’impegno “a fare e dare di più, in termini di fondi e conoscenze ai Paesi più vulnerabili”.
E l’Italia come si prepara a questa sfida del futuro?
Obiettivi da raggiungere entro il 2030:
ridurre del 55 % la CO2 rispetto al 1990
produrre il 40 % di energia elettrica da fonti rinnovabili
Abbiamo davanti nove anni.
Servono 70 miliardi di watt, (70 GW) da energie rinnovabili.
Secondo i dati di Eurostat aggiornati ad aprile 2021, in Italia sono installati 21 GW di Fotovoltaico; incrementare, da oggi al 2030, il parco fotovoltaico di 50 GW è certamente impegnativo, ma è possibile se confrontabile con quanto già fatto in passato (nel 2010-2011 sono stati aggiunti alla rete 6 GW di fotovoltaico all’anno, poi il trend è diminuito). Gli ultimi incentivi del Governo hanno lo scopo di favorire la ripresa delle installazioni di impianti fotovoltaici: nei tetti delle fabbriche, degli uffici, dei parcheggi (per la ricarica delle auto elettriche), degli edifici pubblici, delle abitazioni private, sia per utilizzare l’energia prodotta dall’impianto per consumi interni (computer, illuminazione…) sia per immettere in rete quella non utilizzata diminuendo così i costi.
Anche in questo settore il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) offre una grande opportunità. Il PNRR dà le risorse per il periodo 2021-2026 per iniziare ed impostare l’indirizzo dello sviluppo sostenibile dei prossimi decenni.
Altre risorse del PNRR devono incentivare gli investimenti nella SCUOLA, nella FORMAZIONE, nella RICERCA, nelle professioni del domani, nella salvaguardia dell’Ambiente.
Se non intraprendiamo con tenacia questa direzione, i bambini di oggi, tra 30/40/50 anni, si troveranno a dover convivere con cambiamenti climatici estremi, con gravi conseguenze per la salute.
Occorre dunque promuovere un’educazione ambientale nelle scuole, nelle università, tra i cittadini, per fornire a tutti le conoscenze per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici. È indispensabile che la Politica ascolti, da subito, le nuove generazione e le comunità scientifiche e promuova campagne di sensibilizzazione sull’adattamento e la mitigazione ai cambiamenti climatici, usando ogni possibile strumento di divulgazione al fine di mettere ogni persona nella condizione di essere informata e coinvolta.
Noi continueremo a fornire il nostro contributo con articoli sull’argomento.
Vi invitiamo a leggere anche gli articoli precedenti:
quello di febbraio 2020dove abbiamo trattato delle “conseguenze del nostro vivere quotidiano” e “di cosa possiamo o dobbiamo fare a sostegno della natura”, per soffermarci poi sulle “Energie rinnovabili, chiave per un futuro migliore”;
e quello di febbraio 2021dove abbiamo approfondito le relazioni tra “Cambiamenti climatici, inquinamenti e pandemia” per evidenziare “ come tutto sia collegato”.
Fonte dei dati: Sesto Rapporto sul clima (IPCC) emesso il 9 agosto 2021
Dal libro “Non Siamo Eroi” di Sara Segantin
Ungiornalista della RAI si avvicinò trafelato e mi chiese un’intervista.
“Siamo a Trieste, una delle centinaia di città italiane che oggi scioperano contro la crisi climatica. I giovani eroi di oggi in piazza per il mondo di domani. Cosa chiedete?”.
Lo guardai dritto negli occhi, ignorando la telecamera, e scossi la testa: “Non siamo eroi. Siamo solo ragazzi e ragazze. E abbiamo tanta paura. Siamo persone, come lei, come voi, e non vogliamo rinunciare alla speranza che le cose possano cambiare. Io ho appena compiuto diciannove anni. Tanti altri sono poco più giovani o poco più vecchi. Oggi in piazza, domani al voto, scegliendo con responsabilità”.
Quindi guardai la telecamera con sguardo deciso: “Non siamo eroi, siamo cittadini e cittadine d’Italia e del mondo. Abbiamo il diritto di pretendere un futuro”.
“Siamo tremendamente in ritardo, ma c’è un ultimo treno che possiamo tentare di prendere. Si chiamano scelte Politiche, investimenti economici, ricerca e applicazione. Perché quel treno parta, però, è necessaria una locomotiva. Si chiama volontà, la volontà di ciascuno di noi.”
a cura del Gruppo Consiliare “Vivere Calvene” – Febbraio 2021 –
“La terra non è nostra proprietà, ci è data in prestito dai nostri nipoti: togliere futuro a chi verrà è un crimine contro l’umanità.”
50 anni di sviluppo industriale incontrollato stanno mettendo in ginocchio il pianeta Terra.
Il cambiamento climatico innescato non ci consente più di ignorare la realtà. Ci stiamo avvicinando al punto di non ritorno, il punto critico, il limite oltre il quale l’equilibrio della terra potrebbe essere compromesso.
La terra si stà riscaldando e questo è un dato inconfutabile e l’innalzamento della temperatura globale favorisce la formazione di eventi atmosferici estremi. Più fa caldo, più si sciolgono i ghiacci ai poli, e più si sciolgono i ghiacci, più si innalza il livello del mare. Questo è quello che stà accadendo lungo molte coste di tutto il mondo, dove vivono seicento milioni di persone: Bangladesh, India, Thailandia, Vietnam, senza dimenticare i problemi di casa nostra come l’ultima “aqua granda” a Venezia. Inoltre, l’acqua del mare che sale, compromette lentamente la qualità dell’acqua dolce, riempiendo l’acquifero di acqua salata.
Più fa caldo e più aumentano le possibilità, in certe aree, di desertificazione rendendo impossibile anche la vita degli animali e con essi la vita dell’uomo che si trova nelle condizioni di dover abbandonare per sempre le proprie case. Diventano così realtà i migranti ambientali. Senz’acqua non c’è vita.
Come non bastasse… abbiamo violato e continuiamo a farlo, le ultime grandi foreste e altri ecosistemi intatti del pianeta, distruggendo l’ambiente e le comunità che vi abitavano, in Congo, in Amazzonia, nel Borneo, in Madagascar, in Nuova Guinea, con l’insediamento di industrie minerarie estrattive e costruendo nuovi insediamenti urbani.
Per non parlare dello spazio….la vigilia di Natale di 52 anni fa (24 dicembre 1968, l’abbiamo ricordato nella pubblicazione dello scorso anno) la missione Apollo 8 portava, per la prima volta, un equipaggio umano in orbita attorno alla Luna. Anders esclamò “oh mio Dio! Guarda che immagine! È la terra che sorge. Wow, è proprio bella”. Si avvertiva in quelle parole il bisogno dell’uomo di inchinarsi davanti alla potenza del creato.
A 50 anni di distanza dai dati disponibili, pare che orbitino intorno alla terra più di 8 mila tonnellate di detriti spaziali, pari a quasi 30 mila oggetti volanti di oltre dieci centimetri, le cui dimensioni consentono di essere tracciati da terra.
Una casa fragile “la nostra terra” limitata da uno strato superficiale che va da 10.000 metri sotto il livello del mare a 10.000 metri al di sopra di esso; solo 20 km che racchiudono l’unico luogo dell’universo, ad oggi conosciuto, all’interno del quale esiste la vita, che noi con il nostro sviluppo incontrollato stiamo compromettendo.
Dall’aria che respiriamo, ormai talmente inquinata che soffoca città e pianure, soprattutto nei mesi invernali, ai mari dove galleggiano tonnellate di plastica. Le stime prevedono che entro il 2050 la quantità di plastica nei mari quadruplicherà. Una sconvolgente realtà è l’immensa quantità di plastica che col tempo si è concentrata formando un’isola galleggiante nel Pacifico tra la California e le Hawaii, grande ormai come la Francia.
Ma dove stiamo andando?…..
Il tempo che rimane è oramai poco. L’appello di Greta Thunberg : “mi state rubando il futuro. I politici diano priorità alla questione climatica, si concentrino sul clima per trattarlo come una vera crisi” è di una attualità disarmante. I potenti della terra sanno benissimo che Greta ha ragione dalla prima all’ultima parola: lo ripete da anni anche “la scienza”.
Ma prevale l’idea di andare avanti sottovalutando le conseguenze che sono all’orizzonte, coltivando l’illusione che si tratti di un’eventualità lontana, astratta, irrealizzabile. Qualcosa che potrà accadere solo nel futuro remoto, quando nessuno di noi ci sarà più.
Prima che sia troppo tardi è indispensabile cambiare le modalità della crescita con un’azione globale coordinata. Bene l’Europa che si stà muovendo in questa direzione e “obbliga” i paesi membri a ripensare una crescita economica basata sull’innovazione, la ricerca, una crescita che sia inclusiva, redistributiva e sostenibile dal punto di vista ambientale, spingendo verso l’abbandono di carbone e petrolio a favore di energia solare.
Purtroppo gli eventi, del 2020 e di questo inizio 2021 con la pandemia in atto, hanno distolto l’attenzione dal tema dei cambiamenti climatici; ma questo è un tema fondamentale che deve ritornare prioritario perché ……. tutto è collegato.
L’inquinamento atmosferico, la cattiva qualità dell’aria, favorisce anche il diffondersi della pandemia da Coronavirus.
Dall’origine della nostra specie, circa duecentomila anni fa, all’anno 1804 la popolazione mondiale è cresciuta fino a raggiungere un miliardo di abitanti. Tra il 1804 e il 1927 è aumentata di un altro miliardo; nel 1960 ha raggiunto i tre miliardi; e da allora è cresciuta di un miliardo ogni tredici anni circa. Nell’ottobre del 2011 eravamo sette miliardi, nel 2024 la stima è di otto miliardi di persone e probabilmente arriveremo a nove miliardi prima che si preveda un appiattimento della crescita.
David Quammen nel suo saggio predittivo del 2012 dal titolo “Spillover” scriveva: “In una popolazione in rapida crescita, con molti individui che vivono addensati e sono esposti a nuovi patogeni, l’arrivo di una nuova epidemia è solo questione di tempo. E’ ipotizzabile che la prossima Grande Epidemia (il famigerato Big One) quando arriverà si conformerà al modello perverso dell’influenza, con alta infettività prima dell’insorgere dei sintomi.”
L’ipotesi di nove anni fa sembra diventata realtà, potrebbe essere il Covid-19, la malattia da Coronavirus che causato ormai più di 100 milioni di contagi e più di 2,5 milioni di decessi.
In latino virus significa veleno; il Covid-19 è un virus che si diffonde per via aerea, dunque altamente trasmissibile ed è per questo che è riuscito a fare, in poco tempo, il giro del mondo. Il Covid-19 è una malattia molto pericolosa che deve essere affrontata con misure preventive adottate da tutte le persone.
Le azioni di noi singoli hanno un grande effetto sul fattore di trasmissione; con il nostro agire (lavarsi spesso le mani, usare la mascherina, mantenere il distanziamento fisico, usare gel disinfettante) possiamo fermare o accelerare l’evoluzione della pandemia; possono salvare la nostra vita e quella degli altri.
Quel che accadrà dipenderà da tutti noi.
E in futuro ? … Molto è stato fatto nel campo della ricerca ma molto rimane ancora da fare; questa pandemia ha evidenziato ancora una volta la fragilità del sistema sanitario mondiale e la criticità di questo modello di sviluppo.
“confiniamo migliaia di bovini, suini, polli, in allevamenti intensivi dove è facile che gli animali siano esposti a condizioni poco igieniche e a patogeni provenienti dall’esterno (dai ratti ai pipistrelli) e che si contagino tra loro. In tali condizioni i patogeni hanno opportunità di evolvere e assumere nuove forme in grado di infettare gli esseri umani tanto quanto maiali, mucche e altro. Molti di questi animali li bombardiamo con dosi profilattiche di antibiotici e di altri farmaci, non per curarli ma per farli aumentare di peso e tenerli in salute il minimo indispensabile per arrivare vivi al momento del macello, tanto per generare profitti. In questo modo, con l’uso di antibiotici, favoriamo l’evoluzione di batteri resistenti.”
Più volte il giornalismo d’inchiesta ha evidenziato le deviazioni pericolose degli allevamenti intensivi incontrollati; necessitano ora nuove e stringenti regole che garantiscano modalità di allevamento, provenienza e sicurezza alimentare e magari da parte nostra rivedere l’alimentazione riducendo il consumo di carne.
Va rivisto il ruolo fondamentale dell’OMS, (l’Organizzazione Mondiale della Sanità); vanno migliorate le basi scientifiche, per migliorare la capacità di risposta. Ciò significa sapere quali tipi di virus tenere sotto osservazione, essere in grado di riconoscere uno spillover (passaggio del virus dall’animale all’uomo) anche in luoghi remoti, prima che si trasformi in un’epidemia e avere capacità organizzative per bloccare le epidemie localizzate prima che diventino pandemie.
E in Italia, per non trovarsi impreparati, è indispensabile dotare il sistema sanitario nazionale di un piano di intervento ben strutturato. Questo è il momento di costruire la Sanità del domani al servizio di tutti i cittadini, rafforzare la sanità sul territorio, investire nelle persone, nelle università, nella ricerca, con tecniche e tecnologie avanzate.
Chiediamo alla Politica, con la “P” maiuscola, a tutti i livelli, di dimostrarsi all’altezza della situazione e saper usare correttamente le ingenti risorse messe a disposizione dall’Europa.
Questo virus e la crisi che stà provocando, ci costringe ad andare all’essenziale e a rivedere le nostre priorità, individuali e sociali. Abbiamo bisogno di solidarietà e fiducia reciproca che sono le basi di un patto sociale e vanno costruite e alimentate giorno per giorno.
Serve una rinnovata voglia di Vivere, “Vivere una nuova normalità”, occorre impegno consapevolezza, equità e solidarietà, soprattutto tra generazioni.
con la collaborazione del “Gruppo di lavoro” della Lista “Vivere Calvene”
a cura del Gruppo Consiliare “Vivere Calvene” Febbraio 2020
Il simbolo della Lista “Vivere Calvene” racchiude nel nome e nella grafica il nostro impegno per l’Ambiente. Acqua, terra, cielo, germoglio: un insieme di elementi che danno origine, in equilibrio perfetto, alla vita.
Questo tema “Ambiente, cambiamenti climatici, conseguenze, azioni da intraprendere”, sempre più attuale, sarà motore delle nostre azioni. Abbiamo già avuto un interessante prologo nella serata, molto partecipata, del 6 dicembre 2019.
Iniziamo il nostro racconto con alcune foto spettacolari:
La vigilia di Natale di 52 anni fa (24 dicembre 1968) la missione Apollo 8 portava, per la prima volta, un equipaggio umano in orbita attorno alla Luna. Willian Anders, Frank Borman e James Lowell furono i primi a poter osservare lo spettacolo dell’alba della Terra vista dalla Luna. La foto chiamata da Anders “Earthrise” “il sorgere della Terra” ci rilevò un pianeta di maestosa bellezza, ma anche fragile e delicato. Una colorata isola di vita in un universo per il resto vuoto e buio.
Una casa fragile, limitata da uno strato superficiale che va da 10.000 metri sotto il livello del mare a 10.000 metri al di sopra di esso; solo 20 km che racchiudono l’unico luogo dell’universo, ad oggi conosciuto, all’interno del quale esiste la vita.
E’ vero, lo sentiamo ripetere ormai quasi tutti i giorni, è in atto un cambiamento climatico, ma forse la percezione di dove stiamo andando non è ancora così forte come dovrebbe essere.
Il pianeta si trova di fronte a profondi mutamenti climatici e in assenza di azioni concrete per invertire tale percorso, entro pochi anni ci si potrebbe trovare di fronte ad un punto di non ritorno:
milioni di ragazzi nel mondo all’insegna del “Fridays For Future” si battono per l’ambiente rivendicando azioni atte a prevenire il riscaldamento globale e il cambiamento climatico
non solo ragazzi, c’è il forte messaggio di Papa Francesco a tutti i potenti della terra con la “lettera enciclica Laudato si” che evidenzia come la nostra terra, maltrattata e saccheggiata, richieda una “conversione ecologica”, perché “l’ambiente è un dono collettivo, patrimonio di tutta l’umanità”.
Ecco, ciò che serve è diffondere la conoscenza di queste tematiche, riconoscere il ruolo della scienza, l’impegno delle persone che in modo scientifico affrontano i problemi e ci forniscono la chiave di lettura, gli strumenti per comprendere, le azioni che aiutano a gestire questa difficile transizione. Questo è il contributo che vorremmo dare con questa nostra iniziativa.
Il pericolo maggiore è che, sommersi dalla quotidianità e dalla nostra normalità, rischiamo di isolarci da ogni esposizione di idee nuove o lontane dal nostro modo di vedere il mondo, modificando così la nostra percezione della realtà.
Vivere dei giacimenti di combustibili, in primis carbone e petrolio, per oltre due secoli ci ha indotto erroneamente a immaginarci un futuro senza fine, dove tutto sarebbe stato possibile e il prezzo da pagare irrisorio. Abbiamo finito per credere di essere padroni assoluti del nostro destino e che la Terra esista perché noi possiamo sfruttarla, non abbiamo capito che qualunque cosa avvenga in questo fragile pianeta presenta un conto modificando lo stato di equilibrio esistente da millenni.
Fino ad un certo punto, tutto ha funzionato a dovere: da una parte l’anidride carbonica si liberava nell’atmosfera con le combustioni, dall’altra si fissava nelle piante attraverso la fotosintesi. Per milioni di anni questo sistema ha funzionato come un orologio. Finché, in concomitanza con la rivoluzione industriale, la quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera è diventata così enorme da non poter essere più interamente fissata dalle piante. Le piante che sono il motore della vita, attraverso la fotosintesi e grazie all’energia del sole, fissano l’anidride carbonica dell’atmosfera producendo ossigeno. Grazie a questo miracoloso processo la vita ha potuto diffondersi e prosperare.
Ma questo perfetto equilibrio stà per saltare e non solo in atmosfera. Secondo la maggior parte degli studi, molte delle principali risorse che sostengono il nostro modello economico e le nostre tecnologie sono ormai vicine al punto di esaurirsi. Il petrolio dovrebbe cominciare a diminuire entro il 2030, il rame verso il 2040, l’alluminio il 2050, il carbone il 2060, il ferro nel 2070.
Risorse limitate non possono sostenere una crescita illimitata. Quando si parla di crescita si intende crescita dei consumi. Il pianeta potrebbe ospitare una popolazione umana molto più numerosa di quanto non sia oggi, anche i 10 miliardi di persone che si prevedono per il 2050, potrebbe, appunto. Ma soltanto qualora l’umanità cambiasse radicalmente stile di vita, riducendo drasticamente l’uso delle risorse non rinnovabili. Ma purtroppo tutto sembra indicare una tendenza opposta. Nei prossimi anni una percentuale crescente della popolazione terrestre aumenterà in misura significativa i propri consumi. Secondo la Banca mondiale entro vent’anni da oggi la classe media crescerà, dai quasi due miliardi di persone attuali, a un numero che ragionevolmente si collocherà intorno ai cinque miliardi.
Tre miliardi di persone in più che vorranno, legittimamente, consumare come abbiamo fatto noi. Tre miliardi di persone che, consumando carne, acqua, carburanti, metalli e materie prime in generale, faranno salire i consumi delle risorse terrestri a picchi enormemente più elevati di quelli già insostenibili odierni.
Conseguenze del nostro vivere quotidiano
Se tutta la popolazione terrestre consumasse oggi, come consumano mediamente i cittadini degli Stati Uniti, servirebbero le risorse di cinque terre ogni anno. Se l’intera umanità consumasse risorse come noi italiani, ne servirebbero 2,6 mentre se gli abitanti del pianeta consumassero risorse allo stesso livello degli abitanti dell’India (1,4 miliardi di persone, per lo più vegetariani) le risorse sarebbero sufficienti per altri due miliardi di persone oltre alle quasi otto che già popolano questo pianeta.
Qualsiasi azione del nostro vivere quotidiano, dal trasporto al riscaldamento nelle abitazioni, dalle attività industriali alle attività commerciali, usano energia ricavata da petrolio, gas, carbone, legna, liberando nell’aria anidride carbonica e altri gas. Tutte queste sostanze si accumulano nell’atmosfera (nei soli 10 km di aria sopra di noi che ci garantiscono la vita). Ad esse si aggiungono poi le conseguenze derivanti da calamità naturali, o indotte dall’uomo quali incendi (nel recente passato vedi Amazzonia o Australia) che devastano intere aree verdi, generatori di ossigeno del pianeta.
L’anidride carbonica è il principale responsabile del cosiddetto “effetto serra” e quindi, dell’innalzamento della temperatura del pianeta. Questo aumento della temperatura sta provocando due effetti opposti: l’aumento della desertificazione che toglie vaste aree all’agricoltura e lo scioglimento di grandi quantità di ghiaccio, sia al polo nord che al polo sud, nonché in tutti i ghiacciai della terra, dal Kilimangiaro (sorgente di numerosi corsi d’acqua nella zona dell’Equatore dove il ghiacciaio sta praticamente scomparendo, si è ridotto dell’80 % dal 1912 ad oggi) ai ghiacciai delle nostre montagne, dando origine ad un lento e progressivo innalzamento delle acque che in tempi non lontani allagheranno ampie zone costiere del pianeta. Due fenomeni che daranno origine a massicce migrazioni: i Migranti climatici.
sommità del Kilimangiaro
ghiacciaio della Marmolada
Abbiamo chiamato quest’epoca l’Età del progresso. Ora il conto è arrivato ed è il cambiamento climatico. Stiamo entrando in una nuova fase, dove dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza, con fenomeni climatici sempre più estremi ma soprattutto una fase dove serve una presa di coscienza collettiva immediata della gravità del problema.
L’impegno dei Giovani “Fridays For Future” stanno mettendo i Governi di tutto il mondo di fronte alle proprie responsabilità; in questo momento storico, per salvare il futuro, è necessario agire tutti insieme al di là delle frontiere politiche.
Prima che sia troppo tardi, prima che l’Umanità precipiti verso un punto di non ritorno è indispensabile un “NUOVO CORSO RISPETTOSO DELL’AMBIENTE”.
Nell’autunno di quest’anno l’Italia ospiterà la prima conferenza globale dei giovani sul clima (Youth Cop26); è l’occasione per far entrare i giovani nella stanza dei bottoni. Giovani di tutto il mondo verranno in Italia a discutere e verrà stilato un documento che sarà la dichiarazione base dei giovani per la Cop26 di Glasgow dal 9 al 19 novembre 2020.
Per prima cosa, a supporto dalla natura:
Difendiamo le foreste e copriamo di piante le nostre città.
Le piante hanno già dimostrato in passato di essere in grado di ridurre drasticamente la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, possono farlo nuovamente, regalandoci una seconda possibilità. Per questo dovremmo coprire di piante qualsiasi superficie del pianeta in grado di poterle accogliere. Ma prima è necessario bloccare ogni ulteriore deforestazione. La difesa delle foreste dovrebbe diventare argomento di un trattato internazionale vincolante. E le città, che ospitano ormai il 50 % della popolazione mondiale, luoghi dove viene prodotta la maggior quantità di anidride carbonica, dovrebbero essere interamente coperte di piante. Non solo nei parchi, nei viali, ma in ogni luogo possibile, nelle terrazze, ovunque dove sia possibile far vivere una pianta.
E poi … COSA POSSIAMO ….e DOBBIAMO FARE ?
E’ importante dire che non siamo all’anno zero.
L’Unione Europea ha intrapreso fin dal 2009 la strada verso un’economia verde a emissioni zero. Prima con obiettivo fissato (20-20-20) di raggiungere entro il 2020 il 20% dei consumi da energie rinnovabili, il 20% di aumento dell’efficienza energetica ed il 20% di riduzione di emissione di anidride carbonica. Ora l’UE ha fissato per il 2030 nuovi obiettivi, ancora più ambiziosi: almeno il 32% dei consumi da energie rinnovabili, un aumento almeno del 32,5% dell’efficienza energetica e la riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990) ed emissioni di carbonio pari a zero entro il 2050.
Secondo la scienza, queste sono le condizioni indispensabili per contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi centigradi nel 2050.
Dopo l’UE con i suoi 500 milioni di abitanti, anche la Repubblica popolare cinese, forte di quasi 1,4 miliardi di abitanti ha intrapreso la strada, con un ambizioso piano, della transizione verso un’era post carbonio. Al gruppo sembra finalmente che siano in procinto di unirsi anche gli Stati Uniti con i loro 330 milioni di abitanti. Ora è indispensabile che questi tre attori principali dell’economia mondiale marcino in sincronia condividendo le migliori pratiche, standard e regolamenti e riescano a coinvolgere il resto dell’umanità.
Il Sole, fonte della vita è la chiave per salvare l’Umanità.
L’energia catturata dal sole, dai pannelli fotovoltaici (il cui costo è molto diminuito negli ultimi anni) e immagazzinata in batterie di nuova generazione (anch’esse a costi molto più bassi) abbinate a pompe di calore, consentirà, a breve, di rendere le abitazioni completamente autosufficienti dal punto di vista energetico, compresa la sostituzione del tradizionale riscaldamento a gas con il riscaldamento elettrico.
Tutto questo grazie all’Unione Europea. Sono stati gli obiettivi vincolanti imposti agli stati membri e le tariffe di incentivazione introdotte a stimolare un passaggio alle energie solari ed eolica, a indurre le imprese a migliorare le prestazioni delle due nuove tecnologie e la loro efficienza, riducendone drasticamente i costi.
Poi è stata la volta della Cina, e le sue aziende hanno apportato innovazioni in materia di efficienza e abbassato ulteriormente i costi di produzione di energia solare ed eolica. Ora la Cina è il principale produttore al mondo di tecnologie solare ed eolica, economica ed efficiente, ed ha iniziato ad esportare in tutti i mercati. Naturalmente la Cina ha applicato queste nuove tecnologie su larga scala anche nel suo mercato interno, accompagnando innumerevoli installazioni (es: lungo la via della seta) con la digitalizzazione della sua rete elettrica consentendo così alle aziende e alle comunità di produrre energia rinnovabile utilizzarla in proprio o rivenderla in rete.
Altre importanti innovazioni dell’energia ricavata dal sole, dopo il fotovoltaico ad alta efficienza, è la tecnologia energetica del solare a film sottile, che unita a batterie ad alta capacità consentono straordinarie applicazioni soprattutto nella mobilità elettrica. In Europa, la Norvegia ha già dichiarato che dal 2025 sarà vietata la vendita di auto con motore a combustione interna; ciò significa solo auto elettriche o a idrogeno o plug-in a bassa emissione. Si ritiene che nel 2025 l’auto elettrica costerà come l’auto tradizionale.
L’installazione del fotovoltaico potrebbe contribuire, in modo determinante, a ridurre i costi dell’energia se installato negli edifici (pubblici e privati) dove l’attività lavorativa si sviluppa nelle ore diurne quando la produzione di questa energia raggiunge il picco.
L’energia dal sole come strumento di democrazia e sviluppo: il sole splende ovunque
Circa 1,1 miliardi di persone non hanno ancora accesso all’elettricità, e per molti di più la disponibilità di elettricità è marginale e inaffidabile. La caduta dei costi degli impianti solari e dei sistemi di immagazzinamento consente già ora, ma lo sarà sempre più in un prossimo futuro, di portare l’elettricità in tutti i paesi in via di sviluppo. L’accesso a un’elettricità verde prodotta a livello locale, dal sole, trasformerà ogni aspetto della società, dalla possibilità di attivare pozzi per l’acqua potabile, migliorando le condizioni di vita, alla creazione di piccole attività artigianali e industriali. L’impatto maggiore l’eserciterà sulla condizione della donna. Grazie all’elettricità le ragazze potranno trovare il tempo per proseguire gli studi, cercare impieghi nell’economia elettrificata emergente, raggiungere un certo grado di economia indipendente che avrà, come successo in tutte le società sviluppate, una ricaduta sulla diminuzione del tasso di natalità (oggi molto elevato in alcuni paesi dell’Africa subsahariana).
Dal solare domestico, piccolo è bello, ad un sistema cooperativo integrato
Oggi, in Germania, quasi il 25 % di tutta l’elettricità consumata nel paese proviene da impianti solari ed eolici e gran parte di questa energia verde è prodotta da piccole cooperative.
La Germania ha annunciato, nel 2019, che intende realizzare, entro il 2025, una rete di trasmissione elettrica nazionale intelligente all’avanguardia in modo da gestire l’incremento della produzione solare ed eolica derivante dalla crescente moltitudine di microreti che operano nelle comunità sparse in tutto il paese.
Piccoli operatori agricoli, piccole e medie imprese, associazioni di quartiere, hanno costituito cooperative elettriche, contratto prestiti bancari e installato sulle loro terre tecnologie per la produzione di energia solare ed eolica, per utilizzare parte dell’elettricità verde fuori rete e vendere l’eccedenza alla rete. Se qualche regione più fortunata si troverà a disporre, in questo o quel momento o periodo del giorno, della settimana, del mese, o in questa o quella stagione dell’anno, di grandi quantità di energia solare ed eolica, il surplus di elettricità potrà essere accumulato e in seguito condiviso con altre regioni.
Questa è la strada da percorrere, anche in Italia.
Risorse umane e finanziarie
Per procedere spediti verso questo nuovo modello di sviluppo, rispettoso dell’ambiente e indispensabile per assicurare un futuro vivibile alle nuove generazioni, è necessario:
indirizzare le professionalità della forza lavoro del XXI secolo verso queste nuove tecnologie sostenendo la formazione, con borse di studio, stage, ricerca ….
importanti decisioni a livello politico, una programmazione Italia, a medio periodo, che vada oltre la fragilità e la durata dei Governi
reperire risorse sia disincentivando le attività ad alta emissione di anidride carbonica sia da una attenta analisi delle voci di spesa e di investimento
recuperare solo la metà della metà dell’evasione fiscale (oggi stimata 100 miliardi) significa avere disponibili 25 miliardi di investimento in più ogni anno. Chi evade fa aumentare le tasse a tutti gli altri e soprattutto toglie i servizi essenziali a chi ne ha più bisogno.
Altra possibile fonte, per reperire investimenti, potrebbe derivare da una revisione della tassazione sui redditi più alti, applicando, per esempio, per la parte sopra i 100.000 euro, un prelievo aggiuntivo del 10 % (più che sostenibile) – Art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”
Comportamenti quotidiani a sostegno della natura
mettere in pratica forme di risparmio energetico
moderare il riscaldamento dei locali
installare elettrodomestici a basso consumo
installare lampade a basso consumo
installare se possibile impianto fotovoltaico per produzione di energia
installare se possibile pompa di calore per acqua calda da fotovoltaico
ciclo dell’acqua
usare acqua di rubinetto o da distributori
attuare un uso attento dell’acqua (con recupero acqua piovana per orto)
mobilità sostenibile
preferire il cammino quotidiano o con bicicletta
nella scelta dei mezzi scegliere mezzi a bassa emissione e là, dove è possibile, usare i mezzi pubblici
ridurre il consumo di carne
Comportamenti quotidiani a sostegno della natura
ciclo dei rifiuti
ridurre la produzione di rifiuti (preferire confezioni multiple)
limitare l’acquisto di prodotti “usa e getta”
non utilizzare sacchetti di plastica o riutilizzarli evitando di gettarli dopo il primo utilizzo
usare prodotti locali a filiera corta (rifornirsi con contenitori dove possibile)
attuare la raccolta differenziata spinta per un riciclo di qualità
la raccolta differenziata inizia in casa, separando i rifiuti secondo le loro caratteristiche (carta, vetro, lattine, umido ecc.) e conferendo i diversi materiali negli appositi contenitori in modo da permetterne il riutilizzo e trasformando così i rifiuti in risorsa.
Es: per produrre una tonnellata di carta, in modo tradizionale, servono in media 15 alberi, circa 45.000 litri d’acqua e tanta energia elettrica. Per produrre la stessa quantità di carta riciclata non si tagliano alberi, si utilizzano circa 1.800 litri d’acqua e meno della metà di energia elettrica.
Lo stesso vale per il vetro, le lattine; possono essere riciclati all’infinito con un risparmio di una pari quantità di materia prima e di molta energia elettrica. Dalla plastica si possono ricavare accessori vari per auto ed elementi per arredo urbano, ad esempio panchine
essere di esempio con il proprio agire
Dalle Energie rinnovabili la chiave per un futuro migliore
Gli investimenti su energie rinnovabili, solare, eolico, …… oltre ad avviare un importante processo interno che renda più sicuro l’approvvigionamento energetico (riducendo la dipendenza dalle importazioni di energia) consentono, su più ampia scala, di immaginare un futuro:
che crei nuove opportunità di crescita e posti di lavoro
che assicuri energia a prezzi accessibili a tutti i consumatori
un Medioriente luogo di pace anziché luoghi di conflitto (spesso generati dalla presenza di giacimenti petroliferi)
Le fonti di energia rinnovabile non prevedono alcun processo di combustione e pertanto sono prive di emissioni nocive per l’ambiente e per il clima.
A fronte della vera emergenza per le generazioni future, “il Cambiamento climatico”, l’uomo si distrae, pensa all’onnipotenza, continua con ottusità a spendere ingenti risorse in guerre, fonti di odio, distruzioni ambientali e di vite umane.
Basterebbe dirottare queste risorse “da strumenti di guerra a strumenti di Pace” per risolvere i problemi dell’Umanità.
Nota: il presente articolo trae informazioni da: “Un green new deal globale” di Jeremy Rifkin, “La Nazione delle piante” di Stefano Mancuso, fonti della Commissione Europea e note serata del 6 dicembre 2019.
con la collaborazione del “Gruppo di lavoro” della Lista “Vivere Calvene”