Vivere Calvene

Sito Ufficiale del Gruppo Consiliare "Vivere Calvene" (Giugno 2019 - Maggio 2024)

LAVORO e FORMAZIONE nell’era POST – COVID

SFIDE E OPPORTUNITA’

di Monica Testolin e Sofia Cappozzo

Nel mondo: che la pandemia abbia avuto un impatto sconvolgente nel mondo/mercato del lavoro è risaputo ma sappiamo quanto in termini di numeri?

Il tasso di disoccupazione è salito a livelli record, il numero degli inattivi (soggetti esclusi dalla forza lavoro poiché non occupati e nemmeno in cerca di un impiego) ha subito una brusca impennata che ha superato le stime dei disoccupati – individui, anche questi, non appartenenti alla categoria degli occupati tuttavia attivi nella ricerca di un lavoro o propensi ad avviare un’attività autonoma.

33 milioni di individui hanno perso il posto di lavoro, contro i 21 milioni del 2009 (anno in cui l’economia mondiale risentì pienamente degli effetti della crisi finanziaria originatasi negli Stati Uniti).

E in Italia?

945 mila i posti di lavoro persi in un anno a causa della crisi economica portata dal covid. A farne le spese, come era facile intuire, sono stati soprattutto i lavoratori a termine, -372 mila e gli autonomi, -355 mila, un dato al minimo storico. Sono aumentati gli inattivi, cioè quelle persone che non hanno un lavoro e non lo cercano, di ben 717 mila unità. Nonostante il blocco dei licenziamenti per molti settori, sono diminuiti anche i dipendenti stabili.

Secondo quanto dichiarato dall’INPS, le ore di cassa integrazione erogate lo scorso anno sono state oltre 4 miliardi). La perdita dei posti di lavoro ha coinvolto tutti, a prescindere dal sesso e dall’età, ma è stata più marcata per le donne e per gli under 35.

Nello specifico, il calo del tasso di occupazione femminile è stato quasi il doppio di quello maschile – molte donne durante la pandemia hanno dovuto lasciare il lavoro per occuparsi dei figli considerato che con asili e scuole chiuse conciliare vita lavorativa e familiare, senza un supporto, era molto difficile.

Relativamente ai settori maggiormente colpiti, l’ultimo anno è stato sicuramente difficile per tutti i comparti lavorativi del nostro Paese, ma ci sono delle aree che sono state colpite più di altre: il comparto alberghiero e della ristorazione, dei trasporti, della cultura, dello sport e dell’intrattenimento.

Un altro settore che ha risentito pesantemente degli effetti della pandemia è stato quello dei servizi domestici alle famiglie, con un impatto maggiore per gli stranieri e le donne.

L’industria dell’abbigliamento e del tessile ha subito gravi perdite: l’indice che ne calcola il fatturato medio a livello europeo è diminuito di 26 punti tra il 2019 e il 2020. Questa ampia differenza è dovuta sia ai molti mesi in cui i negozi del settore hanno dovuto lavorare a ritmo ridotto, sia ai cambiamenti nello stile di vita e nelle necessità che la pandemia ha introdotto. Fortunatamente l’arrivo, in tempi rapidi, del vaccino e la ripresa economica di questi ultimi mesi è un buon segnale; secondo gli ultimi dati ISTAT sono stati recuperati 523.000 posti di lavoro dei 945.000 persi nel 2020. Per consolidare la ripresa è fondamentale saper usare nel migliore dei modi l’opportunità fornita dall’Europa con il “Next Generation EU e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.  A rallentare la ripresa rimangono delle nubi all’orizzonte causate del forte aumento delle materie prime e del conseguente costo dell’energia.

LA RICERCA DEL LAVORO

Ma se da un lato il covid ha scosso l’intero sistema economico, portando, come visto, una profonda crisi, dall’altro ha dato l’opportunità di rivedere alcuni paradigmi che rischiavano di paralizzare il mondo del lavoro, accelerando il processo di digitalizzazione in ogni ambito e responsabilizzando maggiormente i dipendenti attraverso il lavoro da remoto.

Nel 2020 è cambiato non solo il mondo del lavoro, ma anche il modo di cercarlo: la fa da padrona la ricerca on line e quindi utilizzo del web.

Da uno studio sulle ricerche fatte on line dagli utenti in Italia, si è notato un aumento nel ricercare lavoro per alcune specifiche aziende, soprattutto supermercati e corrieri, probabilmente viste come professioni più sicure durante la pandemia e meno a rischio di eventuali licenziamenti o cassa integrazione.

L’item “lavorare con Amazon” è quello che ha registrato l’incremento più alto (+ 236%) con più di 11.300 ricerche ogni mese, e picchi di 22.000 a settembre e novembre 2020. “Bartolini lavora con noi”, invece, ha registrato un +71% con una media di 11.500 digitazioni ogni mese.

Crescita a +70% per l’item “MD lavora con noi”, che nel 2020 ha registrato una media di quasi 14.000 ricerche ogni mese, e picchi di 22.200 a settembre, ottobre e novembre 2020, mentre “Coop lavora con noi” ha segnato un +56% con una media di 157.00 digitazioni mensili.

Per quanto riguarda i siti per la ricerca di lavoro, Indeed.com è stato il portale più cliccato, quasi 14milioni e 900 mila volte ogni mese (+15% sul 2019), mentre Jobbydoo.it è stato quello con la crescita maggiore, con un incremento del 79% rispetto all’anno precedente e una media di 3 milioni di accessi mensili.

A cambiare, però, non è stato solo il modo di cercare lavoro, ma anche come si valutano i potenziali candidati e ciò che si ricerca nelle figure professionali da assumere.

 In un contesto in continuo mutamento, a fare la differenza nella scelta delle migliori figure professionali da inserire nel proprio team sono le soft skills*.

Le soft skills ora incidono quasi il 40% nella scelta del candidato: tra le competenze più richieste la capacità di adattarsi ai cambiamenti, di lavorare sotto stress e per obiettivi, ma anche la flessibilità, intensa non solo come quella oraria, quanto di mansioni lavorative. Quest’ultima capacità si rende necessaria, come è stato nel caso della pandemia e del passaggio allo smart working, che ha portato molte persone a lavorare in modo diverso.

Inoltre, tra gli strumenti che pesano di più nel giudizio della valutazione del CV, a parità di competenze, c’è sicuramente la lettera di referenze firmata da ex datori di lavoro, ma anche da ex colleghi, per approfondire la storia professionale del candidato, la sua capacità di lavorare in team o le sue doti di leadership e di raggiungere gli obiettivi prefissati.

*soft skills : serie di competenze trasversali come la capacità di saper comunicare efficacemente, saper lavorare in gruppo, essere in grado di tener testa allo stress,.., ovvero capacità relazionali e comportamentali che caratterizzano la nostra persona e il modo in cui ci poniamo rispetto al contesto lavorativo.

NUOVE COMPETENZE E SOFT SKILLS PER ADATTARSI AI NUOVI CONTESTI

A causa del Covid, tante persone hanno perso il lavoro, tante attività hanno chiuso per diversi mesi, altre sono ancora in attesa di riaprire. In un contesto del genere cambiare lavoro è diventato ancora più complesso.

A parità di CV e di competenze tecniche, le soft skills vengono, oggi a maggior ragione, considerate una marcia in più: queste sono più importanti del numero di anni di esperienza o delle competenze tecniche. Questo perché chi padroneggia le soft skills è più capace e soprattutto più veloce, nell’adattarsi ai cambiamenti e alle novità, che nel contesto che stiamo vivendo sono all’ordine del giorno.

Formazione, competenze e soft skills rappresentano quindi la base per chi vuole affermarsi nel mercato del lavoro attuale e avere accesso ad un numero maggiore di opportunità per la propria carriera e per la propria soddisfazione personale e professionale.

SMART WORKING

L’emergenza ha portato tante realtà a ricorrere a modalità di lavoro mai provate prima, permettendo ai dipendenti di lavorare da casa.

Lo Smart Working è stato nell’ultimo anno al centro dell’attenzione mediatica, in quanto misura in grado di garantire la continuità di business e allo stesso tempo salvaguardare la salute pubblica.

A novembre 2020 l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha evidenziato che “durante la fase più acuta dell’emergenza, lo smart working, in Italia, ha coinvolto il 97 % delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019“. La fine del lockdown ha invece portato a nuovi cambiamenti, con le aziende e la pubblica amministrazione che hanno ricominciato ad aprire gli uffici, promuovendo un’integrazione tra lavoro in ufficio e lavoro da remoto: così, secondo i dati dell’Osservatorio, a settembre «il numero complessivo di smart worker è sceso a quota 5,06 milioni».

Per quanto possano esserci delle problematiche che successivamente verranno analizzate, non è possibile trascurare i benefici che la possibilità di lavorare da casa ha generato per aziende e dipendenti, offrendo innanzitutto la possibilità di portare avanti le proprie attività in un momento storico in cui senza le tecnologie a disposizione sarebbe stato impossibile. Secondo l’Osservatorio vi sarebbero altri fattori positivi: nel 71% delle grandi imprese italiane sarebbero migliorate le competenze digitali dei dipendenti; nel 65% di esse sarebbero stati sfatati dei pregiudizi sullo smart working; si sarebbe verificato, inoltre, un ripensamento dei processi aziendali nel 59% delle grandi imprese e nel 42% delle PA. Una ricerca condotta dal Centro di Ateneo – Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, basata sulla risposta di 446 individui a due questionari somministrati a marzo e a luglio 2020, si è focalizzata invece sulla risposta dei lavoratori. Stando a questi dati sembra che molti di essi percepiscano questa modalità di lavoro come positiva: più di un lavoratore su due sarebbe molto contento o del tutto contento di lavorare da casa. Tra i lavoratori soddisfatti di lavorare da casa il 79,2% presenta come principale vantaggio il risparmio di tempo e costi di viaggi; il 64,5% mette in risalto il senso di sicurezza rispetto alla possibilità di contagio; quasi il 60% afferma invece di riuscire a gestire meglio gli impegni della vita privata.

A livello aziendale, nei periodi non inclusi nel lockdown totale, il regime di utilizzo dello smart working si è attestato con regolarità su almeno due giorni a settimana, senza creare difficoltà nella continuità del business.

Inoltre, il ricorso a forme di smart working ha permesso di accelerare la trasformazione digitale dei processi organizzativi nelle imprese in cui erano già stati avviati significativi investimenti su nuove architetture informatiche e nuovi sistemi informativi (a supporto di attività di vendita, esercizio e manutenzione, virtualizzazione di macchinari e apparati di rete, e strumenti di lavoro collaborativo a distanza).

Tuttavia le difficoltà nell’adattarsi a questo nuovo approccio al lavoro, specialmente per chi si è ritrovato a doverlo fare per la prima volta, come già sottolineato in precedenza, ci sono. La pandemia ha d’altra parte accelerato in maniera improvvisa e forzata un processo di digitalizzazione che per molte aziende sarebbe probabilmente avvenuto successivamente. La necessità urgente di richiedere ai dipendenti di svolgere le proprie mansioni da casa ha generato delle problematiche di diverso tipo.

Innanzitutto, alcuni problemi riguardano la mancanza di strumenti adatti a svolgere il proprio lavoro da casa: come riportano i dati dell’Osservatorio, il 69% delle grandi aziende ha dovuto aumentare la dotazione di computer portatili e di altri strumenti hardware; il 65% ha dovuto aumentare la dotazione di strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali in tutta sicurezza; il 45% ha dovuto invece aumentare quella di strumenti per la collaborazione e la comunicazione. 

un altro aspetto importante riguarda work-life balance e repentino bisogno di imparare a conciliare lavoro e faccende domestiche (principalmente per i genitori con figli minorenni, la cui situazione è stata resa ancor più difficile dalla chiusura di scuole e asili nido). La ricerca condotta dal Centro di Ateneo – Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha fatto luce anche su questo tema e sull’impatto di questi cambiamenti sul benessere dei dipendenti. Tra i principali svantaggi riportati dagli intervistati è possibile menzionare la mancanza di momenti di pausa nella giornata lavorativa (nel 53,4% dei casi) e lo stress correlato all’uso della tecnologia (per il 51% degli intervistati). Infine, lo studio ha rivelato che un lavoratore su due che lavora da casa percepisce di lavorare più del solito.

Possibili scenari

L’aumento del lavoro da remoto e dello smart working durante la pandemia ha cambiato la percezione che molte aziende avevano di queste modalità di lavoro e, secondo quanto riportato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, una volta finita l’emergenza potrebbero esserci circa 5,35 milioni di persone a lavorare almeno in parte da remoto. Nonostante le tante sfide e gli ostacoli, molte voci puntano nella stessa direzione: come ha affermato Gianluigi Cogo, -Project Manager Open Innovation Regione Veneto da quando la pandemia è iniziata sono stati tanti gli italiani che si sono dovuti adeguare a «una modalità ibrida di lavoro che probabilmente diventerà la nuova normalità, non ci sarà più un ritorno a tutti in ufficio e pochi in modalità agile».

Una previsione simile emerge anche dalla ricerca di Randstad “Lavoro e studio ‘intelligenti’: la trasformazione possibile“. Come si legge nel comunicato stampa di lancio della ricerca, Daniele Fano, coordinatore del comitato scientifico di Randstad Research, ha affermato che «il futuro dello studio e del lavoro sarà “integrato“, un combinato di attività svolte a distanza con supporti digitali e con piena flessibilità di orario e di altre in presenza che richiedono condivisione e interazione tra persone».

È importante, dunque, che le aziende e le PA si impegnino per riuscire a cogliere al massimo il potenziale di questo approccio ibrido al lavoro, diviso tra casa (o un altro luogo) e la sede di lavoro, garantendo ai dipendenti le condizioni ottimali per poter essere produttivi e per trovare il giusto equilibrio tra vita privata e vita professionale.

Fonti: Istat e ADNKronos

Indagine demografica – parte seconda – quale futuro?

di Antonio Dalla Stella

Nell’indagine Demografica, pubblicata a maggio, erano emerse le seguenti criticità:

  • stiamo perdendo abitanti (dai 1335 nel 2010, 1296 nel 2020),
  • lo squilibrio tra giovani e anziani stà aumentando; siamo passati da 120 anziani ogni 100 ragazzi del 1990 ai 200 anziani ogni 100 ragazzi del 2020,
  • stiamo registrando una forte diminuzione delle nascite; 7 nati nel 2019, 3 nati nel 2020 e una stima di un 2021 che non si discosta molto da questi numeri.

Consci che i prossimi 2/3 anni saranno decisivi per il futuro di Calvene, il presente articolo si propone tre obiettivi:

1) un’analisi ancora più dettagliata su come si è modificata la società nel tempo,

2) un contributo alla conoscenza dei cambiamenti che ci attendono,

3) possibili azioni per invertire la rotta.

Partiamo dal primo punto: come si è modificata la società di Calvene nel tempo

La linea BLU che fotografa la situazione dei residenti per classi di età nel 1990 evidenzia una presenza sostenuta di abitanti tra i 15 e i 45 anni e una continua e progressiva diminuzione del numero dopo i 45 anni (segno della maggiore presenza di giovani rispetto a persone adulte e anziane).

La linea ROSSA che fotografa la situazione nel 2020, ha uno sviluppo completamente opposto in quanto evidenzia il basso numero di abitanti tra i 15 e i 40 anni e il sostenuto numero di persone oltre i 40 anni (segno della maggiore presenza di persone adulte rispetto ai giovani).

Che la società stesse invecchiando lo sapevamo già da tempo, ma la rappresentazione grafica della tendenza in atto forse aggiunge qualche ulteriore elemento di riflessione.

Detto questo, lasciamo il passato e proviamo a guardare al futuro.

Osserviamo attentamente l’andamento del grafico sottostante che descrive i residenti nel 2020 per classi di età (di cinque anni) per cercare di capire i cambiamenti che ci attendono.

Come si può notare, e come già rilevato, il maggior numero di persone le troviamo tra i 40 e i 75 anni, mentre  è preoccupante il numero ridotto di abitanti da zero ai 40 anni.

Adottando una classificazione ormai consolidata che individua gruppi di persone nate in un certo arco di tempo (che hanno condiviso esperienze di vita simili, momenti storici particolari, grandi cambiamenti), rappresentiamo nella parte bassa del grafico, nei vari colori, le Generazioni di appartenenza.

Appartengono così alla:

  • Generazione silenziosa coloro che hanno vissuto la triste esperienza della guerra (nati dal 1925 al 1945, colore marrone che hanno più di 75 anni),
  • Generazione Boomers – i nati nel periodo della ripresa economica e del boom demografico (dal 1946 al 1965, colore arancione, oggi dai 55 ai 75 anni),
  • Generazione X – testimoni di eventi storici come la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda (nati dal 1966 al 1980, colore giallo, oggi dai 40 ai 54 anni),
  • Generazione Millennials – generazione aperta alle nuove tecnologie e alla rete (nati tra il 1981 ed il 1995, colore blu, tra i 25 e i 39 anni),
  • Generazione Z – la prima generazione nativa digitale con diffuso utilizzo di Internet e dei social che incidono significativamente nel loro processo di socializzazione e formazione (i nati dal 1996 al 2010, colore verde, dai 10 ai 24 anni),
  • Generazione Alfa – generazione interamente del XXI secolo, i nati dopo il 2010 (colore rosso), per la maggior parte i figli della Generazione dei Millennials (Blu).

Osservando il grafico, la tendenza della linea rossa nella Generazione Alfa (i nati dopo il 2010), come già rilevato, segnala una marcata diminuzione del numero dei giovanissimi. La generazione Alfa potrebbe infatti essere meno numerosa della generazione Z che la precede. Il risultato è che le giovani generazioni di oggi (Alfa e Z) si preparano ad essere la maggior parte della popolazione del domani. In altre parole sono il presente e al tempo stesso il futuro.  

La realtà dei numeri è inesorabile, stiamo assistendo ad una costante e progressiva diminuzione della popolazione ed è in questa logica che vanno ripensati servizi, strutture, bisogni.

La prima cosa da fare è salvaguardare il futuro della Scuola Materna e della Scuola Elementare.

Se non si aggiungono bambini da altri paesi, il prossimo anno iniziano la Materna i 7 nati nel 2019 e nel 2023 i 3 bambini nati nel 2020.

Alla Scuola Elementare la situazione diverrà critica nel 2025 quando i bambini che frequenteranno la classe prima saranno 7 e nel 2026 saranno 3.

Come è possibile, in poco tempo, aumentare il numero di bambini che andranno a frequentare la Scuola Materna, già dal prossimo anno, e la Scuola Elementare dal 2025 in poi?

Sono queste le domande a cui dobbiamo rispondere, la Scuola Materna e la Scuola Elementare sono due realtà fondamentali per la vita del paese.

Ecco alcune proposte:

  • programmare per tempo, con la Dirigenza scolastica, l’uso della Scuola Elementare di Calvene come struttura base dell’Istituto comprensivo; ossia integrando nella struttura di Calvene (che offre un ambiente e docenti di qualità) eventuali alunni del circondario. Così come avviene per gli studenti delle medie di Calvene che frequentano a Lugo. Tutto questo integrato in un Progetto ad ampio respiro, ossia puntando su un ampliamento del Piano Triennale dell’Offerta Formativa – PTOF – (concordato con la Dirigenza, Consiglio d’Istituto e Collegio docenti) con progetti che possano attirare alunni da paesi vicini anche collaborando con la Cooperativa che gestisce il doposcuola.
  • creare le condizioni affinché le giovani coppie restino a Calvene e altre possano arrivare – l’aggiornamento dello strumento urbanistico scaduto da tempo (Piano degli Interventi) può essere d’aiuto.
  • rendere il paese più attrattivo, Calvene ha una posizione invidiabile tra colline e corsi d’acqua, aspetta solo di essere valorizzato con iniziative culturali e naturalistiche di qualità. In questo periodo di post pandemia c’è una inversione di tendenza, le persone preferiscono la campagna alla città, la diffusione poi del lavoro da casa (smart working) può essere una opportunità per i piccoli paesi (soprattutto se serviti da fibra ottica che permetta dei buoni collegamenti). L’attendiamo da tempo !
  • partecipare ai corridoi umanitari organizzati da Caritas, UNHCR, Conferenza Episcopale, per accogliere giovani famiglie.

Queste proposte possono contribuire a ridare un futuro al nostro Paese.

Buon rientro a scuola a tutti i nostri ragazzi…..

Fonti dei dati:

  • i dati del 1990 sono ricavati da uno studio effettuato a supporto della pianificazione del territorio (Piano abitativo di zona Maglio).
  • i dati 2020: ricavati dalla richiesta informazioni del 7 aprile 2021 prot. 1195

Gino Strada, un combattente per la Pace

Alcune testimonianze:

Gino Strada ha cercato le ragioni dell’umanità e della vita dove la guerra voleva imporre violenza e morte

Generoso nelle idee e forte nelle azioni, il nostro paese perde un grande medico e un grande uomo

Ha trascorso la sua vita sempre dalla parte degli ultimi nelle zone più difficile del mondo

Sono poche le persone al mondo che hanno dato così tanta concretezza alle proprie idee spendendosi in prima persona e facendo della propria vita una missione per aiutare gli altri

Ci sono vite splendide, vissute inseguendo i propri valori, le proprie convinzioni più profonde, sapendo costruire comunità e sapendo restare soli, quando serve. Vite consacrate all’imperativo morale di dire ciò in cui si crede, non ciò che conviene dire

Gino Strada nasce a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, il 21 aprile 1948.

Si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale di Milano e si specializza in Chirurgia d’Urgenza.

Per completare la formazione da medico-chirurgo, negli anni Ottanta vive per 4 anni negli Stati Uniti, dove si occupa di chirurgia dei trapianti di cuore e cuore-polmone presso le Università di Stanford e di Pittsburgh. Si sposta poi in Inghilterra e in Sud Africa, dove svolge periodi di formazione presso l’ospedale di Harefield e presso il Groote Schuur Hospital di Città del Capo.

Nel 1988 decide di applicare la sua esperienza in chirurgia di urgenza all’assistenza dei feriti di guerra. Negli anni successivi, fino al 1994, lavora con la Croce Rossa Internazionale di Ginevra in Pakistan, Etiopia, Tailandia, Afghanistan, Perù, Gibuti, Somalia, Bosnia

La nascita di EMERGENCY

Nel 1994, l’esperienza accumulata negli anni con la Croce Rossa spinge Gino Strada, insieme alla moglie Teresa Sarti e alcuni colleghi e amici, a fondare EMERGENCY, Associazione indipendente e neutrale nata per portare cure medico-chirurgiche di elevata qualità e gratuite alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà.

Il primo progetto di EMERGENCY, che vede Gino Strada in prima linea, è in Ruanda durante il genocidio. Poi la Cambogia, Paese in cui resta per alcuni anni.

Nel 1998 parte per l’Afghanistan: raggiunge via terra il nord del Paese dove, l’anno dopo, EMERGENCY apre il primo progetto nel Paese, un Centro chirurgico per vittime di guerra.

Gino Strada rimane in Afghanistan per circa 7 anni, operando migliaia di vittime di guerra e di mine antiuomo e contribuendo all’apertura di altri progetti nel Paese.

Dal 2005 inizia a lavorare per l’apertura in Sudan del Centro di cardiochirurgia totalmente gratuito in Africa. Nel 2014 si reca in Sierra Leone, dove EMERGENCY è presente dal 2001, per l’emergenza Ebola.

“Quel che facciamo per loro, noi e altri, quel che possiamo fare con le nostre forze, è forse meno di una gocciolina nell’oceano. Ma resto dell’idea che è meglio che ci sia, quella gocciolina, perché se non ci fosse sarebbe peggio per tutti. Tutto qui. È un lavoro faticoso, quello del chirurgo di guerra. Ma è anche, per me, un grande onore.”

da “Pappagalli verdi, Diario di un chirurgo di guerra”

====================================================

La Montagna di Calvene

di Antonio Dalla Stella

Dal punto di vista altimetrico Calvene è un paese un po’ speciale; si passa infatti dai 156 sul livello del mare, nel punto di confluenza del torrente Chiavona con l’Astico, ai 1.518 metri  di Cima Fonte, punto più alto della parte sud dell’Altopiano di Asiago che dà sulla pianura. 

Più di 1.300 metri di dislivello che caratterizzano aspetti ambientali diversi e interessanti.

Della parte bassa del paese, attraversata dai due corsi d’acqua Astico e Chiavona, ne parleremo in uno dei prossimi articoli dedicati a questa rubrica “Ambiente e percorsi natura”; qui parleremo della Montagna, la “Montagna di Calvene”.

Dai 607 metri s.l.m. di Località Monte, seguendo l’itinerario che arriva all’Ex Malga Cima Fonte, si incontrano luoghi di particolare interesse e bellezza sia dal punto di vista storico, panoramico, naturalistico. 

  • Località Monte di Calvene: una comunità ben radicata, forte e operosa, come sa essere la gente di montagna.

Nella contrada, tra le caratteristiche e strette vie, una targa ricorda la casa di Marcellina Brazzale, staffetta Partigiana della Brigata Mazzini; un Capitello votivo dedicato a San Rocco e, salendo un breve sentiero, la bella chiesa di San Bellino, del 1754.

Dalla contrada Monte a Costa della Mare (700 m.s.l.m.) l’ambiente, prima aspro e chiuso, si apre ora in ampi pendii, prati ben lavorati che in modo armonioso si affacciano sulla pianura.

In località Vanzo, a quota 1.004, un Capitello votivo dedicato a “Cacciatori e Volontariato” costruito anni fa dall’Associazione Cacciatori a ricordo di cari Amici.

A quota 1.068 metri, in località Cavalletto, in un’area ben conservata dai Gruppi Alpini e Protezione Civile è posta la statua della Madonna del Cavalletto.

Continuando a salire, quando la strada si apre nella vallata di Pian del Pozzo, all’altezza della “Malga Busa Fonte”,  ai 1.160 metri, un luogo dedicato al ricordo dei caduti della prima guerra mondiale:  il Cimitero Inglese del Cavalletto.

L’ambiente circostante “Malga Busa Fonte” si apre in ampi spazi a pascolo dediti all’alpeggio.

A quota 1.486 Cima del Porco luogo dell’Ex Malga di Cima Fonte: un ambiente di una bellezza unica.

Una bellezza che ho avuto il piacere di condividere più volte quando, camminando tra i pendii di Cima del Porco, ho incontrato persone che provenienti da Monte Corno avevano scelto di esplorare questa zona alla ricerca di luoghi citati nei libri, in riferimento alla prima guerra mondiale e alla posizione particolarmente panoramica del luogo.

Quì, a Cima del Porco, luogo simbolo della Montagna di Calvene, c’era una volta un pannello informativo che descriveva i luoghi di maggiore interesse che si incontravano percorrendo il “sentiero storico naturalistico”, sotto riportato; un Progetto finanziato con Fondi della Comunità Europea. Il “sentiero storico-naturalistico” completava il “sentiero dell’acquedotto” creando così un percorso ad anello molto interessante.

Particolare della Mappa con indicato il sentiero storico-naturalistico e i punti di interesse.

Questo pannello informativo installato, nel posto più importante della Montagna di Calvene, dall’Amministrazione Finozzi e stato poi tolto dall’Amministrazione Pasin senza spiegarne le motivazioni; ma su questo argomento ritorneremo con il prossimo articolo che parlerà in modo dettagliato di questa area, della sua bellezza, dei soggiorni a Malga Cima Fonte che hanno contribuito alla Formazione di intere generazioni.

Ex Malga Cima Fonte – giugno 2021

Nel punto informativo, tolto, era riportata anche questa foto che ricorda l’importanza attribuita al luogo durante il conflitto: punto strategico di Osservazione.

Altra foto d’epoca, riportata in un altro punto informativo ritrae una contraerea Italiana a Cima del Porco.

Oggi la natura è ritornata in possesso di questi luoghi; non più solo roccia ma verdi prati e fieri abeti che slanciati verso il cielo circondano la Cima. Quassù, fortunatamente, non è arrivata la furia della Tempesta Vaia e il luogo ha conservato la sua bellezza.

Di certo Cima del Porco con i suoi 1.486 metri, sia pur circondata da alti abeti rimane un Punto di Osservazione straordinario per chi desidera “Vivere la Montagna” nella sua pienezza.

Camminando da est verso ovest, nella parte alta di Cima del Porco, è possibile spaziare: a sud sulla pianura veneta, ad est sul Grappa e le Pale di San Martino, a nord sulla piramide di Cima d’Asta, ad ovest sul Gruppo del Brenta e infine il gruppo dell’Adamello con il suo imponente ghiacciaio: un VERO SPETTACOLO PER GLI APPASSIONATI DELLA MONTAGNA. 

la piramide granitica di Cima d’Asta
il Gruppo del Brenta
il Gruppo dell’Adamello

Altre EMOZIONI straordinarie regalate dalla natura passeggiando tra prati e boschi.

RISPETTO  è la parola chiave di chi va in Montagna, RISPETTO per l’AMBIENTE, la FAUNA, la FLORA e la NATURA saprà sempre restituire le sue BELLEZZE.

Un’ultima osservazione, purtroppo dolente, riguarda la presenza dei cinghiali; non solo nelle zone a pascolo o a fondovalle, ma anche quassù si incontrano zone evidenti di terreno mosso in profondità, segno del loro passaggio.

L’aumento, sempre più consistente, di questi animali stà alterando gli equilibri della montagna; è urgente attivare una soluzione a livello regionale.

Prossime pubblicazioni che troverete nel nostro sito   www.viverecalvene.it 

  • Resoconto del Consiglio comunale di Luglio
  • Un interessante articolo su Giovani (e non solo) con suggerimenti su Formazione e Ricerca Lavoro
  • Ambiente e corsi d’acqua
  • Terzo approfondimento sui Cambiamenti Climatici

Opportunità o Miopia

di Antonio Dalla Stella

L’indagine demografica aveva, ed ha, lo scopo di dare un contributo alla conoscenza dei fatti. Ciò è stato possibile grazie ad un lavoro fatto nel 1990 e ripetuto, con lo stesso metodo, qualche mese fa.

I dati che sono emersi, per chi desidera approfondirli, sono chiari e inequivocabili:

  • l’andamento della curva del numero dei residenti è preoccupante, negli ultimi anni stiamo perdendo abitanti (dai 1335 nel 2010, 1296 nel 2020)
  • lo squilibrio tra giovani e anziani diventa sempre più allarmante soprattutto guardando al futuro (siamo passati da 120 anziani ogni 100 ragazzi del 1990 ai 200 anziani ogni 100 ragazzi del 2020)
  • la diminuzione delle nascite registrata negli ultimi anni, 7 nati nel 2019, 3 nati nel 2020, e una stima di un 2021 che non si discosta molto da questi numeri, destano molta preoccupazione. 

La pubblicazione dell’indagine demografica ha sollevato, a mio avviso, commenti inopportuni.

Se anziché criticare e cercare di sminuire la ricerca fatta si facesse uno sforzo e si guardasse la realtà dei numeri, forse, qualche utile suggerimento si potrebbe trarre. 

Per esempio, in questo periodo di post pandemia c’è una inversione di tendenza, le persone preferiscono la campagna alla città, perché non pensare che Calvene potrebbe diventare un luogo di interesse?

Un paese attrattivo, con Scuola e servizi di qualità, che punta a frenare la decrescita, a invertire la rotta, a creare opportunità per i giovani e attirare nuovi nuclei familiari.

Questo si può fare con una seria e lungimirante programmazione urbanistica.

L’ultimo Piano degli Interventi (strumento base di programmazione urbanistica) risale ad aprile 2014 …… sono trascorsi 7 anni.

Il Piano degli Interventi ha una valenza quinquennale; è detto anche il “Piano del Sindaco” in quanto è lo strumento operativo base per rapportarsi con il bilancio pluriennale comunale e con il programma delle opere pubbliche.

Il Piano degli Interventi del Comune di Calvene è scaduto da tempo.

Come Gruppo consiliare “Vivere Calvene” abbiamo ricordato, più volte, l’urgenza di intervenire sulla questione, ma ogni nostra proposta, purtroppo per Calvene, non trova ascolto e il tempo passa.

A questo punto, risulta evidente dai fatti, il Piano degli Interventi non è una priorità per l’Amministrazione Pasin-Brazzale che da sette anni rivestono rispettivamente la carica di Sindaco e di Vice Sindaco.

“Il Ponte sull’Astico: gioiello ingegneristico della Pedemontana Vicentina” Parte seconda: Vita e opere di Arturo Danusso

di Silvia Binotto

Negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale, il piccolo paese di Calvene fu protagonista di un piano di modernizzazione davvero significativo, al quale partecipò anche una figura fondamentale nel panorama dell’ingegneria e dell’architettura nazionali.

Tra il 1906 e il 1907 l’ingegnere Arturo Danusso della società torinese Porcheddu Ing. G. A. progettò il nuovo ponte sull’Astico, in cemento armato e ad arco ribassato, sostituendo definitivamente il precedente ponte ligneo abbattuto da una piena del torrente nel maggio del 1905.

Arturo Danusso (da GIOVANNARDI 2009)

Arturo Danusso nacque a Priocca d’Alba, in provincia di Cuneo, il 9 settembre 1880, da una famiglia della piccola borghesia. Il padre Ferdinando era insegnante di fisica e matematica presso un Istituto Tecnico di Genova, dove Arturo trascorse i primi anni d’infanzia. All’età di soli quattro anni Arturo divenne orfano del padre: con la madre Paolina e il fratellino Ernesto (nota 1) si trasferì da Genova, prima a Priocca d’Alba e poi definitivamente a Torino, dove iniziarono una vita segnata dalle ristrettezze e dalle difficoltà economiche.

A Torino, grazie all’aiuto del parroco della Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, conosciuto tramite il parroco di Priocca, la madre di Arturo trovò un appartamento in via Baretti, 36 nelle vicinanza della Scuola degli Ingegneri del Valentino.

Per guadagnare qualche soldo in più Paolina trasformò l’appartamento in una pensione per i giovani studenti della Scuola degli Ingegneri: tra questi soggiornó in casa Danusso anche il giovane studente sardo Giovanni Antonio Porcheddu (1860-1937), una figura fondamentale nella futura vita lavorativa di Arturo.

Nonostante le difficoltà economiche, il giovane Danusso si dimostrò sempre forte, tenace ed intelligente, tanto da ottenere una borsa di studio del Collegio delle Province (nota 2) con cui riuscì a pagare l’iscrizione alla Scuola d’Applicazione per Ingegneri di Torino. Frequentò così il biennio della Facoltà di Matematica e poi la Scuola d’Applicazione del Castello del Valentino (nota 3).

Anche all’Università Arturo si fece notare per le sue doti: studente modello e primo del suo corso, terminò gli studi alla giovane età di 22 anni, conseguendo il 29 agosto 1902 la laurea con lode in ingegneria civile.

Nel frattempo Giovanni Antonio Porcheddu, terminati gli studi, fondò con non poche difficoltà un’impresa di costruzioni in cemento armato: una novità assoluta nel panorama dell’edilizia italiana, Porcheddu infatti fu il primo licenziatario del brevetto Hennebique (nota 5).

Saldati i debiti per la pigione con la madre di Danusso, Porcheddu propose ad Arturo di lavorare per la sua società: per iniziare a guadagnare e rendersi così indipendente dalla madre, Arturo accettò l’offerta. Ben presto, però, iniziò a non sentirsi completamente a suo agio nel lavoro, provando la sensazione di essere stato assunto da Porcheddu solo per fare un favore alla madre Paolina. Arturo decise quindi di provare altre strade: vinse il concorso bandito dalle Ferrovie Meridionali e si trasferì a Benevento. In occasione di un ritorno a Torino, fu accolto benevolmente da Porcheddu che gli rinnovó la proposta di lavorare per lui.

Chiariti i disagi della prima esperienza, i due ingegneri fecero un accordo per una nuova collaborazione.

“Si ebbe allora un periodo di eccezionale attività: ottimi ingegneri, fra loro cordialmente affiatati, vi collaborarono, inserendo nella feconda corrente di pensiero le loro particolari fisionomie di studiosi e progettisti. L’ingegnere Porcheddu, occupato nella direzione generale di quella che ormai era divenuta una grande impresa […], scelti con cura i propri collaboratori lasciava loro libertà d’azione. Così quello fu, per tutti noi che vi passammo fervidamente parecchi anni, una scuola di rara efficacia, in un tempo in cui la teoria diceva ben poco in confronto di quello che la pratica aveva osato con felice arditezza…”, così ricordava lo stesso Arturo il periodo alla società Porcheddu, in uno scritto in occasione della morte di Giovanni Antonio Porcheddu, pubblicato nella rivista “Il cemento armato” (n. 11, Novembre 1937, Milano).

Grazie alle sue spiccate qualità Arturo Danusso divenne fin da subito uno dei collaboratori di punta dell’ufficio tecnico della Società Porcheddu Ing. G. A.: impadronitosi della moderna tecnica di progettazione con il sistema Hennebique firmó numerose opere dove la tradizione italiana fu salvaguardata, ma nel frattempo il “moderno” veniva aggiunto.

A soli 27 anni firmó il progetto per il ponte sul torrente Astico a Calvene (1907-1908): un’opera di straordinaria importanza anche se all’apparenza non sembra, in quanto mai prima di allora fu costruito un ponte con un arco così ribassato.

Progetto definitivo per il ponte sull’Astico di Calvene inviato con lettera del 29 maggio
1907 dalla Società Porcheddu agli ingegneri Quirino Dalla Valle e Adelchi Zuccato (da
LIVERANI 2010/2011)

“… Previsto per veicoli leggeri è vissuto felicemente attraverso due guerre, che non gli risparmiarono carichi ben maggiori”, così lo ricordava Arturo stesso. Il ponte sull’Astico fu forse il “prototipo” principale per il Ponte del Risorgimento di Roma, realizzato solo quattro anni più tardi (i lavori iniziarono nel 1908 e terminarono nel 1911). Il Ponte del Risorgimento fu progettato da Porcheddu con la supervisione di Hennebique e la stretta collaborazione di Danusso.

A Danusso si devono numerose opere e progetti, tra cui la ricostruzione del campanile di San Marco a Venezia (nota 5).

Arturo lavorò fino ai 35 anni per la ditta Porcheddu, vinse poi nel 1915 il concorso per la cattedra di Meccanica Strutturale presso il Regio Istituto. Superiore a Milano (poi Politecnico), dove insegnò fino al 1950, ottenendo fama e notorietà negli ambienti scientifici accademici, tanto da affiancare alla sua brillante carriera accademica anche il lavoro di consulente. Fece infatti parte delle commissioni di valutazione dello stato strutturale della Torre di Pisa, della Mole Antonelliana e della Cattedrale di Milano.

Dopo 35 anni di insegnamento lasciò la cattedra nel 1950 e nel 1955 fu nominato professore emerito.

“Fu docente insigne, dalla parola al tempo stesso piana ed elevata, che fondata su basi scientifiche e tecniche, portava in aula il riflesso di un’attività scientifica e professionale di alto livello e, soprattutto, il riflesso di un’intensa vita spirituale nutrita di profonda meditazione e di non meno profonda umiltà”, con queste parole il suo studente Pietro Locatelli ricordava Arturo Danusso, il quale morì infine a Milano il 5 dicembre del 1968.

Padre del cemento armato assieme al collega Giovanni Antonio Porcheddu, Arturo Danusso ha lasciato nel paese di Calvene un gioiello ingegneristico dal valore inestimabile, un ponte simbolo di modernizzazione e unità.

NOTE AL TESTO

Nota 1: Il fratellino Ernesto morì a soli tre anni nel 1886 per difterite.

Nota 2: Il Collegio delle Province era una borsa di studio di £. 70 mensili per 10 mesi l’anno. Per ottenerla era necessario superare la licenza liceale con la media del 7 e presentarsi nella sede dell’Università per un ulteriore esame di licenza, aggravato da altre prove di fisica, matematica, filosofia e dal componimento in latino. Arturo riuscì 3° su 80 e mantenne la borsa di studio per tutto il corso universitario, ciò significò avere la media del 27, fare tutti gli esami a luglio, non avere nessun voto inferiore al 24.

Nota 3: Il Castello del Valentino è un’antica residenza sabauda. Nel 1864 l’edificio divenne sede del Regio Museo Industriale e dal 1880 ospitò i laboratori di idraulica della Regia Scuola di Applicazione per gli Ingegneri. Nel 1906 la Regia Scuola di Applicazione e il Regio Museo Industriale furono fuse dando origine al Regio Politecnico di Torino.

Nota 4: Il sistema prende il nome dal suo inventore, François Hennebique (1842-1921) che fu inizialmente riconosciuto come l’inventore del calcestruzzo armato, sistema edilizio che brevettò nel 1892.

Nota 5: Il campanile di San Marco a Venezia crollò al suolo il 14 luglio 1902: la struttura implose sotto il proprio peso e lasciò un cumulo di polvere. L’alto valore storico e architettonico dell’edificio impose una fedele ricostruzione, la struttura interna però poteva essere alleggerita e resa così più resistente, grazie all’utilizzo del cemento armato.

BIBLIOGRAFIA

Giovannardi F., Arturo Danusso e l’onere delle prove, 2009.

Liverani M., Il ponte di Calvene sull’Astico (1907, A. Danusso). Architettura e costruzione. Tesi di laurea magistrale di Ingegneria e Tecniche del costruire, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Anno Accademico 2010/2011.

Indagine demografica Calvene ieri…. Calvene oggi…. e domani ?

di Antonio Dalla Stella

Sono trascorsi 15 mesi dall’inizio della pandemia, un periodo lunghissimo, troppo lungo per non lasciare il segno nella società e purtroppo anche nella nostra piccola realtà.         E’ da questa riflessione che trae spunto l’idea di una indagine demografica.

Uno studio che, da un lato ci aiuta a capire “come eravamo” e come si è modificata la nostra società nel tempo; dall’altro ci fornisce utili elementi per interpretare …. “dove stiamo andando ? .

L’indagine si avvale di uno studio sulla composizione della popolazione al 31/12/1990 (30 anni fa), che, abbinato ai dati odierni, ci consente dei raffronti significativi:

  • popolazione totale suddivisa per sesso:

da una maggioranza di sesso femminile del 1990 (632), si è passati ad una maggioranza, sia pur lieve, di sesso maschile nel 2020 (653). 

  • popolazione suddivisa per classi di età:

da notare, soprattutto, l’incremento del numero delle persone oltre i 65 anni; si è infatti passati da 196 a 311 che corrispondono ad un incremento in percentuale sul totale dei residenti dal 15,7 % del 1990 al 24,0 % nel 2020.

Se andiamo poi a scomporre il numero delle persone con più di 65 anni troviamo che:

i maschi sono passati dai 77 del 1990 ai 148 del 2020 (più 71 unità pari a + 92%); le femmine pur rimanendo nel 2020, per questa fascia di età, più dei maschi (163 contro 148) hanno registrato un minore incremento percentuale da 119 del 1990 a 163 nel 2020 (+37% pari a 44 unità); complessivamente (+ 115 unità pari a + 58,7%).

L’aumento delle persone oltre i 65 anni, ha conseguentemente incrementato, in 30 anni, l’indice di “aspettativa di vita” di ben 8 punti medi, passando dai 74 anni medi del 1990, agli 82 anni del 2020, così suddiviso:

Questo aumento delle persone oltre i 65 anni, abbinato alla diminuzione della natalità registrata negli ultimi anni, condiziona pesantemente l’incremento dell’ “indice di vecchiaia”, ossia nel rapporto tra la popolazione anziana (maggiore di 65 anni) e la popolazione giovanile (da 0 a 14 anni) che infatti passa da 1,2 a 2:

  nel 1990 ogni 100 ragazzi c’erano 120 anziani,

  nel 2020 ogni 100 ragazzi ci sono 200 anziani.

Uno squilibrio tra giovani e anziani preoccupante, soprattutto guardando al futuro.

Fondamentale a questo punto diventa l’azione di rilancio e gli interventi previsti nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) o “NEXT GENERATION ITALIA”, un piano rivolto alle nuove generazioni a sostegno di famiglie, genitorialità e questione giovanile.

Come ha detto Mario Draghi: “il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani. È nostro dovere far sì che abbiano tutti gli strumenti per farlo pur vivendo in società migliori delle nostre […] privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza.

Prima di concludere l’analisi dei dati della nostra realtà apriamo una finestra nel mondo per capire cosa succede quando si parla dell’indice di età media” (ossia della struttura per età della popolazione), ecco alcuni esempi:

Stato              abitanti         età media

Nigeria        210 milioni         15,2 anni

Etiopia         117 milioni         17,6 anni

Congo           91 milioni          18,5 anni

Egitto           104 milioni       24,7 anni

L’età media del continente africano è di 19 anni con una popolazione di 1 miliardo e 216 milioni di persone.

Sono numeri che fanno riflettere, soprattutto guardando al futuro e all’impatto che possono avere nelle Politiche migratorie.

  • l’Europa ha un’età media di 43,7 anni
  • l’Italia di 45 anni
  • Calvene di 46,4 anni.

Tornando alla nostra realtà, destano preoccupazione gli ultimi numeri che ci riguardano da vicino:

  • il decremento degli abitanti (dai 1335 del 2010 ai 1296 a fine 2020)        
  • la diminuzione delle nascite registrata negli ultimi anni (7 nati nel 2019, 3 nati nel 2020)

La diminuzione della natalità, l’aumento delle persone anziane, la diminuzione del numero degli abitanti generano in prospettiva una serie di criticità:

  • criticità nel futuro della scuola elementare (servono nuove idee e nuove collaborazioni)
  • criticità nelle politiche di sostegno alle persone anziane (necessità di fare rete)
  • criticità nei servizi disponibili (indispensabile rendere più attrattivo il paese)

il 2021 ed i prossimi 2/3 anni saranno decisivi per il futuro di Calvene; ma partendo dalla conoscenza e consapevolezza dei fatti (questa analisi demografica ci può essere d’aiuto) sarà possibile promuovere azioni significative e incisive nella giusta direzione.

Fonti dei dati:

  • i dati del 1990 sono ricavati da uno studio personale effettuato a supporto della pianificazione del territorio (Piano abitativo di zona Maglio) (con incarico di Assessore all’Urbanistica)
  • i dati 2020: ricavati dalla richiesta informazioni del 7 aprile 2021 prot. 1195

Dedicato a Mario Rigoni Stern nel centenario della nascita

di Roberta Binotto

“Lasciata la piccola casa del Prà del Giglio dove aveva trovato rifugio con i suoi in quel maggio del 1916, camminava per la nuova strada militare che risaliva a tornanti le pendici dell’Altipiano. Andava con passo lesto, sorpassando reparti di soldati euforici che intasavano la via, incrociava camion 18B.L. e XVter che scendevano strombazzando dalle retrovie, autoambulanze e carriaggi, ma in tutto e in tutti c’era uno spirito di pace che si manifestava luminoso come una mattina d’aprile anche se le nebbie si aggruppavano sui fianchi dei monti”.

Inizia così una delle prime pagine dell’Anno della Vittoria che noi Calvenesi abbiamo sempre sentito un po’ nostro perché ambientato a Prà del Giglio dove la famiglia del giovane Matteo trova rifugio durante gli anni del conflitto.

Ricordo bene da bambina quando assistetti alla presentazione di questo libro presso la vecchia biblioteca di Calvene. Alla domanda del perché avesse scelto di ambientare la prima parte del libro proprio a Prà del Giglio, Rigoni Stern rispondeva candidamente che raramente egli aveva sentito un nome così bello e poetico come Prà del Giglio.

Immagino che puntando l’occhio su un punto piccolo piccolo della mappa dell’altipiano di Asiago (come soleva chiamarlo lui, Altipiano e non altopiano) in mezzo a una linea tutta curve che indicava l’impervietà della strada, la lettura di un nome come “Prà del Giglio” l’aveva d’un tratto illuminato. E sì perché forse noi Calvenesi a volte dimentichiamo di quanto le nostre contrade più antiche e fuori mano esercitino un fascino ammaliatore a chi le scopre per la prima volta. Lo stesso Rigoni Stern non è certo rimasto indifferente a questo fascino e ha voluto descrivere la strada che da Prà del Giglio porta in Altopiano. Si tratta di una vecchia mulattiera chiamata Sojo dea Cavala che si arrampica su per il Costo Magro. Terra bella ma difficile, il nome lo dice chiaramente.

Anche nel libro Le stagioni di Giacomo viene citato il Prà del Giglio. “Una sera di fine maggio Irene disse a Giacomo del suo desiderio di andare ai piedi delle montagne dove la sua famiglia era stata profuga nel Sedici. Abitavano in una casetta dentro un prato tutto circondato da ciliegi selvatici, ontani e betulle: il Prà del Giglio, era chiamato. […] Di questo posto avevano parlato suo fratello e suo nonno prima che morisse: – Vorrei proprio vederlo. Che ne diresti di andarci noi due? […] La strada migliore era quella per il costo fino a Caltrano; poi da Caltrano bisognava raggiungere Calvene e lì chiedere del Prà del Giglio. La strada più breve passava per la Barental, Granezza, Malga Mazze e Monte di Calvene. […] A Monte chiesero la strada, e poi ancora ai Capozzi e al Maso; arrivarono infine, dopo aver passato il valloncello…”

Rigoni Stern è uno di noi perché come noi ama il posto in cui viviamo e ne apprezza la semplicità. Conosce le leggi della natura, ne descrive con dovizia di particolari i cambiamenti e le sue inesorabili leggi. Memorabile quando in Uomini, boschi ed api scrive: “Vorrei che tutti potessero ascoltare il canto delle coturnici al sorgere del sole, vedere i caprioli sui pascoli in primavera, i larici arrossati dall’autunno sui cigli delle rocce, il guizzare dei pesci tra le acque chiare dei torrenti e le api raccogliere il nettare dei ciliegi in fiore”.

Con la sua scrittura semplice e profonda, ha definito i contorni della nostra identità locale e ci ha fatto provare il senso di appartenenza alla comunità e alla sua storia e un sentimento di rispetto per la natura e per le persone descritte nei suoi libri. Egli ha saputo narrare delle stagioni, del bosco e della vita di montagna in modo estremamente umile, con l’obiettivo, come diceva spesso, di “fare compagnia alla gente”. In lui si sente la saggezza del montanaro, dell’uomo comune che comunica messaggi di valore universale con incredibile semplicità, per essere alla portata di tutti. Penso alla dignità del lavoro fatto bene, qualunque lavoro sia. Diceva una cosa sola ai ragazzi nelle scuole: “leggete, lavorate, camminate e andate per le montagne. Una volta che avete letto un mio libro, sarei felice di sapere che siete andati a camminare in quel luogo e avete provato i miei stessi sentimenti” vedendo i primi crochi spuntare dalla neve e sentendo il canto del cuculo ai primi di aprile.

“Sarebbe bello che un giorno, leggendo un mio racconto – ha lasciato scritto Rigoni Stern – qualcuno potesse individuare il luogo e provare i miei stessi sentimenti e le mie stesse sensazioni”.

Queste parole sembrano prese alla lettera dall’Associazione Cammini Veneti che ha lanciato l’idea di un percorso che tocchi i luoghi letterari citati da Rigoni Stern nelle sue opere, da Vicenza ad Asiago, per chi frequenta l’Altopiano e per coloro che amano le opere di Stern e ne apprezzano l’insegnamento e cercano ancora quassù le sue tracce, l’aria pulita che ha respirato, i saperi che ha tramandato e i sentimenti che ha condiviso.

Cammini Veneti mira a creare dei percorsi che per l’appunto abbiano una forte matrice culturale e che colleghino luoghi significativi nella vita di personaggi decisivi per la nostra cultura e particolarmente attenti all’ambiente e al paesaggio. Cammini Veneti ritiene che il riappropriarsi delle proprie radici consenta di acquisire un maggior equilibrio, quando ci si allontana dal proprio microcosmo quotidiano, per scoprire l’altrove.

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Stern (Asiago, 1° novembre 1921) e quale modo migliore di ricordarlo e celebrarlo se non tramite un cammino a lui dedicato.

Il “Cammino Rigoni Stern” prevede il passaggio anche per Calvene, come da mappa:

è in corso la posa della segnaletica, con targhe/direzione e segnali con colori bianco/rosso che indicano la via da seguire.

Sarebbe interessante se il Cammino potesse diventare una opportunità per Calvene; una opportunità di valorizzazione ambientale e valorizzazione del patrimonio artistico.

Un suggerimento che vorremmo proporre all’Associazione Cammini Veneti che cura la Guida del Cammino:

giunti al Ponte di ingresso al paese di Calvene, fate una breve deviazione a destra, di soli 500 mt e salite al paese, avrete l’opportunità di:

  • visitare la bella Chiesa Arcipretale del 1852 che conserva all’interno opere dell’antica Pieve risalenti al XII e XV sec.
  • visitare il Capitello di San Rocco (detto anche “della Peste” del 1575)
  • trovare ristoro e approvvigionamento

per poi riprendere il percorso originale in direzione contrada Maglio (del 1500) e giungere al Ponte sul Torrente Astico (gioiello ingegneristico della Pedemontana Vicentina del 1907/8)”.

L’essere inseriti nel “Cammino Rigoni Stern” potrebbe consentire, in prospettiva, piccole forme di sviluppo dell’economia locale, come avviene in tanti luoghi d’Italia; entrare a far parte del sistema di “ospitalità diffusa e valorizzazione dei piccoli centri della Pedemontana”.

Alcune foto, con Mario Rigoni Stern tra i ragazzi di Scuola, in occasione dell’inaugurazione del Giardino Alpino nel maggio del 2006.

“Nell’ambito del Sentiero storico-naturalistico del Monte Corno (m. 1383), subito a nord del Rifugio, è stato creato un giardino botanico alpino che ospita, in diversi ambienti montani quali rupi calcaree, faggete, peccete, ghiaioni, pascoli e pozze, oltre 350 specie vegetali appartenenti alla flora subalpina, fra cui una vasta gamma di felci e piante officinali. È proprio da qui che si affacciano nella pianura Giacomo e Irene, nel libro Le stagioni di Giacomo, nella loro visita ai luoghi del periodo in cui erano profughi”.

Alcune opere per approfondire il rapporto di Mario Rigoni Stern con la natura:

Il bosco degli urogalli, Einaudi, 1962

Uomini, boschi e api, Einaudi, 1980

Amore di Confine, Einaudi, 1986

Arboreto selvatico, Einaudi, 1991

Le stagioni di Giacomo, Einaudi, 1995

Sentieri sotto la neve, Einaudi, 1998

Inverni lontani, Einaudi, 1999

Aspettando l’alba e altri racconti, Einaudi, 2004

Stagioni, Einaudi, 2006

Progetto innesto Via Roma con Provinciale

Nel rispetto dell’impegno assunto con gli elettori, a seguire, un nuovo aggiornamento dell’attività amministrativa del Gruppo consiliare “Vivere Calvene”

Intervento del Consigliere Marco Sartori nel Consiglio comunale del 29 dicembre 2020

tavola di progetto n. 4 relativa all’opera pubblica denominata: “Sistemazione e messa in sicurezza dell’innesto di via Roma con S.P. 68”.

Nel dicembre dello scorso anno, alla presentazione del progetto di massima, avevamo fatto la seguente osservazione: ci permettiamo di segnalare come il parametro base assunto in fase progettuale, ossia la velocità massima ammessa in centro abitato di 50 km/h vada, secondo noi, ridotta a 30 km/h, contribuendo così in modo determinante alla soluzione del problema, soprattutto nell’ambito sicurezza considerando la presenza di “traffico pesante, bilici e autotreni, che continuano ad aumentare”.

Introdurre i 30 km/h nella parte rialzata dell’incrocio non comporta alcun disagio alle persone di Calvene, in quanto rallentano in modo automatico per immettersi in Via Roma, come pure le persone che, da Via Roma, si immettono nella Provinciale.

Il limite dei 30 km/h serve solo a far rallentare le auto ed i mezzi pesanti che percorrono la Provinciale, da Caltrano verso Lugo e da Lugo verso Caltrano, troppo spesso a velocità sostenute. 

Testualmente, dalla relazione tecnica “la strada è interessata da un notevole carico di traffico di attraversamento, che tende a mantenere alte le velocità, con una importante quota parte di traffico pesante”.   

Indubbiamente il progetto in esame introduce delle migliorie alla viabilità e pone rimedio ad alcune situazioni, ma siamo convinti che questo non basti.

Abbiamo guardato con attenzione tavole e documenti del progetto, ecco a seguire le nostre osservazioni, le osservazioni del Gruppo consiliare “Vivere Calvene”: 

  • il rialzo della piattaforma dell’incrocio di 7 cm, può non essere sufficiente ad abbassare la velocità ad un limite di sicurezza
  • la nuova visuale, in uscita da Via Roma, ricavata con l’arretramento del muro sul lato nord-est dell’incrocio, si basa su una distanza di arresto calcolata di 55,10 mt., corrispondente alla marcia su strada pianeggiante, di un veicolo con Massa di 1.250 kg (più o meno un’auto) alla velocità di 50 km/h. Questa distanza di arresto può non essere sufficiente per i mezzi da 20 o 30 ton che solitamente vi transitano
  • è necessario pertanto, a nostro avviso, introdurre, nell’area oggetto d’intervento, il limite di velocità a 30km/h; questo consentirebbe di ridurre ulteriormente le criticità in uscita da via Roma in direzione est (Lugo), e le criticità in uscita da Via dell’Emigrante in direzione ovest Caltrano (perché anche in questo caso, la visuale per il conducente che si trova nella sua automobile,  in uscita da Via dell’Emigrante a tre metri dalla linea di arresto dallo STOP che deve girare verso Caltrano, è nella condizione limite di sicurezza intorno ai 50/ 55 mt.)
  • il limite dei 30 km/h renderebbe inoltre più sicure le due uscite dai passi carrai privati
    • quello di ingresso/uscita dalla corte, posta a sud, al centro dell’incrocio
    • quello a nord-ovest che, con l’allargamento della strada, si ritrova con lo scivolo sul marciapiede
  • segnaliamo la criticità del rialzo della piattaforma stradale a ridosso del passaggio pedonale, sul lato est dell’incrocio, si propone di spostare il rialzo a destra prima dell’incrocio con Via dell’Emigrante
  • segnaliamo inoltre le criticità che possono essere introdotte con la soluzione dell’area, ad uso pubblico, ricavata dall’abbattimento dell’edificio all’angolo:
    • le persone in sosta, sedute nelle panchine, vengono esposte ad inquinamento dai gas di scarico dei veicoli che si fermano all’incrocio
    • le persone in sosta, possono creare occasione di distrazione per i conducenti dei veicoli in transito

Si propone pertanto di togliere l’area di sosta ad uso pubblico, costruendo il solo muro ad angolo con scritta “Calvene” ed utilizzare il risparmio di spesa per installare, come promesso un anno fa, la pensilina per gli studenti che attendono il Bus nella zona di fermata a destra dell’uscita di Via dell’Emigrante, arredando l’area di attesa e liberando così la visuale per le auto in uscita da Via dell’Emigrante in direzione Lugo. Infine, per completare l’organizzazione dell’area, si propone di ricavare un’area a parcheggio all’inizio di via dell’Emigrante (a destra, prima dei cassonetti, già area pubblica) per i clienti del Negozio e del Bar, oltre che per i residenti.

———————————

Documentazione fornita a seguito richiesta di informazioni, del 31 dicembre 2020 prot. 4277, del consigliere Antonio Dalla Stella:

tavola di progetto n. 4 relativa all’opera pubblica denominata: “Sistemazione e messa in sicurezza dell’innesto di via Roma con S.P. 68”.

Ricordiamo il 25 aprile Festa della Liberazione con una pagina della “Resistenza a Calvene”

In occasione del centenario della nascita di Meri Testolin

Commemorazione del Prof. Liverio Carollo

La targa che oggi viene scoperta in onore di Silvano Testolin e di Meri è stata posta nella loro casa natale soprattutto per iniziativa del Gruppo Silva che opera tra Mortisa, Calvene, e le aree circumvicine. Suo obiettivo: tenere vivi e trasmettere gli ideali della Resistenza. Il gruppo gestisce il Sentiero partigiano di Granezza, quello delle Pietre Spezzate alle Lore, gestisce l’interessante Museo della Resistenza di Mortisa (vi invito vivamente a visitarlo). Il Gruppo ha intenzione di curare quest’anno una pubblicazione su Silva nel centenario della nascita; in essa si propone anche un sentiero sui luoghi che videro la sua tragica fine.  Il gruppo Silva lavora anche con le scuole portando classi di alunni sui citati sentieri.  Un gruppo attivo insomma.

Silvano Testolin (Fifi), classe 1915, abitava qui ed apparteneva ad una famiglia antifascista di vecchia data. Durante il ventennio I suoi componenti dovettero perciò in buona parte emigrare. Ci fu una vera e propria diaspora. Erano in sette fratelli. Due dei tre fratelli più anziani andarono in Francia. Un altro, Egisto, fu in Albania dove morì. Da ricerche condotte dall’amico Francesco Brazzale so che è Medaglia di Bronzo al V. M. Anche Silvano fu a lungo all’estero, in Francia, poi in Africa a combattere con la Legione Straniera. Forse dovette prendere questa decisione per non essere consegnato dai francesi alle autorità fasciste. Ebbe dalla Francia una Coix de Guerre. Tornato in Italia, dopo l’8 settembre 1943, assieme alla sorella Meri, infaticabile staffetta, e al fratello più giovane, Gerolamo- Momi, fu il primo ad organizzare nuclei di Resistenza a Calvene. Uno dei primi poi a salire con Silva nel Bosconero. Fifi svolse cioè in Calvene il ruolo che a Fara fu di Arnaldi, che a Thiene fu di Chilesotti e Falco, a Zugliano di Fabris Alfredo, a Marano di Silva. Fu cioè punto di riferimento, guida per quei militari e quei giovani che non volevano servire in armi i fascisti e gli invasori tedeschi.

Tutti sappiamo come Silvano finì: in Granezza, durante una marcia di perlustrazione assieme a Falco (Testolin Fulvio), fu dilaniato da una granata che portava attaccata alla cintura. Lunga la sua odissea tra gli ospedali della pedemontana, tutti impauriti a ricevere un “bandito” così celebre e ricercato. Morì dissanguato all’ospedale di Thiene sotto falso nome. Da allora Silva chiamò “Silvano Testolin” il suo battaglione di montagna.

La sorella Meri, unica donna tra sei fratelli maschi, fu staffetta della Mazzini, prima con Fifi e poi con Silva.  Nelle lunghe distanze la ragazza si muoveva in treno, ma in zona usava la fedele bicicletta. Era a Vicenza, sui Berici, dove Chilesotti organizzava gli aviolanci degli Alleati. Portava messaggi, ordini, vestiario, armi a Novoledo, a Fara, in Rialto, dai Boschiero, dove agiva Arnaldi, a Marano, a Calvene e su in Granezza dopo che Silva con Falco, Fifi, Fabris e Talin aveva costituito il battaglione partigiano di montagna. Meri rischiò la vita nella primavera 1944. Militi della X Mas l’avevano presa e battuta senza pietà. Volevano conoscere i nascondigli di Fifi e del fratello Momi. Meri resistette tenacemente e i fratelli furono salvi. Solo l’intervento del parroco di allora (don Pietro Costa) salvò Meri dalla fucilazione in piazza a Calvene.

La targa che oggi abbiamo scoperto è dunque dedicata a Fifi, ma io dico anche a tutta la famiglia Testolin, anzi a tutte queste contrade alte di Calvene (Cioda, Campanela) che durante la Resistenza occultarono bunker – rifugio per i partigiani. Bunker strategici, perché resi sicuri da uscite verso la Chiavona o verso i campi e i versanti boscagliati che scendono dai Binoti e Pradelgiglio. Tra queste case occhi vigili di donne, di ragazze, di bambini perfino, erano sempre in all’erta a cogliere qualcosa di insolito, qualche avvisaglia di pericolo.

Perfino i due mulini di Calvene (el Mulineto, in basso, e quello de Pierela, in alto) svolsero un ruolo rilevante in quei due anni tragici di Resistenza.

Il Mulineto era il luogo di raccolta dei giovani della Pedemontana renitenti alla leva fascista. Nella primavera estate 1944 moltissimi cercavano rifugio su in Granezza da Silva. Solitamente giungevano da Thiene e dintorni, di notte, scavalcando le Bregonze, perché era un tragitto più defilato e sicuro. Per il sentiero della Pria Fosca e dei Ciossi o per quello dei Magan scendevano al Majo e al Mulineto. Qui sostavano e si rifocillavano e poi, guidati da accompagnatori, via verso Granezza. Andavano su per il Grumale, per la Val Porca, per contrà Monte, Meletta e il Vanzo.

Il Mulino di Pierela, nella parte più elevata del paese, era vicino all’imbocco dei sentieri per la montagna. Lì si macinava il mais per la polenta dei partigiani di Granezza. Mais che veniva dalla Pedemontana, dal Thienese. Solo della Brigata Mazzini, nell’estate 1944, di “ribelli” ce n’erano più di duecento. Tutti ragazzi dai 18 ai 23 – 24 anni, tutti affamati e da sfamare. Il Mulino de Pierela nel 1944 – 45 era gestito da due donne: donne coraggiose. I fascisti mica erano scemi, avevano capito che macinavano per i ribelli. Diffidate a farlo e controllate durante il giorno, si ingegnavano a macinare di notte. E poi la farina, ancora col buio, per il sentiero di Corona o per quello dei Cavrari e de’a Sima de Cudin, si avviava verso la montagna.

Abbiamo dunque bunker sorvegliati da donne, da vecchi, da ragazzi, abbiamo donne che quasi nell’oscurità si affannano di notte intorno alle macine, sfidando violenze, battiture, l’incendio della casa stessa… Tutto ciò dimostra che la Resistenza non fu una rivolta di soli militari o di renitenti alle armi, ma una rivolta più sentita, più profonda, di popolo.

Oggi abbiamo scoperto una targa. Non deve essere vista come una targa-ricordo, ma come testimonianza che anche qui c’è un presidio di resistenza democratica. Un avvertimento per dire che c’è gente che vigila, che sta sulla breccia. Perché il fascismo non è morto! Il fascismo non è una parentesi nella storia, una ubriacatura di passaggio che ha avuto un inizio e che ha avuto una fine. Il fascismo è una costante nella storia. E lo è perché è una costante dentro il nostro animo. Più o meno latente, in ognuno di noi c’è una componente di fascismo, un magma che nei momenti difficili, di crisi tende ad emergere.

Quante volte non proviamo insofferenza verso le discussioni lunghe della politica, viste spesso come rissose, inconcludenti e inutili per il bene comune.

Quante volte si sente dire che andrebbe bene un’autorità forte, capace di decisione, che saprebbe in poco tempo risolvere le situazioni con un colpo netto senza star lì a districare i nodi con la pazienza delle dita.

Quante volte osserviamo che la giustizia è lunga, non funziona e sentiamo dire che ci vogliono sentenze, esecuzioni esemplari.

 E’ indubbio che anche la politica ha le sue colpe. Però questa rabbia, sfiducia, rancore verso la politica non devono trasformarsi in chiusure, in atteggiamenti di indifferenza. Pensiamo che attualmente c’è una percentuale del trenta per cento e più che neanche va più a votare!

Ora tutto questo non è fascismo, ma è un humus che favorisce la sua crescita. Che è una crescita subdola, silenziosa come quella di certe malattie che le scopri quando sono già in uno stadio avanzato. Per questo bisogna restare vigili e reagire, dentro di noi soprattutto, alla sfiducia, al pessimismo, all’indifferenza

La targa afferma che Fifi e Meri hanno contribuito a costruire la pace di cui noi oggi godiamo. Ed è vero. E questa pace dobbiamo assolutamente mantenerla perché è il bene più grande che abbiamo dopo la libertà. E’ quella che in settanta anni ci ha permesso di vivere quieti, costruire benessere per noi e per i nostri figli.

Bisogna mantenerla. Tante sono le strade attraverso le quali si mantiene la pace, ma ne dico alcune perché sono quelle su cui più possiamo incidere e  che attualmente mi sembrano più pregnanti, vista la situazione che viviamo:

Pace significa umiltà e rispetto, riconoscere che i problemi, specie oggi con il mondo che si fa piccolo, sono complessi e che per affrontarli occorre l’aiuto di tutti. Allora ci vuol rispetto verso chi la pensa diversamente da te. Anche nell’avversario infatti c’è sempre un risvolto di verità. Quanto bambinesche sono quella affermazioni che oggi vanno per la maggiore: io sono nel giusto, tu invece ci porti alla catastrofe, io vedo lontano, tu sei bendato; il bianco tutto da me, il nero tutto da te. Non funziona così: occorre collaborare (pur nelle opinioni diverse) perché nei rapporti sociali, nella vita, nelle vicende umane non è mai tutto bianco o tutto nero, prevalgono di gran lunga le sfumature, i chiaroscuri.

  • Pace oggi, significa sforzarci ad unire l’Europa, perché Europa vuol dire unione di forze per affrontare problemi vastissimi, di dimensioni globali che un tempo non esistevano: ad esempio il clima e l’ambiente, le migrazioni, le pandemie, l’economia ramificata nei veri continenti, la delinquenza che si organizza, quella sì, a livello europeo e internazionale. Queste emergenze (e sono solo alcune) le affronterà l’Italia con le sue sole forze, o la Croazia, o l’Olanda o la Gran Bretagna da sola? Ognuno capisce che è ridicolo.
  • Pace oggi significa rispetto per lo straniero (altro tema caldo).

I partigiani hanno combattuto per affossare il nazifascismo e le turpi leggi razziali del 1938 (approvate, badate bene, nell’indifferenza dei più!). Ma vedete che il razzismo non è morto. Vedete oggi che un’anziana signora di nome Segre, deve muoversi con la scorta solo perché è di discendenza ebraica. Roba da matti! Impensabile solo sette – otto anni fa.

Com’era facile essere antirazzisti quando i diversi erano lontani! Mi ricordo da insegnante com’era facile con gli allievi fare letture sull’Apartheid del Sudafrica e accusare con disprezzo i cinici razzisti bianchi che rifiutavano, ghettizzavano, sfruttavano i poveri neri.

Ma adesso che gli stranieri li abbiamo in casa, quante diffidenze, quanta difficoltà a conviverci! Certo l’immigrazione incontrollata deve finire. Non possiamo accogliere tutti sempre. Anche perché l’Africa, con la natalità in esplosione che ha, ci sommerge cinquanta volte. E’ un problema complicatissimo che va affrontato, minimo, in chiave europea. Ma intanto gli stranieri che sono qua? Che lavorano qua. Che hanno i figli a scuola con i nostri? Vogliamo evitare fratture, paure, vogliamo la pace? Allora dovremo far loro apprezzare il nostro paese. Che si affezionino un po’ a questo paese.

Io levo tanto di cappello a quelle associazioni di volontariato, anche a Thiene e a Calvene, che raccolgono le donne straniere (donne, badate bene, non uomini, perché sono le donne che poi educano i figli) per insegnare loro l’italiano. Che poi non è solo insegnamento, ma rapporti umani, conoscenza, amicizia, dialogo, superamento delle paure reciproche.

Vogliamo il dialogo, la pace? Bastano anche semplici gesti. Cominciamo a salutare lo straniero, la straniera che incontriamo per strada. Come è difficile salutare chi viene da fuori! Ma che formidabile segnale di rispetto e di accettazione è il saluto.

Lo spirito della Resistenza, i nobili principi della nostra Costituzione vanno oggi interpretati alla luce di queste novità che avanzano e che ci circondano. Questo vuol dirci la targa di Fifi e di Meri.

Insomma, la sostanza è che occorre, sforzo e impegno, essere vigili, partecipare, vincere l’indifferenza (che è il male più subdolo) perché la Costituzione, anche se è la più bella del mondo (come dice Benigni), non è un edificio completato, è un cantiere aperto, una casa in costruzione. E la malta per andare avanti con i lavori vedete che, in buona parte, ce la forniscono ancora oggi i nostri partigiani.

Pagina 6 di 8

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén